Il Popolo, 19/01/1999
C’è stato in questi giorni un sovraccarico, anche emotivo, intorno alla riunione dell’Ulivo prevista per oggi. Noi ci auguriamo sinceramente che questa scadenza segni invece la fine del tormentone che ha avuto per oggetto la “dissoluzione” dell’Ulivo e segni la ripresa di una fase positiva nel confronto interno al centro sinistra italiano.
Non a caso il massimo di tensione si registra intorno a una vicenda segnata dalla logica del proporzionale. Questo deve pur ricordarci qualcosa rispetto alla politica italiana e all’impegno di tutti questi anni per imboccare la via nuova del bipolarismo e del maggioritario come superamento di una condizione di conflittualità che il paese vuole lasciarsi alle spalle.
Le elezioni europee sono in qualche modo una forzata parentesi rispetto alla prospettiva del bipolarismo: esse accentuano nuovamente, per il meccanismo proporzionale con il quale si svolgeranno, le distinzioni e le esaltazioni delle singole identità partitiche. Ma le europee restano, nell’arco dei prossimi cinque anni, l’unica occasione di questo genere. Dal 14 giugno tutti dovremo pensare alle prossime elezioni politiche, e tutti torneremo a farlo secondo le categorie del maggioritario.
Se fin d’ora privilegiassimo questo obiettivo eviteremmo ogni lacerazione, ogni forzatura, e magari cominceremmo a discutere di programmi per quell’appuntamento e di procedure per la scelta della leadership della futura legislatura. Un tale metodo sarebbe più produttivo per tutti. Per Romano Prodi, tirato finalmente fuori dalle polemiche legate alla competizione europea e restituito al suo compito di regista dell’Ulivo. Per gli schieramenti politici, che si presenterebbero alle elezioni con i propri simboli affiancati dall’Ulivo. Per le prospettive del paese, ricominciando a delineare fin da adesso un percorso di convergenza per programmi capaci di aggregare di più le forze del centro sinistra e un percorso virtuoso per la designazione del prossimo premier della coalizione.
La partita vera che stiamo giocando è questa: come il nostro sistema debba consolidare il suo impianto bipolare, fondato sulla competizione tra schieramenti alternativi per programmi di governo e per leadership di legislatura. Rispetto a questo è aperto il confronto sulla nuova legge elettorale. Rispetto a questo non si può neppure escludere, nel tempo medio lungo, un esito bipartito del nostro sistema, ma oggi questo è un dato ancora estraneo alla realtà della cultura politica italiana e dunque ogni forzatura in tale direzione rischia di mandare indietro le lancette dell’orologio.
La domanda più diffusa degli italiani è quella della governabilità del sistema. Il maggioritario risponde a questa domanda. Occorre trovare però un modo intelligente per non rimuovere del tutto la domanda di rappresentanza che in passato ha generato il sistema proporzionale e che oggi sembra essere meno importante. Il referendum non è risolutivo in questa direzione. Anche Massimo D’Alema, oggi, ne valuta i limiti e ripropone il ruolo della politica, del Parlamento, nel trovare soluzioni razionali a problemi complessi come quello elettorale. Il quesito referendario d’altra parte viene sempre mascherato con significati più generali, per cui diventa la conta contro i partiti, contro il governo, contro la sinistra e la destra: insomma la conta di tutti gli italiani che sono contro qualcosa.
Noi popolari siamo contro questo referendum, ma non ignoriamo i limiti del sistema politico così articolato. Non a caso il Ppi è alla vigilia della sua assemblea organizzativa su tali temi. La grande accusa ai partiti è che essi stentano a comprendere una parte significativa della domanda dei cittadini. Se i partiti non si mettono in discussione trovando forme nuove, più permeabili, più vicine alla sensibilità della gente, il rischio è che una parte significativa degli elettori si lasci affascinare dal richiamo delle sirene populiste degli aspiranti “uomini della Provvidenza”.