Il primato della propaganda sulla politica

Il primato della propaganda sulla politica
DC Sardegna, aprile 1988

 

Il confronto politico in Sardegna ha toccato, in occasione del dibattito sul Bilancio regionale, il punto di tensione e di asprezza più alto degli ultimi anni.
Giudizi e posizioni hanno interessato, al di là della manovra economico finanziaria, l’intera esperienza di governo delle Giunte Melis. Il tam tam dei commenti governativi all’indomani del voto perpetua la costante caratteristica di questa coalizione: il primato della propaganda sulla politica.

In questo contesto dovrà svilupparsi la manovra contenuta nella legge finanziaria specificamente finalizzata per l’occupazione. Noi non la sottovalutiamo: rivendichiamo anzi alla Democrazia Cristiana l’iniziativa di stimolo e di proposta in ordine al Piano Straordinario per il lavoro, maturata attraverso la nostra Mozione in Consiglio regionale prima e attraverso la Conferenza regionale successivamente. E tuttavia restano dubbi e perplessità sulle quali soffermare la nostra attenzione.

Non appare nella sua evidenza, o forse non esiste, il nesso che collega il provvedimento per l’occupazione con la più generale politica di programmazione o, se si vuole, con l’azione complessiva di Governo.

Lo scenario di riferimento è come mascherato. IL bersaglio non è definito. Non si avverte una piena consapevolezza della crisi – condizione essenziale per una corretta valutazione – e non è chiara la percezione delle tendenze.

Non ci siamo iscritti al club dei pessimisti irriducibili ma riteniamo che sia gravemente strumentale la manipolazione dei dati economici per qualificare in qualche modo positivamente una condizione di crisi che è acutissima.

La campagna propagandistica avviata dalla Giunta regionale e sostenuta da alcuni organi di stampa, sostiene che sul fronte della occupazione siamo di fronte ad una inversione di tendenza. Vengono citati i dati ISTAT, secondo i quali in Sardegna il trend della disoccupazione si sarebbe invertito e per converso si sarebbero creati circa 22.000 nuovi posti di lavoro nel periodo di Gennaio 87-Gennaio 88.

Si omette di richiamare che l’Istituto centrale di Statistica ha nel corso dell’ultimo triennio modificato i criteri di valutazione delle indagini e pertanto le rivelazioni 1984 – 1987 non sono fra loro comparabili.
Questo assunto è fatto proprio dalla Giunta regionale nella relazione allegata al bilancio triennale (e molto rapidamente dimenticata!). Nella stessa relazione si sottolinea che l’ISTAT ha, negli ultimi anni, “rivalutato” i dati dell’occupazione, per tener conto della cosiddetta economia irregolare”. Con tale rivalutazione gli occupati in Italia sono stimati in circa il 6-7% in più rispetto alla vecchia serie e il reddito in circa 15-20% in più della precedente valutazione.

Giova ricordare che secondo i dati forniti dall’Ufficio regionale del lavoro i disoccupati in Sardegna erano 154.209 nel gennaio 1986, 177.611 nel gennaio 1988. D’altra parte è certo che gli indicatori strutturali della nostra economia sono pesantemente in rosso. Nell’ambito del Mezzogiorno si va delineando sempre più chiaramente un’area arretrata che comprende la Calabria e due Isole. I vincoli allo sviluppo permangono inalterati e, per quanto riguarda la Sardegna, nessuna azione organica è stata avviata sul contesto” ambientale con fine di ridurre le condizioni di svantaggio per l’esercizio di attività competitive.

Investimenti fissi lordi, rapporto impieghi-depositi, tasso di industrializzazione sono altrettanti indicatori di crisi strutturale inequivocabilmente negativi. Parallelo a questa condizione – non interamente derivata – lo stato della occupazione. Le previsioni vogliono un progressivo trasferimento di 3 milioni di disoccupati verso il Sud e segnatamente verso le regioni di coda.

D’altra parte regioni come Abruzzo, Molise hanno tassi di disoccupazione non più meridionali.
Per converso: i meccanismi dello sviluppo che noi invochiamo come necessari inducono, nei tempi brevi e medi, un allargamento del numero dei disoccupati.
La situazione rischia di diventare sempre più insostenibile.

Riaffermare le nostre valutazioni circa l’entità della crisi non è motivo di soddisfazione polemica: è premessa per un maggiore impegno e per una più forte iniziativa politica. Dalla consapevolezza di questa crisi è nato Io sciopero generale del 4 maggio e il suo grande successo di partecipazione popolare.
L’obiettivo deve consistere nel destinare ingenti risorse nel Piano del lavoro e insieme attivare politiche di trasformazione che rimuovano i fattori negativi di convenienza economica per gli investimenti. La sfida consiste nell’evitare che la spesa di questi 1 .500 miliardi produca solo incremento della domanda interna in assenza di omologa offerta, finendo col favorire un ulteriore aumento delle importazioni e quindi della dipendenza del nostro sistema.

La grande difficoltà è resa più acuta dalla consapevolezza che molte alternative non sono date, che ove fallissimo questo obiettivo, dietro l’angolo allungherebbe la sua ombra lo spettro di una nuova emigrazione. Con tutti i drammi e le sofferenze di cui il popolo sardo serba una memoria infelice.

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