Privatizzazioni, non contraddire le scelte originarie

Il Popolo, 17/02/1998

 

Il confronto intorno alla politica delle privatizzazioni è destinato a suscitare, nelle prossime settimane, più di una discussione dentro la maggioranza di governo e nel Paese. Vorrei rassicurare quegli osservatori che hanno valutato con sospetto e diffidenza le preoccupazioni da noi espresse in questi giorni: nessuna intenzione men che costruttiva anima il Partito popolare.
E spero che nessuno abbia inteso trasformare questo tema in un autentico feticcio rispetto al quale sia vietato esprimere qualsivoglia perplessità. Per essere chiari, voglio dire che non abbiamo alcuna incertezza sulla necessità di procedere nella strada di dismissioni delle imprese pubbliche. Ma uno Stato che non voglia essere indifferente deve evitare che questo processo contraddica le intenzioni che ne hanno animato la scelta: il fine primario della politica di privatizzazione è l’allargamento del mercato dei capitali nel nostro Paese, la creazione di nuovi protagonisti dello sviluppo e dell’impresa.
L’uso delle risorse acquisite per ridurre il debito pubblico è una scelta che segue e non precede la politica di privatizzazione: qualche volta sembra che l’ordine sia invertito, qualche altra che la manovra di finanza pubblica sia l’unica vera finalità.
Noi proponiamo una riflessione sul tratto di strada già percorso, una valutazione di coerenza con gli obiettivi, un comune orientamento in ordine al complesso delle interazioni tra il sistema finanziario internazionale e gli assetti del potere economico del nostro Paese. Ci sono delle domande che non possono restare senza risposta.
Dobbiamo chiederci: stiamo creando nuovi mercati? Stanno nascendo nuovi imprenditori? Sta crescendo la competitività del sistema industriale e bancario italiano? E, ancora, come si modifica la relazione del sistema economico italiano con quello esterno?
Non sono domande oziose e non sono scontate – per noi – le risposte. In un tempo nel quale finanza, sistema industriale, sistema dell’informazione hanno cessato di essere galassie separate ed indipendenti insieme, hanno cessato di avere confini nazionali, interagiscono tra di loro in modo sempre più complesso, la politica rischia di essere disorientata impotente ad assolvere la sua funzione.
Lo Stato non deve essere intrusivo ma neppure indifferente. L’Italia – con poche eccezioni – è ormai popolata di imprese che divengono sempre più piccole rispetto alla concorrenza internazionale, ed è sempre di più terreno di conquista da parte di multinazionali molto più potenti delle nostre.
In pochi anni importanti settori della nostra attività economica sono divenuti dominio di società estere; poco male se a questo fenomeno fosse corrisposta una politica in senso inverso delle nostre imprese più significative. Ma questo non è avvenuto. Su questo fenomeno è necessario che tutti i protagonisti, gli imprenditori, i sindacati, il governo, le forze politiche, aprano al più presto una riflessione per inaugurare una politica industriale nuova, così come richiede la nostra appartenenza all’Europa della moneta unica.
Il rischio, che ogni tanto si riaffaccia, è che dietro le complicatissime operazioni finanziarie non si trovi uno sviluppo dell’economia, una crescita di ricchezza generale del Paese, ma semplicemente una concentrazione di poteri che passano da una mano all’altra. È soddisfacente il flusso di risorse del sistema finanziario verso il sistema produttivo oppure occorre un impulso più deciso? Con quali strumenti? In ogni caso senza una ripresa della capacità espansiva delle nostre imprese più significative, forse non si aprirà un periodo di “colonizzazione economica”, ma verranno meno le condizioni di occupazione di migliaia dei nostri giovani meglio addestrati e più qualificati.
La dinamica delle privatizzazioni avvenute pone interrogativi che meritano una risposta, al riparo da inutili dietrologie polemiche. Occorrerà verificare se il mercato dei capitali in Italia tende ad allargarsi o a restringersi, se è utile per lo sviluppo dell’economia che pochi soggetti del sistema finanziario con modeste risorse conquistino un grandissimo potere, di quali strumenti disponiamo per difendere i risparmiatori che hanno investito i loro soldi perché attratti da un’offerta, se i caratteri della stessa dovessero essere travolti o profondamente modificati. Su questi temi sarà utile allargare il confronto.

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