Le modalità di adesione al partito, la sua organizzazione, la selezione e formazione della classe dirigente, i rapporti con le altre forze all’interno della coalizione sono solamente alcuni dei temi affrontati da Antonello Soro nel corso dei lavori preliminari del congresso costitutivo della margherita DL. Si avverte nitida la sensazione di partecipare ad un evento che segna una profonda svolta nel tradizionale, e oramai superato, modo di intendere i rapporti tra classe politica e cittadini: nuovi strumenti e nuove forme di partecipazione si fanno strada.
Congresso Costitutivo Margherita DL, novembre 2001.
Premessa
L’esigenza di rinnovare le modalità organizzative e di vita dei partiti continua ad essere un tema attuale, nonostante le novità sperimentate in questi anni e il moltiplicarsi delle forme di espressione della volontà politica dei cittadini.
Dal successo dei movimenti referendari, alla nascita del popolo dei fax, all’entrata prepotente dell’analisi politica dei sondaggi di opinione, allo sviluppo di trasmissioni televisive basate sul televoto, al manifestarsi di una grande mobilità del voto in occasione delle elezioni politiche ed amministrative, in cui, grazie alle riforme elettorali, è possibile cambiare radicalmente le forze politiche al governo dell’istituzione: tutti segnali di un unico fenomeno, quello della crescita del desiderio di partecipare in maniera più diretta alla vita politica del paese, di far sentire la propria voce, di influire sulle scelte da fare.
Si è passati cioè da una fase in cui l’attenzione alla politica si manifestava principalmente con la critica, ad un’altra in cui tale attenzione si realizza con forme più creative, più partecipative, come la firma o il sostegno a iniziative referendarie, l’invio di fax alla direzione di partiti o dei giornali, un voto più attento ai programmi e alle persone che lo impersonano piuttosto che alle ideologie.
In questa ottica si potrebbe spiegare anche il minor lasso di partecipazione alle elezioni, che si registra ormai da qualche tempo, essendo l’elettore convinto, a torto, che l’esito del voto sia deciso già dai sondaggi.
Riconosciute queste circostanze, va ammesso che anche la forma partito, ossia quell’insieme di regole che determinano la sua organizzazione e il suo funzionamento, non può non tenere nel dovuto conto questa nuova situazione.
E quanto sia ineludibile una nuova forma dell’organizzazione politica è largamente confermato dai continui successi elettorali di tutti i partiti e i movimenti percepiti come “nuovi”.
Tali risultati non si giustificano solo con l’attenzione riservata dai media ad alcuni leader, ma anche con l’esigenza sentita dagli elettori di esprimere questa nuova volontà politica, di partecipare più attivamente alla vita democratica, e soprattutto con l’imprevedibile reattività con cui tale esigenza è stata manifestata, circostanza tutto sommato comprensibile dopo decenni di impermeabilità della vita politica italiana, alla quale si accedeva con difficoltà.
Quanto detto giustifica perciò la necessità di una riflessione sulla forma partito.
Per questo motivo e forse anche per un desiderio inevitabile di ritorno a schemi affidabili di partecipazione alla vita democratica, in Italia sta rinascendo un dibattito, che attraversa ormai tutte le forze politiche, su quale forma dare al partito, per renderlo più aderente alle necessità politiche dei cittadini.
Prima di iniziare l’approfondimento dei singoli aspetti della forma partito, ritengo opportuno esporre alcune considerazioni preliminari per limitare il campo di indagine e per definire un terreno di realistica applicabilità delle soluzione prospettate.
La necessità di operare in questi termini risulterà evidente ove si pensi che le questioni connesse a questo tema sono molteplici e varie; passano, infatti, dalle forme di adesione al partito alla selezione e formazione della classe dirigente, dalle modalità del processo decisionale alla comunicazione, dall’organizzazione del partito alla strutturazione delle alleanze.
Le soluzioni a questi problemi generalmente variano nel tempo e nella spazio in funzione delle caratteristiche della base che il partito rappresenta, delle sue condizioni economiche e sociali, delle sua evoluzione culturale e tecnologica.
Questa prima considerazione preliminare va tenuta presente poiché ricorda che qualsiasi impostazione della forma partito non deve essere giudicata, e tanto meno scelta, secondo criteri astratti quali la modernità, la chiarezza e logicità delle regole, la perfetta democraticità e così via.
La struttura e le regole del partito devono essere invece valutate in funzione dell’accettabilità da parte della sua dirigenza, degli iscritti e dei simpatizzanti, della sua compatibilità con il funzionamento delle istituzioni e delle norme elettorali, delle esigenze della società in termini di aspirazioni politiche, dell’integralità con il sistema partitico presente nei paesi con i quali vi sono istituzioni politiche comuni (es. Parlamento europeo).
Si rischierebbe altrimenti di creare delle frustrazioni, conseguenti all’impossibilità pratica di calare nella realtà quotidiana le regole messe a punto.
Una seconda considerazione preliminare riguarda la necessità che la forma partito si adeguata all’obiettivo o al paradigma di obiettivi che il partito si pone. Questi, a parte quelli di tipo ideale, possono essere molteplici, variando soprattutto in funzione delle regole del gioco politico, in particolare quelle elettorali. In un contesto di rappresentanza proporzionale il partito deve puntare a raccogliere il massimo consenso possibile, di fatto in forte competizione con qualsiasi altra forza politica. Ne consegue che assume molta importanza la visibilità del partito, la sua presenza nel territorio, la soddisfazione dell’elettorato sul piano individuale, mentre assume minore rilevanza, ad esempio, la comunicazione del programma, poiché di questo si occuperà il governo e/o i gruppi parlamentari al momento dell’insediamento o delle elezioni.
Con una legge elettorale maggioritaria, come nel nostro caso, il massimo consenso possibile del partito non dovrebbe essere l’unico obiettivo da perseguire, poiché, come è evidente, il consenso acquisito verrebbe sottorappresentato se la coalizione di cui si fa parte perde. In tale situazione può assumere maggiore importanza un’attività politica basata su una comunicazione efficace che convinca l’elettorato di quanto sia solida l’alleanza, valido il programma comune, capace il leader scelto.
Pertanto un’attività di questo tipo può risultare altrettanto utile di quella tipica di promozione nel territorio, potendosi, anzi, supportare a vicenda. D’altronde, quando si vota con il sistema elettorale maggioritario, l’elettorato è portato a valutare, più che il singolo candidato o il singolo partito, la coalizione nel suo complesso.
Una terza considerazione preliminare concerne la consapevolezza che l’assetto della forma partito debba variare gradualmente nel tempo, in modo da essere sempre coeva alle esigenze del momento storico-politico, e tale da consentire a chi la deve applicare di abituarsi ad essa.
Non sono pochi d’altronde i casi di spaccatura e scomparsa di partiti, travolti da nuovi assetti organizzativi o da eventi socio-politici, a cui non si è saputo far fronte.
Un’ultima considerazione preliminare riguarda l’opportunità di approfondire quale ruolo deve svolgere il partito nella vita democratica. Con questo si intende, non gli scopi perseguiti dai militanti del partito, bensì il ruolo che i cittadini assegnano al partito nella società civile, o meglio alla sua esistenza.
La storia recente dei paesi europei ha evidenziato come il ruolo della politica si stia modificando con l’aumentare del contenuto tecnico ed economico del dibattito politico, e con il contemporaneo affievolirsi dell’esaltazione dei valori e dei principi, essendo sempre più largamente condivisi i riferimenti ideali costitutivi della comunità politica nazionale.
Fra le ragioni di questa tendenza si può anche annoverare l’elevato livello di benessere acquisito da una fascia molto ampia della popolazione, sebbene, negli ultimi tempi, tale conquista pare essere messa in discussione dai cambiamenti in atto nel funzionamento delle economie di mercato.
Ne deriva la necessità per la politica, e quindi per i partiti, di riprendere temi e argomenti tali che rialzino il livello del confronto politico, non riducendolo sempre e comunque a una mera composizione di interessi materiali, trovando invece obiettivi di grande portata ideale, in grado di ispirare una nuova partecipazione emotiva dei cittadini.
Questo, certamente, non vuole dire che la politica deve rinunciare a formulare scelte di contenuto tecnico, per le quali, anzi, dovrebbe attrezzarsi meglio, in modo da poter decidere consapevolmente e controllare le scelte fondamentali per la vita del paese.
Ecco quindi quale potrebbe essere il ruolo di un partito in una società moderna: sede di elaborazione di grandi progetti istituzionali e sociali, e al tempo stesso centro di mediazione delle istanze provenienti dai diversi settori della società civile, così da poter presentare proposte tecnico-politiche in grado di dare risposte adeguate ai sempre più complessi problemi delle società moderne.
Perciò non bisognerebbe più limitarsi esclusivamente a rappresentare gli interessi, di fasce più o meno larghe della popolazione, né ad aggregare candidati e programmi in occasione delle elezioni, e neppure a testimoniare ideologie, più o meno attuali, per perpetuare il ricordo, anche se avulse dalla realtà sociale.
Modalità di adesione.
Oggi molte persone non entrano nei partiti non solo per l’offuscamento della loro immagine, ma anche perché l’organizzazione partitica, a partire dall’adesione, finisce per creare una barriera rispetto alla comune sensibilità degli elettori.
Spesso, invece, i cittadini sentono il desiderio di avvicinarsi alla politica non attraverso l’adesione ad un’ideologia globalizzante e onnicomprensiva, ma sulla base di singoli problemi che si trovano ad affrontare nella vita quotidiana.
Il partito deve allora diventare un luogo accogliente per questa domanda di partecipazione, che può essere in certa misura episodica e settoriale. E’ per questo necessario superare le rigidità che spesso caratterizzano la struttura dei partiti consentendo agli elettori di prendere parte alle discussioni ed all’elaborazione delle parti del programma che più li interessano e delle quali sono maggiormente esperti, senza che questo comporti un impegno complessivo e totalizzante nel partito (il partito come federazione di idee).
Per diversi livelli di partecipazione si potrebbe allora ipotizzare diversi tipi di adesione, da affiancare a quella tradizionale.
Sarebbe così possibile anche una partecipazione limitata alla discussione dei singoli progetti o settori di programma per i quali non verrebbe richiesta un formale iscrizione (al fine di razionalizzare l’organizzazione si potrebbe pensare ad una semplice annotazione della partecipazione di una persona ad una data attività). Naturalmente questa esigenza deve essere conciliata con quella, in parte confliggente, di tutelare coloro che sottoscrivono un’adesione più piena, e che per questo devono essere messi in condizioni di incidere maggiormente nelle decisioni del partito.
Per questo coloro che scelgono di non iscriversi al partito, pur partecipando ad alcune attività, non potranno incidere sulle scelte alla stessa misura con cui possono farlo gli iscritti.
Il metro per misurare il diritto di partecipazione alle decisioni non dovrebbe però essere solo la formale adesione, ma l’effettiva partecipazione alle attività del partito: per questo la semplice iscrizione al partito, non accompagnata da un impegno concreto nello stesso non dovrebbe dare diritto ad un potere decisionale maggiore di quello spettante a chi, pur non sottoscrivendo il modulo di iscrizione, abbia comunque dato il suo contributo partecipativo alla vita del partito.
Si può pensare ad un sistema in base al quale chi non partecipa ad un certo numero di iniziative (senza adeguata giustificano), perde lo status di iscritto pieno iure e viene considerato alla stregua di semplice aderente, annotandosi la sua partecipazione alle iniziative future? Forse sarebbe più coerente con l’approccio flessibile scelto.
In questo logica dovrebbe essere consentito a tutti coloro che, avendo condiviso un manifesto contenente i principi ispiratori del partito, si riuniscono su base territoriale o tematica per discutere o elaborare una proposta, di essere riconosciuti per il lavoro svolto.
Naturalmente si dovranno trovare meccanismi che consentano di vagliare ed approvare le proposte del gruppo stesso, prima che queste possano essere presentate come idee riconducibili al partito.
Organizzazione per identità o per interessi.
Per venire incontro alle diverse domande di partecipazione, corrispondenti alle diverse identità sulla base delle quali anche il medesimo elettore può volta a volta avvicinarsi al partito, si dovrebbe consentire un tipo di adesione (o registrazione della partecipazione ad una data attività) differenziata per tipo di problematiche su si è interessati. Si potrebbe così pensare, a fianco alla tradizionale iscrizione legata all’appartenenza territoriale (la sezione territoriale, che potrà naturalmente avere una sede anche virtuale, o essere “ospitata” presso altre strutture), un tipo di adesione tematica ad un dato gruppo di discussione/elaborazione tematica.
Si potrebbero così formare, indipendentemente dalla collocazione territoriale degli aderenti, gruppi di consumatori, padri, professionisti, ecc. (organizzazione per identità) oppure di interessati alle riforme fiscali, a quelle istituzionali, alla disciplina per la caccia, ecc: (organizzazione per temi e problematiche). Sarà poi compito del partito, come lo è della politica, offrire una sintesi progettuale, componendo le diverse istanze espresse dai vari gruppi, anche attraverso un confronto fra gli stessi.
Bisognerebbe inoltre favorire un rapporto di scambio permanente con l’associazionismo. Le esperienze di cui la Margherita è erede si caratterizzano per lo stretto rapporto con la realtà dell’associazionismo, nelle sue più diverse espressioni, da quello ecclesiale a quello sindacale.
Tale ricchezza non solo non deve essere smarrita, ma merita uno sforzo anche organizzativo teso a raccogliere gli impulsi che da queste realtà possono venire.
Non si vuole qui certo riproporre l’instaurazione di rapporti che hanno caratterizzato epoche ormai tramontate, che avevano visto il nascere di collateralismi fra organismi operanti in ambiti diversi, con commistioni che, se mai un tempo possono avere trovato una giustificazione storica, oggi non sono sicuramente più proponibili. Si vuole invece far sì che il partito, mantenendo la sua specificità, possa diventare uno strumento duttile per accogliere le istanze che vengono da tali realtà, e che rappresentano il nostro Paese una delle maggiori riserve di impegno e partecipazione.
E’ allora dovere della Margherita aprirsi a tali mondi, non per “catturare” consenso, ma per ricavare stimoli e sollecitazioni da parte di persone alle quali si è legati per comunanza di sensibilità e cultura.
La volontà di aprirsi a queste realtà deve allora portare ad un impegno costante di consultazione, teso ad instaurare un rapporto permanente di scambio, attraverso misure quali l’invito dei rappresentanti di queste realtà alle riunioni pubbliche di alcuni organi del partito (al diritto di partecipazione potrà aggiungersi quello di parola, ed in certi casi di voto, con modalità da disciplinare statutariamente o attraverso i regolamenti interni dei singoli organismi), specie in occasione di dibattiti volti a definire il programma o ad individuare le candidature.
Saranno favorite, anche attraverso l’assunzione da parte del partito dei relativi oneri organizzativi, le iniziative comuni, per le attività e le funzioni di comune interesse.
Possibili inoltre le adesioni collettive. Naturalmente saranno accolte con favore le adesioni che le associazioni decideranno di fare, in quanto tali, al Partito, avendone dichiarato pubblicamente la propria condivisione dei suoi ideali e programmi, anche qui, appositi patti da allegare allo statuto, potranno disciplinare le modalità con le quali gli aderenti all’associazione partecipano alla vita interna del partito.
Vi è poi un altro aspetto da non trascurare. Una parte degli iscritti aderisce al partito principalmente alla vigilia dei congressi per il solo scopo di esprimere il voto congressuale. Da questa prassi derivano problematiche legate alla selezione della classe dirigente.
Avvenendo questa in base al numero dei voti congressuali, succede che, almeno a livello locale, la classe dirigente ha indubbie capacità di attirare formalmente molte persone al partito, ma non garantisce di saperle coinvolgere realmente nell’attività politica, e tanto meno di essere in grado di svolgere bene gli incarichi istituzionali che eventualmente assume.
Per evitare che la dichiarazione di appartenenza sia strumentale al sostegno di un candidato congressuale si potrebbe prevedere che al voto possano accedere solo gli iscritti anteriormente alla data di convocazione della riunione. In altre parole solo chi si è iscritto da diverso tempo e comunque in tempi non sospetti può prendere parte alle decisioni.
Ci si potrebbe spingere a prevedere che l’accesso al voto sia limitato solamente a coloro che partecipano alla vita del partito da tempo molto anteriore alla data di convocazione, con la possibilità di revocare l’adesione se l’iscritto non partecipa a nessuna iniziativa del partito, a parte le votazioni per la scelta della classe dirigente.
In altre parole coloro che si iscrivono solo per esprimere il voto congressuale si troverebbero costretti o a partecipare alle altre attività, o a perdere il diritto di voto.
Modalità di organizzazione del partito
L’ampliamento dei mezzi di comunicazione e la notevole crescita del numero di media, consentono uno scambio di informazioni e un’interazioni fra molte persone in tempi molto stretti.
Diventa quindi meno necessaria la presenza fisica degli interlocutori per scambiare idee e opinioni, per elaborare proposte, per concludere accordi, in una parola per fare attività politica. In un contesto di questo tipo un partito può continuare a svolgere le sue funzioni anche senza una presenza capillare sul territorio fatta di sezioni ed uffici, purché disponga di centri di collegamento attrezzati dove è possibile mantenere una rete di contatti fra aderenti e la sede, e fra questa e la sede di livello superiore, così da consentire un flusso adeguato di idee e proposte, informazioni e iniziative.
Naturalmente non vanno eliminate le occasioni di incontro personale, insostituibili anche per i risvolti umani, ma si può sicuramente ridurre la loro frequenza, senza d’altronde attenuare l’intensità del livello di partecipazione e attenzione politica. In una società in cui si inizia a parlare di telelavoro è possibile allora parlare di telepartecipazione politica.
Questa modalità di partecipazione alla vita del partito favorirebbe forse l’avvicinamento di cittadini che, non intendendo svolgere professionalmente l’attività politica, costituiscono l’elemento più utile per l’elaborazione delel politiche, rappresentando a pieno titolo la società civile e interpretandone meglio le sue istanze. Migliorerebbe, in sostanza, il rapporto osmotico fra politici e collettività.
Questa impostazione premierebbe inoltre più i contenuti rispetto agli aspetti di rito, come la presenza ad assemblee e riunioni. Infatti, usando un mezzo di telecomunicazione, specie per scritto come il fax o l’e-mail, si è più sollecitati a focalizzare l’attenzione sugli aspetti salienti, rispetto a quando si comunica con un interlocutore presente di persona. Ne potrebbe derivare in definitiva un innalzamento della qualità del dibattito politico, un confronto più di natura intellettuale, una maggiore aderenza ai problemi della società in cui si vive.
Da queste premesse deriva una concezione organizzate del partito secondo le seguenti modalità: sedi periferiche dislocate sia in termini territoriali sia in termini sociali, ossia in rappresentanza delle varie categorie e produttive e sociali; sedi regionali e plurilocali (es. provinciali, gruppi di comuni), dotate di strumenti di telecomunicazione tali da consentire l’interlocuzione con i militanti della propria area di competenza o con le sedi che ad essa afferiscono; una sede nazionale costituita da uffici che svolgono soprattutto compiti di comunicazione, di elaborazione di programmi, di gestione delle alleanze, con rapporti di sussidiarietà con le sedi regionali (intervenire quanto è utile).
Modalità di selezione e formazione della classe dirigente.
La selezione della classe dirigente è uno dei temi più spinosi di ogni aggregazione sociale. Questo aspetto non è mai stato codificato e difficilmente potrebbe esserlo. In realtà, è difficile comprendere i criteri di selezione della classe dirigente. Si potrebbe affermare che, guardando la storia di tutti i politici, la selezione è avvenuta spesso per cooptazione.
E’ un sistema largamente utilizzato in tutto il mondo. Grandi leader sono stati spesso i delfini di altrettanti grandi politici. Il problema sorge dal fatto che spesso la selezione avviene in maniera casuale, in alcuni casi in modo nepotistico.
Le garanzie per una buona scelta derivano in genere da due fattori che operano sia congiuntamente che disgiuntamente: il numero di voti congressuali e la capacità di giudizio della classe dirigente precedente.
Con l’evoluzione della società, sotto l’aspetto economico, tecnologico, culturale, etnico, i problemi sono cresciuti sia in termini di quantità che di complessità. conseguentemente anche le capacità richieste per governare questa evoluzione e i fenomeni conseguenti, sono più elevate. Allo stesso tempo, per evitare di ridurre la politica ad attività esclusivamente tecnica, occorre anche una predisposizione etica, che le vicende di corruzione degli scorsi anni hanno reso ancora più necessaria.
A ciò si aggiunga che la scelta dei candidati nella maggior parte dei casi dovrà essere effettuata in collaborazione con le altre forze della coalizione poiché le candidature saranno comuni; proprio per la partecipazione all’Ulivo, la Margherita non solo non avrà propri candidati in ogni parte del territorio, ma potrebbe essere costretta, in sede di trattativa, a rinunciare ad alcune candidature in favore di altre forze della coalizione.
Per quanto riguarda, poi, la formazione, le domande cui rispondere sono numerose e significative. Di che mezzi si dispone per organizzarla? Quanti oggi si iscriverebbero alle scuole di partito? C’è il rischio di proporre la politica come professione?
Meglio appoggiarsi alle strutture di formazione esistenti, riprendere il cammino in parte interrotto delle scuole di formazione nate sull’esempio di quella di Palermo, culturalmente a noi vicine; pensare alla creazione di fondazioni che sappiano formare e nel contempo offrire occasioni di approfondimento e proposte dirette anche ai non addetti ai lavori; utilizzare gli strumenti di comunicazione del partito per offrire un servizio formativo a tutti; concordare all’interno dell’Ulivo forme comuni di azione.
Modalità di promozione del partito e di coinvolgimento degli elettori.
Uno degli elementi che hanno portato alla caduta del precedente sistema di partiti è stato lo scarso coinvolgimento che queste forze politiche hanno promosso nei confronti dei cittadini. Questi sembrano più dei sudditi che degli utenti del sistema politico.
Il senso del distacco, della distanza che si avvertiva quando si aveva a che fare con i politici, apparentemente una classe sociale a se stante, era notevole: una classe che, per di più, sembrava quasi immutabile.
Queste circostanze spiegano, almeno in parte l’esplosione della rabbia all’indomani di Tangentopoli e l’accanimento di molti cittadini nei confronti dei politici indagati nel quadro di quelle indagini. C’è da riflettere su quanto, nella “seconda repubblica”, tutto questo sia cambiato realmente e quanto il cambiamento sia stato percepito dai cittadini.
Per ribaltare davvero la situazione, occorre riconfigurare il rapporto del partito nei confronti della società civile. Come è stato in parte anticipato nella premessa, il partito deve trasformare le sue funzioni e il suo ruolo.
Da centro di potere deve diventare un centro di servizio, dove, accanto all’attività di elaborazione di grandi progetti istituzionali e sociali, deve esservi quella di mediazione con i settori sociali e le categorie produttive, dove lo scambio non sia più voto-concessioni, bensì istanze-proposte.
Sulla capacità di individuare le proposte migliori per la collettività, di contemperare le contrastanti esigenze, di trovare le soluzioni più adeguate ai complessi problemi della società moderna, si dovrà poi basare la competizione elettorale fra le diverse forze politiche.
Se la promozione del partito deve passare per il coinvolgimento degli elettori, allora occorre che questo sia organizzato conseguentemente: struttura facilmente accessibile da parte dei cittadini e delle loro associazioni con le quali il responsabile della sede di partito deve confrontarsi ed essere in grado di recepirne i messaggi; uffici di partito attribuiti ai dirigenti non secondo l’importanza ma in base alla conoscenza dei problemi, pubblicazione e continuo confronto con le proposte fatte dal partito.
La Margherita decide di compiere un passo completo verso il rinnovamento nel momento in cui disegna la propria struttura organizzativa e le modalità con cui si svolge la vita interna, con l’obiettivo di avvicinarsi maggiormente ai cittadini, alle loro speranze, ai loro bisogni.
Una meta per la Margherita, una sfida per tutti. Riformare la struttura ed il modo di operare dei partiti, trasformare e fare percepire queste organizzazioni come luoghi accoglienti, nei quali possa effettivamente trovare risposta la domanda di partecipazione politica dei cittadini, costituisce un obiettivo che supera le ambizioni di una singola formazione politica, e va al di là del legittimo desiderio di rafforzare il proprio consenso.
Rappresenta invece un traguardo che è insieme un imperativo etico per chiunque voglia dare piena attuazione agli ideali democratici posti alla base del nostro ordinamento. Per questo, l’obiettivo che oggi si propone la Margherita non può essere letto esclusivamente come un passaggio nel cammino interno di crescita e consolidamento di una formazione politica che, seppure nata sulle basi di un incontro tra tradizioni antiche è essenzialmente nuova.
Esso deve invece essere vissuto come un contributo, un invito, ed una proposta fatta anche alle altre forze politiche della coalizione dell’Ulivo e del Paese tutto, affinché sappiano ripensare se stessi per riqualificare la partecipazione responsabile dei cittadini alla vita pubblica.
Oggi più di ieri un ordinamento qualifica se stesso come democratico nella misura in cui riesce a rendere tutti i cittadini parte attiva delle scelte che il coinvolgimento come singoli e come collettività. Di fronte alle crescenti tentazioni di chiudersi in se stessi, nella propria attività e nella difesa dei propri interessi è necessario far riscoprire come sentimenti condivisi il piacere e l’appagamento che può derivare dal dedicare parte del proprio tempo e delle proprie energie al servizio della cosa pubblica.
Nella nostra società esiste una domanda viva di partecipazione, che a volte si manifesta in forme straordinarie di servizio agli altri come nel volontariato, ed altre volte non riesce a trovare sbocchi, e si inaridisce nella chiusura nel privato. In entrambi i casi si avverte però la mancanza di uno sbocco che consenta di far sfociare il proprio desiderio di partecipazione in un impegno a servizio della collettività tutta, nella partecipazione alla progettazione del proprio futuro. Questo è evidentemente il compito della politica, intesa appunto come capacità di farsi capo dei problemi, dei desideri e delle speranze che emergono nella società, per cercarne una sintesi più alta; questo è il compito dei partiti, chiamati a rinnovarsi per ritrovare se stessi e il proprio ruolo originario.
Affermare che i partiti devono riqualificare la loro presenza nella società non significa certo vagheggiare un sistema partitocratico, nel quale i partiti abbiano il monopolio delle forme di partecipazione politica al di là dei discutibili fondamenti storici che potrebbe avere la proposta di un ritorno a una supposta “età dell’oro” dei partiti è evidente che la domanda di partecipazione politica si manifesta oggi in un contesto molto diverso non solo rispetto a quello di cinquant’anni fa, ma anche di cinque anni fa.
La società civile si è fatta molto più ricca e matura, ha creato al suo interno innumerevoli strumenti di partecipazione che oggi svolgono alcuni dei compiti che nei primi anni della nostra esperienza repubblicana erano stati affidati ai partiti. Inoltre, le grandi trasformazioni del nostro tempo, che vedono ridimensionarsi il ruolo stesso dello Stato (e quindi della politica) nell’economia, non possono che incidere sull’influenza esercitata dai partiti sulla realtà sociale.
Così pure, le riforme elettorali, che hanno in generale enfatizzato il ruolo dei candidati e delle coalizioni rispetto a quello delle singole formazioni politiche, nonché il progressivo spostamento del baricentro istituzionale dal Parlamento al governo, sul quale tradizionalmente le forze politiche esercitano un’influenza meno diretta, contribuiscono a ridimensionare il ruolo dei partiti nella vita pubblica.
Infine, le degenerazioni di cui si erano resi protagonisti i partiti, sfociate nelle inchieste giudiziarie, non possono che pesare sulla percezione che di essi hanno i cittadini, richiedendo un accresciuto impegno – quale quello che oggi si accinge a prendere la Margherita – per fare comprendere a tutti che quella fase è ormai definitivamente superata, e che i partiti sono i primi a non volerne il ritorno.
I partiti possono avere nella società un ruolo più o meno importante rispetto ad altri attori politici quali le burocrazie pubbliche, i gruppi di interesse, le élites, i movimenti di opinione, eccetera. La loro collocazione e il loro peso nel sistema dipende – e storicamente è dipeso – dalla loro capacità di rispondere alle effettive esigenze della collettività. Dipenderà dunque dalla loro capacità di farsi strumento flessibile di partecipazione al servizio dei cittadini, se potranno riguadagnarne la legittimazione perduta, se sapranno ricoprire nuovamente un ruolo da protagonisti nella società.
Ecco allora la portata della sfida che abbiamo di fronte; ecco l’importanza del cammino che qui si intende compiere; ecco la necessità di un impegno che sappia tornare alle origini di una missione, ritrovando le ragioni ed insieme l’orgoglio di svolgere una funzione fondante ed insopprimibile per la democrazia nel nostro paese.
Per fare questo è necessario rifarsi alle funzioni che i partiti hanno, o possono avere, nella società contemporanea, in modo da progettarne la struttura in funzione di queste, in modo da valutare in che misura tali compiti possano essere organizzati, lasciando, se necessario, spazio a soggetti diversi, così da garantire la massima apertura dell’organizzazione senza sacrificare le regole democratiche, che devono essere poste alla base delle procedure decisionali.
Nella società contemporanea i partiti non possono più essere le organizzazioni tendenzialmente totalizzanti che sono stati in passato. Non sono più il luogo dove si trovano tutte le risposte per tutti i problemi a tutte le età (con la correlativa articolazione in movimenti giovanili, femminili, per anziani eccetera).
Ciò non solo perché oggi, di fronte alla ricchezza e varietà della società civile cui si è fatto cenno, non è più concepibile un’organizzazione che esaurisca in se stessa ogni forma di partecipazione dei cittadini: ma anche perché, correlativamente, le persone, nel rapportarsi con la vita sociale, assumono sempre più diverse identità a seconda del problema che affrontano e dell’ottica con cui lo affrontano (sono ad esempio consumatori o fruitori, ma per alcuni beni prevale il loro interesse di produttori; o ancora, i dipendenti pubblici, al pari degli altri cittadini, vorrebbero un’amministrazione più efficiente, ma sono più indulgenti nei confronti di quella in cui lavorano perché prevale il loro interesse come dipendenti della stessa, eccetera).
In questa luce, anche l’appartenenza territoriale che pure oggi si manifesta con grande intensità (nonostante la minore incidenza del vincolo territoriale nello svolgimento delle diverse attività, grazie al progresso tecnologico), rappresenta una delle tante identità attraverso cui è possibile avvicinarsi alla politica. Diventa così pienamente accettabile, se non addirittura naturale, votare una lista civica o fondare un partito secondo il modello “catalano” per risolvere i problemi in sede locale, e contemporaneamente schierarsi a favore dell’Ulivo quando si deve eleggere il parlamento nazionale. In conseguenza di ciò l’articolazione territoriale del partito con ampi spazi a forme di autonomia federale, che fino a ieri rappresentava una delle istanze più avanzate di riforma, oggi è divenuta una risposta necessaria, ma probabilmente non sufficiente, richiedendosi invece – come si cercherà di specificare meglio in seguito – nuove forme di “federalismo” tematico o ideale.
Rapporti con la coalizione
La Margherita deve restare come presenza visibile nell’Ulivo per rafforzarlo rafforzandosi. La Margherita costituisce un fattore determinante per il successo della coalizione dell’Ulivo: è quindi naturale che intenda continuare ad operare per il suo rafforzamento ed il suo sviluppo. Proprio in ragione di ciò, resta la necessità che la Margherita permanga al suo interno presenza visibile ed immediatamente identificabile di un’ispirazione che si richiama ed è erede della tradizione culturale ed ideale dei cattolici democratici e dei liberal democratici in politica.
È dunque necessario maturare una duplice consapevolezza, che tante volte sembra invece mancare in molti pur attenti osservatori della nostra realtà politica: da un lato, nella fase attuale la scomparsa delle diverse componenti della coalizione all’interno della stessa, lungi dall’arricchirla, finirebbe per indebolirla, privando di importanti punti di riferimento gli elettori che, pur condividendo le scelte della coalizione, continuano a sentire una più immediata identificazione nei diversi partiti che in essa si raccolgono.
Dall’altro, come hanno inequivocabilmente dimostrato i risultati elettorali, le forze riunite nell’Ulivo traggono vantaggio dal rafforzamento della coalizione nel suo complesso, dal suo mostrarsi come un’aggregazione non episodica o temporanea, ma stabile e duratura, dalla sua capacità di creare una cultura propria attraverso la sintesi di quelle delle formazioni che la compongono.
Devono quindi essere superate tutte le letture che vorrebbero vedere una contrapposizione, o addirittura un’inconciliabilità fra la volontà di chi lavora per rafforzare la Margherita e chi invece più direttamente si impegna per la crescita dell’Ulivo: al contrario, entrambe vanno nella stessa direzione, verso la realizzazione di un unico progetto per lo sviluppo del nostro Paese.
Tutto ciò dovrà naturalmente riflettersi anche sulla struttura organizzativa del partito, la quale dovrà quindi tenere conto sia delle peculiarità della Margherita che naturalmente si rifletteranno sul suo modo di operare e rapportarsi con chi vi si avvicina, sia dell’appartenenza alla coalizione, favorendo lo svolgimento di alcune funzioni ed attività in comune o in parallelo con altre componenti della coalizione.
Ecco perché è necessario un impegno di tutte le forze alleate nell’Ulivo affinché ripensino la propria struttura ed il proprio modo di interagire con le altre formazioni della coalizione. Innanzitutto, la formazione di programmi comuni che dovrà essere la continuazione naturale della definizione interna degli stessi. La coalizione dovrà definire la sua posizione riguardo alle diverse problematiche attraverso una discussione libera e aperta delle forze che la compongono, mediante un percorso che porti a conciliare le posizioni delle diverse componenti, fino a farle confluire in un programma condiviso.
Bisognerà per questo creare procedure di confronto nelle quali ognuna delle componenti possa portare il proprio contributo originale, così che successivamente tutte possano riconoscersi nelle scelte comuni. Si dovranno per questo creare luoghi di discussione ed organizzare assemblee programmatiche comuni, e sarà sempre possibile per le diverse componenti promuovere momenti di incontro e confronto, di comune accordo con le altre.
Partecipazione delle forze dell’Ulivo alla vita interna della Margherita
Più in generale, tutta la vita interna della Margherita – ed altrettanto si chiede avvenga per le altre componenti della coalizione – non potrà prescindere dall’appartenenza all’Ulivo, pur nel mantenimento della propria autonomia, nei termini che si sono indicati.
Così, ad esempio, l’adesione al partito comporterà salvo rinuncia, anche l’adesione all’Ulivo (un’opzione meno stringente potrebbe essere quella di una duplice adesione espressa, da formulare contemporaneamente). Così nelle riunioni pubbliche degli organi della Margherita potranno essere invitati i rappresentanti delle altre componenti della coalizione (nei loro confronti si potrebbe ad esempio stabilire statutariamente – magari dietro un vincolo di reciprocità – l’obbligo di convocazione ed il diritto a prendere la parola secondo modalità da definire).
Soprattutto negli incontri pubblici di carattere programmatico, gli aderenti alla coalizione non iscritti alla Margherita potranno offrire secondo diverse modalità il proprio contributo (anche qui, diritto di convocazione mediante avviso alle altre componenti della coalizione, diritto di parola, ed in certi casi anche partecipazione alla votazione).
Lo statuto potrà inoltre prevedere esplicitamente la possibilità di promuovere iniziative comuni con le altre forze della coalizione, sia per dibattere sulle scelte programmatiche, sia eventualmente per decidere sulla scelta di candidati comuni (l’ipotesi dello svolgimento di elezioni primarie dovrà essere studiata insieme alle altre componenti dell’Ulivo, in modo da garantire la necessaria flessibilità e senza sacrificare la posizione delle forze minori). Al pari di quanto potrà avvenire per altri gruppi ed associazioni, potranno essere stipulati, anche a livello periferico, ulteriori patti di consultazione per assumere determinate decisioni, al fine di garantire la massima rispondenza delle stesse alla volontà di quanti si trovano a percorrere un tratto di strada in comune con la Margherita.