Tendenze della politica

 

Relazione svolta a Olbia il 1 dicembre 1990 e pubblicata su Popolari e Democratici Cristiani in Sardegna

 

Voglio ringraziarvi di essere qui e ringrazio in modo particolare il Presidente, non solo per le sue espressioni nei miei confronti, ma anche per aver offerto a noi tutti l’opportunità di fare una riflessione su un tema stimolante come quello che mi è stato assegnato: la crisi e l’evoluzione dei movimenti politici in Italia negli anni ‘90. Perché presi come siamo tutti dalla quotidianità, dai ritmi veloci nell’esercizio delle nostre funzioni politiche o nell’esercizio delle nostre attività di lavoro, naturalmente non sono moltissime le opportunità che abbiamo per fare una riflessione su dove andiamo, sui temi che viviamo, sui caratteri che delineano il contesto della politica, della società civile, delle tendenze culturali, che in qualche modo è il contesto dove noi viviamo, all’interno del quale dobbiamo cogliere il segno dei tempi per avere consapevolezza delle tendenze, per governare le tendenze, per non andare nella direzione sbagliata.

1.- Stagione di mutamenti.
Sappiamo tutti di vivere un periodo particolare, una stagione straordinaria di mutamenti: le cose nuove della politica riflettono sempre quelle dell’insieme della società civile.
Viviamo anni di fortissime trasformazioni nel mondo dell’economia, della cultura, dei costumi: dobbiamo cogliere insieme i caratteri e le tendenze della società civile per portarli dentro le istituzioni.
In fondo, il compito della politica è quello di creare le condizioni perché i valori che la società civile autonomamente esprime possano in qualche modo competere liberamente e liberamente riconoscersi dentro le istituzioni.
Brevissimamente cercherò di richiamare alcune di queste tendenze: prima di tutto i mutamenti nell’ambito dell’economia italiana e di quella occidentale, perché i confini dell’economia in cui viviamo non sono più quelli nazionali.
Tutto quello che avviene nel mondo occidentale e che è avvenuto in questi anni, condiziona fortemente la nostra vita quotidiana.
Sono stati gli anni della rivoluzione tecnologica.
Esaurita la fase di espansione del mondo occidentale, con lo sviluppo industriale maturo, è esplosa la rivoluzione tecnologica.
La ricerca scientifica applicata a nuove produzioni industriali ha
stravolto il sistema dell’organizzazione economica occidentale: ne e derivata l’espulsione violentissima di tanti operatori non particolarmente specializzati.
In alcune parti del mondo occidentale, queste fasi di espulsione sono state prontamente riassorbite con la creazione di nuove professioni, e di nuove impalcature del sistema economico che ha qualificato la fase del post-industriale.
Per molte ragioni, in Italia, questa fase la stiamo vivendo ancora con i suoi drammi e con le sue speranze, in una società che si organizza in modo più veloce ma crea il problema di tanti cittadini senza posta di lavoro.
Tutto ciò ha comportato un nuovo assetto del sistema produttivo e della organizzazione delle imprese, la grande concentrazione di imprese su scala mondiale.
Il mondo accidentale tende a concentrare sempre di più il potere dell’economia e il potere dell’informazione.
In Italia le grandi industrie, le grandi imprese hanno creato le condizioni perché il nostro Paese possa essere competitivo in tutto il mondo.
In questa situazione si è diffuso nella maggior parte della popolazione italiana uno stato di maggiore benessere, una maggiore ricchezza che si è distribuita certamente in modo ineguale ma che ha comunque coinvolto la totalità del nostro Paese.
Tutto ciò ha creato una serie di problemi politici e sociali, ha selezionato nuovi soggetti sociali: basterà pensare al mutamento profondo dei rapporti sociali per cui la classe operaia, che soltanto vent’anni fa rappresentava una grande forza organizzata, oggi è una minoranza, rispetto a un contesto nel quale altri soggetti sono entrati in moda tumultuoso, nuove professioni sono andate ad occupare spazi crescenti nella nostra organizzazione civile.

2.- La dissoluzione del comunismo.
Ma il dato di riferimento più clamoroso è la dissoluzione del comunismo. Il crollo dell’organizzazione comunista nei paesi dell’est europea e, insieme, il venir meno, nel mondo, di un mito che aveva accompagnato intere generazioni.
La sequenza degli avvenimenti ha ritmi velocissimi.
Abbiamo vissuto in pochi mesi la riunificazione della Germania, nei tempi in cui, probabilmente, molti comuni sardi non sono riusciti a darsi una giunta comunale.
Tutto ciò porta a trasformazioni dell’economia, se è vera che oggi il mercato dell’est diventa il più appetibile, quello che sollecita forti investimenti da parte dell’economia ricca europea.
Il cambiamento dei rapporti est-ovest comporta necessariamente un ribaltamento, un approfondimento del divario fra nord e sud. Dobbiamo, in questa quadro, modificare gli elementi di giudizio relativi al sistema politico e sociale italiano, per comprendere i problemi della nostra attualità.
E’ la crisi dell’ideologia, ma particolarmente dell’ideologia marxiana che conteneva in sé i caratteri più espliciti della pretesa della politica di assumere una dimensione preponderante – in fondo questo è l’ideologia in generale ma l’ideologia marxiana lo era più esplicitamente – e dava il senso di un’idea totalizzante, quasi avendo la presunzione di predeterminare la storia.
Noi cattolici abbiamo sempre saputo che la storia non è luogo degli eventi necessari, ma è la dimensione del possibile, delle occasioni che si mancano o delle occasioni che si guadagnano e dentro questi confini si colloca, in realtà, la potenzialità della politica.
La politica ha valore, anche con i suoi limiti, se concorre a farsi strumento di liberazione dell’uomo.
In questo senso possiamo neutralizzare gli effetti della crisi dell’ideologia.

3.-L’omologazione dei partiti.
Un altro elemento obiettivo di giudizio è l’omologazione dei partiti, diventati in qualche modo tutti uguali.
Basterà pensare cosa è stato, in anni più recenti, dei programmi di governo che i partiti italiani hanno dato rispetto ai bisogni della gente.
Una risposta tendenzialmente uniforme e senza distinzioni: e la mancanza di distinzione fra i partiti produce l’effetto di abbassare il profilo della politica, oggi più che mai, intesa come gestione, come quotidiano che ha aperto larghi varchi alla questione morale.
E insieme a questo il disimpegno crescente di una generazione che tende a rifugiarsi in una nuova dimensione di privatezza.
Quando le offerte di governo dei partiti diventano omologhe, viene meno la motivazione ideale e la spinta della passione per l’impegno.
Questa si è verificato nel nostro Paese, se è vero che la caduta verticale della partecipazione al voto attivo o alle forme di voto tradizionale hanno in qualche modo segnato l’espressione materiale di una involuzione del sistema politico.
Insieme a questo elemento, un altro merita una riflessione: la progressiva estensione di un fenomeno di ostilità verso i partiti, il diffondersi di un sentimento di generica avversione verso il “politico”.
Si è diffusa nel nostro Paese la congettura secondo la quale il bene, il successo, il positivo risiede dentro l’impresa, dentro il tecnico, mentre il politico è malato, è sporco. è negativo. Viene da chiedersi se questo fenomeno non implichi conseguenze nel presente del nostro sistema.
E’ certo però che questa congettura coincide con gli interessi di chi oggi nel nostro Paese vuole ridurre il potete della politica, dei partiti, per favorire altre forme di potere. spesso anche occulte.
Per decenni il nostro sistema ha giocato sull’alternativa tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista: questo e stato il perno, negli anni repubblicani del nostro Paese del sistema politico italiano.
Facendo un bilancio, certamente abbiamo ragione di credere che siamo andati nel Senso giusto della storia e che la storia sicuramente ha esaurito e cancellato uno dei poli che qualificava questo sistema politico.
Questo di per sé non esaurisce il compito della Democrazia Cristiana.
La scomparsa di questo tipo di alternativa ha dato una nuova renditi ad altri partiti, dando la possibilità a questi di ipotizzare altri tipi di alternatività dai quali noi saremmo fuori.
Credo che, anche se sono andate estinguendosi le ideologie, non siano affatto finite le idee: esistono ancora tutte le ragioni sulle quali si sono costruite le ideologie.
Restano i valori, nuovi bisogni di questa società.
E dobbiamo quindi aggiornare i nostri schemi per non inseguire la società ma per precedere nel tempo le tendenze, per andare avanti come abbiamo fatto nel passato, quando abbiamo colto i tempi dell’evoluzione italiana.
Questo e il compito che ancora abbiamo. I problemi che si sono aperti, dei quali dobbiamo cogliere i segni, per portare dentro le istituzioni le aspirazioni della gente, sono diversi: e prima di altri, la crisi dell’idea Stato-Nazione che fa percepire il bisogno di una comunità più grande di un governo più largo.
Il processo di integrazione culturale – oltre che economica – dentro una dimensione europea sempre più grande, e insieme fruibile, tende a localizzare nella coscienza popolare degli italiani il senso dei confini.
Si sta creando all’interno del nostro Paese una perdita di affezione per i vecchi confini. E questo processo non è indifferente nella genesi di un parallelo diffondersi di forti tendenze localistiche.
Noi dobbiamo ridare alla gente il sentimento dei nuovi confini su cui basarsi, poiché è dell’uomo il bisogno di cose certe, il bisogno di sentirsi comunità, pur nella diversità di culture, etnie, tradizioni.
Questa nostra società opulenta ha soddisfatto certi bisogni, ma ne ha fatto crescere di nuovi che non sono ancora incanalati dentro le istituzioni tradizionali della politica.

4.- 1 nuovi bisogni.
Esiste tutta una serie di bisogni che noi dobbiamo cogliere e che sono il frutto di questa società: basterà pensare che quando crescono i livelli di vita individuale, la qualità della vita individuale, familiare e sociale, l’incontro con il momento pubblico, istituzionale diventa un’occasione di delusione, quando non di conflitto o di repulsione.
Un cittadino che vive una qualità di vita accettabile nella sua famiglia, quando è costretto a fare i conti con I’ Unità Sanitaria Locale, con gli uffici postali, con l’insieme delle strutture pubbliche percepisce un’esperienza negativa, un sentimento di delusione e da questo cresce una contrapposizione istintiva nei confronti di ciò che è l’istituzione.
In questa dimensione affondano le radici dei movimenti che sono in questo momento o possono esprimersi con le Leghe, con l’astensione.
Sono dei bisogni reali che noi dobbiamo cogliere e di cui dobbiamo farci carico, puntando certamente a una diversa qualificazione del pubblico servizio che non sia quello che abbiamo visto.
Il leghismo potrà essere battuto rimuovendo le ragioni del disagio che lo hanno ingenerato.
Ancora un punto e concludo:

5.- Le istituzioni.
La società complessa è animata da un fortissimo moto pluralista che a sua volta genera nuove diversificazioni. Ciò rende sicuramente più arduo il già difficile mestiere di governare.
Si dice che una società complessa e ramificata ha bisogno di poteri compatti. Esige più governo.
Questa considerazione da’ ragione del peso che il problema delle riforme istituzionali ha assunto nel dibattito politico in Italia.
E’ possibile che si stia caricando il problema-riforme di un significato smisurato rispetta alle possibilità di risposta implicita nelle stesse, perché la gente ha sicuramente bisogno della riforma istituzionale, ha sicuramente bisogno della riforma elettorale, ma pensare di risolvere il problema con una serie di interventi di ingegneria istituzionale e elettorale credo sia una abdicazione rispetto ai vari complessi bisogni di questa società.
E va crescendo l’idea che la risposta di governa compatta rispetto alla domanda pluralista e frammentata della società complessa possa risolversi nel trasferimento del potere dai partiti alle persone.
Elezione presidenziale diretta, collegi uninominali hanno in comune questo obiettivo.
Io ho molte perplessità, per essendo consapevole del processo involutivo intrapreso dai partiti.
Penso ad altre esperienze nelle quali il presidenzialismo si è affermato e trovo che si è progressivamente allontanato il controllo sociale, si è smisuratamente accresciuto il potere dei media e di chi controlla i media. La gente comune deve contare di più, ma non solo nel giorno del voto, della delega: ma nel corso di un rapporto duratura cittadino-istituzioni.
I partiti possano essere ancora, negli anni futuri, il perno di un sistema di democrazia se sapranno riformare se stessi, rimuovendo scorie e incrostazioni, ritrovando la dimensione della idealità come ragione per l’impegno civile.

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