Colpo di scena in Austria: i Popolari stringono un accordo di governo con la destra nazionalista del governatore della Carinzia Jorge Haider. Scattano le sanzioni di Stati Uniti, Israele e Unione europea. Il cancelliere austriaco Schuessel non viene invitato al vertice Ppe di Madrid. In Italia l’Ulivo condanna le scelte di Vienna e paragona Haider a Bossi, Berlusconi accusa la maggioranza di fare strumentalizzazioni. Sul Corriere della sera, il cancelliere tedesco Schroeder definisce “neofascista” Alleanza nazionale e annuncia sanzioni dell’Ue in caso di vittoria del Polo. Dibattito alla Camera: il presidente del Consiglio D’Alema non condivide le affermazioni del collega tedesco e annuncia un’iniziativa diplomatica. Esprime però preoccupazione per l’antieuropeismo presente nel centro destra.
La Nuova Sardegna, 16/02/2000
Signor Presidente, la formazione del Governo austriaco e la partecipazione allo stesso del movimento politico di Jörg Haider, il partito austriaco della libertà, hanno posto questioni serie che interrogano la coscienza di tutti noi, ma insieme sollecitano il giudizio dei Parlamenti e inquietano l’opinione della politica. I gruppi della maggioranza di centro-sinistra del Parlamento italiano esprimono una piena e consapevole condivisione della risoluzione del Parlamento europeo, del comportamento dei governi dell’Unione e dell’operato del Presidente della Commissione europea. Si tratta di giudizi e posizioni distinte secondo le diverse responsabilità e i diversi compiti che le rispettive istituzioni comportano, ma sono tutti ispirati agli stessi valori: i valori fondativi dell’Unione europea.
Vogliamo segnare con chiarezza e senza ambiguità un contrasto forte e responsabile nei confronti del programma politico del partito austriaco della libertà e del suo leader: per i giudizi espressi sul passato e per le intenzioni manifestate sulle questioni del nostro tempo, per quella comprensione ostentata verso i crimini dell’olocausto. Ma anche per quell’idea non mascherata del futuro, che rifiuta la convivenza tra culture, religioni e nazioni diverse; quella convivenza che è la sostanza del processo di integrazione europea. Abbiamo colto nei commenti politici, e nelle stesse mozioni presentate in questa occasione da alcuni gruppi della minoranza, altre distinzioni e più d’una contraddizione.
Noi confidiamo che su questi temi non prevalga l’affanno per l’interesse di qualche alleanza stagionale rispetto alla prospettiva di coltivare un’idea coerente della democrazia europea nel XXI secolo. Per questo vorremmo chiarezza nel giudizio sulle questioni aperte, per questo non possiamo essere elusivi. La questione sulla quale dobbiamo esprimerci è il diffondersi di una cultura dell’esclusione, dell’insicurezza, delle nuove paure che crescono nell’Europa ricca e vecchia per una crisi di natalità che appare inarrestabile, socialmente protetta, consapevole che la pressione migratoria del mondo povero e giovane crea problemi nuovi ed acuti. Il problema sta nelle pulsioni di ostilità xenofoba, di intolleranza, di chiusura per il pluralismo culturale, etnico e religioso. Cresce su questo terreno quel misto di umori e tentazioni che Haider interpreta e cavalca.
La paura di perdere ciò che si è conquistato (il benessere, la tranquillità sociale, il lavoro), la paura delle piccole comunità di fronte alla globalizzazione, di fronte alla prospettiva di allargamento dell’Unione, (piccole patrie pronte a riesumare, nei momenti di insicurezza, i miti ancestrali dell’autosufficienza e della chiusura), il richiamo all’identità esclusivo ed escludente, la pratica della rimozione di un passato ingombrante, alimentano un terreno fertile per i falsi miti del nazionalismo etnico. Quella deriva populista che, insieme ai sismi non ancora assestati dei Balcani ed alle tensioni sociali dell’Europa orientale, possono saldarsi in un tremendo potenziale esplosivo. A tutto ciò noi non siamo indifferenti, perché ciò avviene in Europa e di queste tendenze dobbiamo farci carico, non per assecondarle, ma per costruire un’offerta alternativa e persuasiva.
L’esperienza austriaca nasconde una sfida decisiva per l’Europa. Il confronto tra regionalismo pluralista e democratico, capace di costruire risposte persuasive ai nuovi problemi, ed il regionalismo etno-nazionalista, che costruisce nuovi muri artificiali e pericolosi. La disputa tra federalismo solidale e federalismo etnico si traduce nel conflitto tra convivenza e secessione, un conflitto che rischia di essere decisivo per la sicurezza e la pace del nostro continente. Per questo contestiamo la pretesa di quanti, anche in quest’aula, vorrebbero isolare la vicenda austriaca come una questione interna di un paese membro e ritengono i giudizi dei Governi europei e del Parlamento europeo un’indebita interferenza, una violazione della sovranità nazionale austriaca, un’offesa al valore democratico del voto dei cittadini di un paese membro dell’Unione.
Noi pensiamo che questo tipo di ingerenza appartenga alla nuova forma politica dell’Unione, secondo il principio per cui le questioni interne di un paese membro sono vissute come questioni interne da tutti i cittadini dell’Unione. La cessione di sovranità non riguarda, da tempo, in modo esclusivo i processi dell’economia e della circolazione monetaria, ma investe, in un rapporto di interdipendenza complesso e crescente, la tutela dei diritti dei cittadini dell’Unione. Non è una nostra impressione, è il contenuto dei trattati che hanno scandito la formazione e lo sviluppo dell’Unione europea.
La partecipazione all’Unione offre ai cittadini dei paesi membri opportunità, diritti, forza e prestigio, benefici e vantaggi, ma anche vincoli, impegni e garanzie. Nasce da questo assunto il Trattato di Amsterdam, ma nasce da questa consapevolezza anche la volontà, che noi vogliamo confermare, di avvicinare in questa circostanza il sogno dell’Unione politica europea. Si è detto che non può esserci un processo alle intenzioni e che il programma del nuovo Governo austriaco non contiene elementi di contrasto con i trattati. Io penso che sarebbe davvero incomprensibile se la comunità dei Governi e dei rappresentanti popolari dell’Unione europea non esprimesse un giudizio preciso e rigoroso in questa fase, un “avvertimento” – come ha detto il ministro Dini – che precede, per sua natura, le violazioni possibili. Quando si verificassero, le violazioni meriterebbero più di un avvertimento, meriterebbero ben altre sanzioni. Il richiamo alla lettura formale del programma di Governo austriaco, come una risposta appagante per le nostre preoccupazioni, segnala una consuetudine con una politica che non è solo austriaca: la pratica del trasformismo che rende variabili indipendenti le scelte di principio, che rende possibili alleanze innaturali, che rende possibile mutare, con scansione stagionale, non solo la propria denominazione sociale, ma anche i riferimenti interni e internazionali, quelli culturali e le principali affinità.
Non apprezziamo questa pratica neppure nell’ordinaria vita parlamentare interna, ma troviamo che sia estremamente deprecabile quando riguarda le questioni di principio. Per questo motivo abbiamo presentato la mozione in esame e abbiamo promosso questo confronto nel Parlamento italiano. Per questo abbiamo rivolto un invito al Governo, affinché trovi le forme necessarie, nel terreno che troverà più utile e attraverso le forme che riterrà più opportune, al fine di evitare una visita di Haider alla risiera di San Sabba, un’intenzione annunciata e contro la quale si è espresso, all’unanimità, il comitato per la risiera, costituito dai parenti delle vittime.
Non ci importa, vogliamo dirlo con chiarezza, evocare un nuovo fantasma, non ci importa costruire un nuovo nemico: ci importa contrastare sul nascere l’unica malattia che può minare alla base il processo di costruzione dell’Unione europea, prima che si diffonda la spinta alla frammentazione alimentata dai nuovi micronazionalismi. Servono risposte forti da parte della politica e delle istituzioni. Noi pensiamo che la strada sia già segnata e la grande riforma dell’Unione sta nel negoziato per riscrivere le regole e consentire all’Europa di allargarsi. Al principio di esclusione che guida il nazionalismo etnico di Haider va contrapposto il principio dell’inclusione.
Come ricordava il Presidente Ciampi nel suo primo messaggio al Parlamento, la sicurezza e l’avvenire dell’Europa risiedono nel disegno di un percorso di estensione della cittadinanza europea ai popoli che nel continente hanno vissuto e vivono la loro identità storica. Questa è la nostra intenzione e questo è il motivo e la ragione della nostra proposta a questo Parlamento.