Viene Romano Prodi, la sua proposta si chiama ulivo

Nel marzo del ’95 nasce un nuovo soggetto politico, destinato a fare strada. Dopo il conformismo degli schematismi, la “novità” e insieme la riscoperta dell’idea degasperiana della coalizione di governo. Un articolo del 21 marzo su L’Ortobene.

 

Le tensioni del sistema politico italiano si scaricano in questi giorni, con la forza di un uragano, sul Centro Popolare mettendo a dura prova l’unità di partito e la fermezza delle convinzioni di tanti cittadini.
Il consiglio nazionale del PPI si è concluso lasciando aperte alcune tra le più significative questioni del dibattito: ma la decisione di esorcizzare il fantasma della diaspora è comunque un segno di saggezza.
Io sono convinto che sia possibile e giusto, nell’interesse del nostro Paese, conservare l’unità del Partito che si ispira a Sturzo e De Gasperi.
Poco più di un anno fa partecipai alla nascita del Partito Popolare e le circostanze mi consentirono di svolgere una funzione rilevante nella scelta degli indirizzi e nella formazione della dirigenza.
Ricordo con molta chiarezza che escludemmo un accordo con la Destra e non andammo dove andò il CCD: non fummo respinti dal nascente Polo delle Libertà, ma rifiutammo di andarci.
Io non mi sono pentito di quella scelta.
Neppure dopo le elezioni di marzo.
E nel corso di questi nove mesi di esperienza parlamentare ho avuto molte occasioni per consolidare la convinzione che il governo Berlusconi e la sua maggioranza fossero assai distanti dai principi, dai valori e dagli interessi che io penso di rappresentare.
Nel Congresso di luglio condivisi la decisione – in verità unanime – di respingere la sollecitazione ossessiva che da tutte le parti ci veniva offerta di una scelta a Destra o a Sinistra: per la ragione che appariva preferibile promuovere l’avvicinamento al Centro delle componenti moderate dei due schieramenti e con esse fare alleanze.
La crisi del Governo Berlusconi ha prodotto un cambiamento indiscutibile: il Polo ha perso un po’ di Destra(la Lega), la Sinistra moderata si è separata dall’estrema (Rifondazione Comunista).
Se volessimo essere coerenti con quella scelta non avremmo alternativa alla indicazione del Centro Sinistra.
E tuttavia dovremmo conservare un’ambizione più alta.
Molti sostengono che dobbiamo dare spessore e unità all’area moderata del Paese: sono d’accordo, a condizione che sia chiaro il significato delle parole.
La moderazione viene spesso declinata come opposto di Sinistra.
E’ sbagliato. Suggerisco un uso corretto dei sinonimi e dei contrari.
Moderato è contrario di radicale, Sinistra è contrario di Destra così come progressista non è sinonimo di Sinistra ma contrario di Conservatore.
Nel concreto della politica la moderazione di De Gasperi si è opposta al radicalismo nostalgico e rancoroso dei missini così come a quello rivoluzionario dei comunisti.
Dovremmo convenire che molte cose sono cambiate (al di là dei muri crollati!) e serve a tutti aggiornare i nostri riferimenti.
Non trovo moderazione ma piuttosto una esibizione non mascherata di cultura radicale nei partiti che due mesi fa provocavano, con atteggiamenti di sfida, lo scontro sociale sulle pensioni così come in quei comunisti che lo scontro volevano cavalcarlo piuttosto che evitarlo.
Mi è sembrato per niente moderato quel Previti ministro della Difesa che andava in piazza insieme all’esagitato Meluzzi per insultare il Capo dello Stato, chiamandolo Golpista.
Trovo assai più affine il comportamento di quanti si fanno carico, sostenendolo, di un governo di tecnici che propone tregua, regole e rigore economico senza averne i vantaggi del potere.
Allora la sfida che ci attende non è tanto nello slalom di una mutevole geometria politica e neppure nell’esercizio di una noiosa disputa etimologica: la difficoltà che per tutti si prepara – anche per quelli che preferiscono la propaganda al ragionamento – è nello sforzo di ritrovare sintonia tra le sigle della politica, i partiti e i sentimenti veri della gente.
Esiste nel comune sentire dei cittadini un complesso di atteggiamenti, di interessi, di mete di vita che possono disegnare polarità più autentiche rispetto a quelle che il conflitto ideologico del secolo ventesimo ha consegnato ai nostri giorni.
Non ci sono più nemici fascisti e nemici comunisti, al di là di qualche settore nostalgico interessato a coltivare, consapevolmente, nicchie di rendita politica per l’opposizione.
Ci sono cittadini che pongono in vetta alle proprie aspirazione l’appagamento di bisogni individuali, il successo, la ricchezza, l’ostentazione della propria forza.
E altri che invece trovano motivazione ad impegnarsi per gli altri, che praticano il volontariato, che sono misurati nello stile di vita, che privilegiano la competenza rispetto all’esibizione muscolare.
E ancora, ci sono cittadini che coltivano l’idea di uno Stato forte, d’ordine; che pensano al mercato come ad un feticcio, che predicano una sorta di darwinismo sociale, in cui non c’è spazio per chi perde.
E dall’altra c’è chi apprezza il mercato come un dimensione irrinunciabile ma, insieme, compatibile con la meta di una giustizia sociale, con il pluralismo delle istituzioni, dei contrappesi che consentono una democrazia efficiente e partecipata.
E, ancora, ci sono uomini e donne che si battono per coniugare lo sviluppo economico con l’ambiente e con l’occupazione; altri che sono a questi bisogni indifferenti.
Nella società complessa che sta per varcare la soglia del nuovo millennio spesso questi sentimenti e queste tendenze si sovrappongono creando aree di transizione e di confine.
La politica deve offrire una sponda di semplificazione e di sintesi.
Ma tutto questo non è riducibile agli slogan della propaganda antifascista e anticomunista: e non è indifferente rispetto al futuro delle nostre scelte.
Se la nostra bussola risiede ancora nella dottrina sociale e nell’ispirazione cristiana, se coltiviamo ancora l’ambizione di concorrere al rinnovamento politico e morale del nostro Paese, non c’è dubbio che su questi temi dobbiamo – e non è difficile – rintracciare consonanze e affinità.
La candidatura di Romano Prodi alla guida di uno schieramento che parta dal centro è una risposta a questa sfida.
Perché propone agli italiani una strada politica fondata sulla comprensione e sulla fiducia, sui valori positivi della nostra tradizione cattolica e liberale, perché respinge e allontana la deriva di una democrazia come resa dei conti.
Io non ho mai apprezzato la personalizzazione della politica: ma non possiamo astrarci dalla dinamica nuova dei flussi politici ed elettorali che ha necessità di bandiere visibili e comprensibili.
Gli italiani comprendono, al di là delle indicazioni dei leaders di partito, che Berlusconi e Prodi interpretano due modelli differenti.
Io mi sento per coerenza con le mie scelte passate e per consapevolezza dei nuovi doveri, impegnato in favore di Romano Prodi.
Sono convinto che tutto il Partito Popolare finirà per convenire in questa direzione: quando saranno più chiare a tutti le differenze.
Gli organi del mio Partito hanno esplicitamente rinviato questa scelta.
E’ giusto che in questo momento siano i cittadini, i comitati di base a svolgere il loro diritto di pressione e di stimolo: per questo guardo con simpatia e offro tutto il mio sostegno ai “comitati per Prodi” che stanno formandosi anche nella nostra regione.

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