Industria e legge per il sud
La Nuova Sardegna, 16/11/1988
Il Consiglio regionale ha approvato, in una frettolosa seduta, il terzo programma d’intervento della legge per il Mezzogiorno. Come era prevedibile l’Assemblea, investita del problema con scadenza ad horas, si è limitata a registrare nel generale disinteresse un elenco di progetti. Una consultazione del Consiglio, operata nei tempi giusti e possibili, avrebbe favorito un confronto sulle linee di politica economica che devono precedere e guidare i programmi. Avrebbe certamente esaltato il momento elaborativo e creativo della politica. Un confronto tardivo, a programmi confezionati, induce a misurarsi sul particolare, favorisce rischiose pratiche dì scambio, abbassa il profilo della politica. Eppure la manovra, nel triennio di intervento straordinario che si conclude, ha lo spessore di circa 3500 miliardi.
Sarà opportuno quanto meno interrogarsi, a consuntivo, sul grado di interferenza di queste ingenti risorse sulla nostra economia e più generalmente sulle prospettive di crescita della nostra isola. Appare fin troppo chiaramente come sia venuta meno la categoria della straordinarietà e, insieme, il ruolo di innovazione e cambiamento. L’intervento della legge 64, nella nostra convinzione, deve agire in modo strutturale sui fattori che regolano il nostro sviluppo: per rimuovere le condizioni che rendono svantaggiosi gli investimenti, limitano l’esercizio di attività competitive, cristallizzano il sistema impedendo un processo dì accumulazione endogena sostenuto dall’evoluzione della domanda interna e delle esportazioni. Questo non è stato. Si è tradotto l’intervento straordinario in una ordinaria diffusione di risorse, senza bussola. Paradossalmente si consolida l’antico male, alimentando consumi con flussi esterni, accentuando la dipendenza del nostro sistema. Un’altra occasione mancata per ridurre le distanze: la Sardegna continua a perdere gli appuntamenti col progresso e lo sviluppo del Mezzogiorno e del paese.
Le cifre riferite nel recente rapporto Svimez non sono incoraggianti. Tutti gli indicatori “strutturali” della nostra economia (tasso di industrializzazione, rapporto impieghi e depositi, saldo importazioni ed esportazioni) del 1987 registrano un forte peggioramento, in misura superiore alle altre regioni meridionali. Non sorprende che gli iscritti nelle liste di collocamento al 30 di settembre siano 186.756: quasi diecimila in più rispetto al mese di gennaio.
A fronte di questa crisi la Giunta regionale offre di’ sé l’immagine di una permanente litigiosità su tutto: dai referendum alla politica del territorio, dalla programmazione economica ai trasporti. Esiste una divaricazione crescente fra i bisogni della nostra isola e l’offerta di governo che la Giunta regionale riesce ad esprimere. Nelle partite più importanti e decisive per lo sviluppo della Sardegna, la Giunta Melis perde la battuta. Il dibattito sulla vicenda Enimont ha dimostrato, in modo non equivocabile, come la Giunta che governa la regione da cinque anni abbia colpevolmente sottovalutato un appuntamento di straordinaria importanza per il nostro sistema industriale.
Quando il pressappochismo e il delirio di propaganda, sostituendosi alla politica, si intrecciano con l’esercizio di governo, non è più una questione di stile: sono gli interessi del popolo sardo ad essere mortificati e compromessi.
Siamo consapevoli di vivere l’autunno di questa coalizione.
Ma la stagione delle foglie morte non evocherà rimpianti e nostalgie. L’unico sentimento che percepiamo, diffuso fra la gente, è quello di una delusione forte e cocente.