Intervento all’assemblea regionale della Margherita

Tramatza, 30 Maggio 2005
Neppure le grandi questioni politiche aperte in questi giorni sul fronte nazionale possono impedirci di aprire questa nostra Assemblea nel segno della soddisfazione per lo straordinario risultato elettorale conseguito dal Centro sinistra in Sardegna e nel segno della gratitudine per gli elettori che ci hanno espresso fiducia e apprezzamento.
Ma anche gratitudine per i nostri candidati che hanno saputo rappresentare con generosità e passione le ragioni della “Margherita”.
Voglio esprimere, convinto di interpretare i sentimenti di tutti i presenti, i migliori auguri a tutti i nostri eletti.
A partire dal Presidente dell’Assemblea Tonino Loddo, Sindaco di Lanusei. E poi Alessandra Giudici, presidente della Provincia di Sassari, Pierfranco Gaviano, presidente della provincia del Sulcis, Roberto Deriu presidente della provincia di Nuoro, Gigi Ruggeri sindaco di Quartu, Aldo Pili, sindaco di Sestu.
E con loro i 24 sindaci eletti l’8 maggio nei comuni minori.
Le provinciali si chiudono con un punteggio tennistico: 7 a 1 per noi.
Nei comuni sopra i 15000 abitanti la coalizione ha vinto dovunque: a Sassari, Nuoro, Quartu, Sestu, Iglesias e Porto Torres.
E solo per Nuoro si tratta di riconferma. Le altre città sono state strappate al centro destra.
Un risultato che va al di là delle nostre stesse aspettative, se è vero che nella saggia o scaramantica professione di realismo consideravamo alla nostra portata risultati più modesti.
Positivo è il bilancio di tutte le forze che in Sardegna si richiamano all’Unione.
E’ significativo che la scelta del PSD’Az di stabilire una solida alleanza politica con il Centro Sinistra sia stata premiata dagli elettori con un eccellente risultato.
In questo quadro la Margherita ha conseguito un indiscutibile successo.
Nelle province eleggiamo 3 presidenti (Sassari Gallura Sulcis)
28 consiglieri (CA 4; Sulcis 3; M.C 3; Nuoro 4; Ogliastra 4; Or 2; Sassari 4; Gallura 4).
Fanno parte del nostro partito 24 sindaci (tra cui Lanusei), eletti nei 173 comuni con popolazione inferiore ai 15000 abitanti.
Questi dati portano a 112 il numero dei sindaci della Margherita su un totale di 377 comuni.
Su base regionale registriamo una percentuale dell’11,20% rispetto al 10,79 delle regionali del 2004, risultato fortemente condizionato dalla negativa prova nel capoluogo dell’Isola.
I dati delle provinciali collocano il nostro partito secondo nella graduatoria regionale, davanti a Forza Italia.
Nei comuni registriamo autentici exploit. La media regionale dei comuni superiori vede la Margherita al 15%. Siamo il primo partito a:Nuoro con il 20.8%; Quartu S.Elena con il 16,2%; a Sestu con il 18,1% siamo il primo partito della coalizione di centrosinistra.
Quasi ovunque il dato delle comunali ci pone molto al disopra del risultato delle provinciali.
Fanno eccezione Porto Torres, Iglesias dove il partito registra un risultato deludente.
Dovremo fare nei singoli territori una puntuale valutazione per trarre da questa prova elettorale indicazioni per il futuro. Oggi prevale il bisogno di una giudizio d’insieme.
Siamo un partito in crescita dentro una coalizione che vince la sfida elettorale in una fase delicatissima della vita politica sarda e italiana. E abbiamo l’orgoglio di aver contribuito in modo significativo a rinnovare la classe dirigente della Sardegna.
Il voto di maggio segna la sconfitta senza appello della destra che governa l’Italia e che ha governato per 5 anni le amministrazioni della nostra regione.
E segnala un altro significativo cambiamento. Il consenso è stato largamente veicolato dai partiti che hanno saputo rinnovare la propria forma e la propria dirigenza.
Per converso si è decisamente attenuato il fenomeno delle liste personali, lo schema populista antipartito.
I nostri presidenti di Regione e i nostri presidenti di Provincia sono generalmente dirigenti politici maturati nell’esperienza di partito.
D’altra parte è evidente che i movimenti populistici crescono in proporzione inversa allo stato di salute dei partiti e che l’autoriforma della politica sia il miglior antidoto per riguadagnare legittimazione e fiducia da parte dei partiti.
Lo studio dei flussi elettorali dice che noi abbiamo intercettato il voto dei giovani.
Questo è importante perché segnala la nostra capacità di generare speranze.
E ancora: è evidente che c’è stato un deciso travaso di voti dal Centrodestra al Centrosinistra come conseguenza della capacità di espandere l’area del consenso nell’altro schieramento nel pieno dispiegarsi del nostro bipolarismo che diventa sempre più maturo.
E infine lo studio dei flussi elettorali dice che l’astensione ha penalizzato la destra mentre il Centrosinistra ha recuperato una parte dei vecchi astensionisti. Significa che abbiamo ripreso a motivare gli elettori.
Il voto rafforza il governo della Regione. I sardi ci hanno dato credito dopo il primo anno di questa legislatura, quello più difficile: quando il risanamento del Bilancio viene percepito come un taglio e la norma di salvaguardia del territorio come una punizione e la soppressione degli enti inutili come un eccesso di potere. I nostri cittadini si sono fidati di noi perché hanno compreso che esiste un ordito, un disegno di crescita che vale la pena di perseguire.
E non hanno creduto alle prefiche di sventura che attribuivano alla Giunta Soru il blocco dell’economia.
Questo risultato, questa prova di fiducia ci consegnano un carico di responsabilità ancora maggiore.
Noi siamo consapevoli che il ciclo politico del nostro tempo è terribilmente corto, soprattutto nell’esperienza di governo. E dobbiamo sapere che il giudizio non sarà dato sui singoli dettagli ma sul complesso della prova di Governo.
E quindi dobbiamo avvertire, tutti, Presidente, consiglieri regionali, partiti della coalizione che è tempo di passare dalla fase che ha segnato la destrutturazione della vecchia Regione, della vecchia politica alla fase del fare, della concreta attuazione del programma di governo.
A partire dalla necessità di concretizzare l’obiettivo di una nuova Autonomia, definendo la legge statutaria e, nei tempi più brevi, un nuovo patto costituzionale con lo Stato. Ma anche guadagnando, da subito, un regime delle entrate coerente con il titolo terzo dell’attuale Statuto.
Le inadempienze dell’amministrazione dello Stato, l’enorme divario fra quanto dovuto e quanto trasferito al bilancio dalla Regione, costituiscono una insopportabile negazione del fondamento della nostra autonomia speciale.
Una questione di questa portata non può essere rubricata come una delle tante vertenze Stato/Regione.
Questa battaglia non può essere vinta se non viene coinvolta l’intera comunità regionale, a partire dal Consiglio Regionale e dal nuovo sistema delle autonomie locali.
E bisogna mettere presto in piedi i nuovi strumenti per il governo della Regione coniugando al meglio efficienza e semplificazione ma centrando l’obiettivo di una equilibrata diffusione nel territorio. La Regione deve dare l’esempio nel processo di riequilibrio territoriale.
Una Regione diffusa costituisce il motore più congeniale per mettere in atto il progetto di riconversione della nostra economia fondata sulla sviluppo locale. E bisogna mettere in atto l’intero programma di governo.

Perché l’orizzonte interno e internazionale è attraversato da nubi dense di preoccupazioni. L’esito negativo del referendum francese sulla costituzione europea accresce a dismisura le ragioni di incertezza.
Il ritardo nella crescita dell’economia europea rispetto ai vecchi e nuovi concorrenti diventa ogni giorno più drammatica.
In questo quadro la competizione si gioca sulla velocità di adattamento dei sistemi, sui tempi di reazione alle nuove sfide.
Penso al sistema Paese della Germania, al modo con cui il cancelliere tedesco ha reagito alla sconfitta politica e guardo alla lenta agonia della legislatura berlusconiana, paralizzata da una strutturale impotenza ad affrontare i problemi del Paese.
L’Italia vive un’emergenza economica e finanziaria che ha pochi precedenti.
Dal saldo negativo della crescita al disastro dei conti pubblici è un quotidiano bollettino di guerra.
E come se sollevando un tappeto venissero fuori tutte le vergogne irresponsabilmente nascoste per anni.
Lo stillicidio di moniti dall’OCSE a Eurostat, dall’Istat alla Commissione Europea, dai Sindacati alla Confindustria consegna l’immagine di un paese in crisi profonda, di cui la maggioranza che ha governato e il suo leader portano tutta intera la responsabilità. E, in più, non hanno neppure un’idea di come venire fuori.
Di fronte a questo quadro l’opposizione dovrebbe impegnarsi per indicare al Paese una via d’uscita, una realistica proposta di governo, un programma serio e credibile di risanamento e di rilancio.
E invece abbiamo ingaggiato una disputa che alla maggioranza dei cittadini appare incomprensibile.
E’ paradossale il contrasto, la dissociazione tra il contesto di una grande vittoria politica del centro sinistra, le grandi questioni del Paese e lo scontro politico in corso.
Siamo passati in pochi giorni da un sentimento di gioia a quello di grande amarezza. Tutti pensiamo di non aver spiegato a sufficienza le nostre opinioni.
Questo è un motivo in più per tentare con serenità e con franchezza di chiarire le questioni irrisolte, di privilegiare le ragioni rispetto agli umori, di riconoscere gli uni agli altri la buona fede negli argomenti che stanno al fondo dei nostri comportamenti.
Io sono convinto che esistano margini sufficienti a ricondurre dentro uno sbocco unitario il contrasto che in questi giorni ha avuto punte di asprezza inconsuete.
E occorre partire dalle cose che uniscono: che sono più numerose e più importanti di quelle che ci dividono.
Io sono certo che non sia in discussione la scelta dell’Unione di Centro Sinistra, della grande alleanza che, nella cornice del sistema bipolare, si pone in alternativa allo schieramento del Centro Destra guidato da Berlusconi.
E l’alternatività si fonda su una diversa visione dell’Italia che vogliamo, nel suo rapporto con l’Europa, nelle grandi sfide del 21° secolo a partire da quella più esigente della pace e della diffusione della democrazia nel mondo.
La nostra alternatività, maturata nelle esperienze di governo e di opposizione, nella difesa della legalità e dello stato di diritto, nella costruzione di un programma di governo per ridare speranza all’Italia, si traduce nella scelta dell’Unione. E con il simbolo dell’Unione ci presenteremo in tutti i collegi elettorali per il Senato, in tutti i collegi per il maggioritario della Camera.
La seconda questione che non è in discussione è il profilo politico, progettuale della Margherita così come si è costituita solo quattro anni fa.
E questo partito giovane, plurale, impegnato nell’innovazione della forma politica nel nostro paese, radicato saldamente nel tessuto della cultura e dell’economia italiana non assomiglia a nessuno dei partiti del 20° secolo, non ha tentazioni di ritorno al passato perché è nato e cresciuto parlando del futuro dell’Italia.
Chi evoca una possibile tentazione neocentrista ignora che la scelta di campo nel sistema bipolare e maggioritario fa parte del nostro codice costitutivo.
E non è nella disponibilità di alcuno cambiarla.
La terza questione che non è in discussione è la scelta di stringere un patto di più forte coesione con il partito dei DS, SDI e repubblicani, di attivare un processo di crescente integrazione tra le forze di più sicura ispirazione democratico riformista del nostro Paese, per farne l’asse di riferimento dentro la più grande alleanza dell’Unione.
Abbiamo deciso di cedere un pezzo di sovranità del nostro partito alla federazione in tre materie importanti come la politica internazionale, l’Europa e le Riforme Istituzionali.
Personalmente sono convinto che bisognerebbe allargare l’ambito di competenze federali.
Ma non abbiamo mai pensato di rinunciare alla individualità dei nostri partiti.
La prospettiva del partito democratico, di un nuovo soggetto capace di unire in un unico partito tutte le tradizioni del riformismo italiano rimane nell’orizzonte, è una scelta possibile, per me auspicabile.
Ma nessuno pensa seriamente che questo processo possa compiersi con qualche spallata, con decisioni unilaterali, forzando i tempi della costruzione politica.
Come dice Giuliano Amato, i partiti non si inventano. E la Federazione non è un partito. E quindi è priva di fondamento l’equazione Federazione uguale lista unitaria.
Si è posta la questione delle liste nella quota proporzionale per le prossime elezioni della Camera dei Deputati.
La maggioranza della Margherita ha ritenuto che sia preferibile conservare, limitatamente a quelle schede (che, ricordo riguardano una quota marginale del tutto) l’autonomia di lista rispetto all’ipotesi della lista unitaria sperimentata nel 2004 per le elezioni del Parlamento europeo e nello scorso aprile in 9 regioni su 14.
In questa decisione sono maturati giudizi e dissensi, tutti legittimi e rispettabili.
Io penso che l’enfasi posta sulla lista unitaria sia sproporzionata rispetto al complesso delle questioni che prima ho richiamato.
Provo ad argomentare la mia tesi.
La lista unitaria è un obbligo ineludibile se interessa un partito, deve essere una possibilità quando riguardi una pluralità di partiti.
E la decisione non può essere imposta in modo unilaterale.
Per converso il giusto desiderio di semplificazione non può essere affidato alla sola fase elettorale. Nel 2004 scegliemmo di presentare la lista unitaria ma in Parlamento europeo non si costituì uno ma più gruppi.
I DS e lo SDI aderiscono al P.S.E., i nostri rappresentanti al gruppo liberaldemocratico.
Così nelle regionali dello scorso aprile. Non si è neppure tentato di formare gruppi consiliari unici.
Io sono convinto che la semplificazione del sistema politico sia un obiettivo ineludibile per la politica italiana ma probabilmente occorrerà partire dalla costruzione dei contenuti piuttosto che dal contenitore.
E non c’è dubbio che nei mesi scorsi il processo di costituzione della federazione dell’Ulivo abbia segnato il passo. La soluzione è riprendere il cammino piuttosto che cercare una scorciatoia.
Questa valutazione è naturalmente opinabile. Non coincide con quella dei DS e di Prodi.
Mi riesce però difficile riconoscere, su questa decisione, su questa categoria di scelta, che debbano avere altri un maggior diritto a decidere rispetto al nostro partito.
Questa mattina ho letto due interviste. Ho trovato sinceramente sgradevole il tono con cui Boselli, ci indica con qualche arroganza quali debbano essere le nostre scelte.
E Violante che pensa di interpretare i sentimenti della nostra base meglio dei nostri dirigenti.
E d’altra parte mi sembra contraddittoria l’idea che per unire di più l’Ulivo si faccia una lista con una parte dell’Ulivo aperta a forze che dell’Ulivo non fanno parte.
Si è voluto imprimere al processo un’accelerazione eccessiva, facendo precipitare le scelte.
Prodi ha indicato, immediatamente seguito da Fassino, il 16 maggio, la lista unitaria come scelta obbligata e non trattabile chiedendo a Rutelli di decidere, pena (solo Fassino) la “sanzione” di una lista “con chi ci stà”.
Questa “sanzione” è stata il 26 riproposta da Prodi.
Vi dirò con franchezza quello che penso.
Probabilmente c’è stato più di un errore politico e come sempre avviene nessuno può interamente chiamarsi fuori da queste responsabilità.
Io penso che l’Ulivo senza la Margherita non sia più l’Ulivo. E che la Margherita fuori dall’Ulivo non sia più la Margherita.
E che l’Ulivo sia una cosa più grande e più importante di una lista elettorale unitaria.
E penso che un leader politico come Romano Prodi abbia il dovere di ricercare l’unità attraverso la persuasione, il dialogo, la fatica del confronto.
Debba comprendere le ragioni di tutti senza concedere troppo ai tifosi dell’una o dell’altra parte.
Ma penso anche che la grande passione che abbiamo vissuto insieme nelle piazze della nostra città, quel sentimento di comune appartenenza, quella ritrovata volontà di vincere e di creare buona politica, tutto questo sia un patrimonio straordinario che non può essere disperso, che non appartiene ai leaders dei partiti ma ad un grande soggetto collettivo che ha vinto le elezioni del 2005 e vuole vincere quelle del 2006
Per questo ora è indispensabile aprire una fase di decantazione ispirata al buon senso, alla ragionevolezza e al reciproco rispetto.
Perchè vada recuperata la giusta dimensione politica dell’Ulivo, premiando il progetto per l’Italia, le idee comuni sul governo, la condivisione di obiettivi, metodi e rappresentanze piuttosto che un’esasperata esaltazione dei simboli.
Cosa possiamo fare noi, la Margherita in Sardegna in questo contesto? Io credo che dovremo riprendere il lavoro interrotto prima delle elezioni amministrative.
A partire dalla costituzione di quel soggetto che abbiamo, chiamato Ulivastro.
Il patto che abbiamo firmato con Renato Soru e il suo movimento, con i DS e con lo SDI e che forse dovremmo estendere all’Udeur ha un profilo originale, strettamente legato alle elezioni del 2004 e 2005; al progetto di governo proposto agli elettori e da questi approvato.
Nel 2004 e nel 2005 ci siamo proposti con idee chiare e forti, con liste separate nei simboli ma fortemente coese sul terreno della politica.
Abbiamo vinto. E da questa vittoria trae fondamento e legittimità la nostra alleanza in Sardegna. Non c’è ragione di mutuare dalla politica nazionale una fase negativa: anzi tutto quello che faremo di buono potrà servire a superare le difficoltà generali.
Ma dovremo anche riprendere con rinnovato impegno il lavoro di elaborazione e discussione con cui abbiamo nell’ultimo anno alimentato il confronto politico, con l’obiettivo di accorciare la distanza tra i cittadini e il Consiglio regionale.

Per un anno abbiamo svolto nel centrosinistra, dentro la maggioranza che governa la Sardegna, il compito di un leale sostegno alla Giunta Soru ma anche di prezioso fattore di coesione, di ammortizzatore delle inevitabili tensioni con cui ogni maggioranza democratica deve convivere. Di questo io sono particolarmente grato ai consiglieri regionali della Margherita.
Vi propongo di non cambiare linea.
Di conservare come cifra del nostro contributo alla coalizione il massimo di coerenza con gli impegni di programma e il massimo di flessibilità nella gestione delle relazioni politiche dentro le istituzioni della nostra Autonomia.
Dovremo trovare forme sempre più affinate di relazione tra Giunta e Consiglio, Giunta e maggioranza, Presidente e partiti della coalizione nel nome di una sintesi virtuosa tra l’esigenza di partecipazione e quella altrettanto ineludibile di efficienza del sistema di governo.
Il Presidente della Giunta regionale ha la responsabilità di guidare questo processo, noi abbiamo il dovere di sostenerlo con lealtà e con amicizia.
Questa sintesi, questo equilibrio è il prodotto di un processo di graduale reciproco riconoscimento, di progressiva condivisione.
Cari amici, dal giorno della mia elezione la Margherita in Sardegna è stato un partito molto unito. E da questa unità ha tratto forza il partito ma anche l’intera coalizione.
Credo che questo sia un bene. Credo che sia una cosa giusta conservare questo privilegio.
Per parte mia desidero confermare tutto l’impegno e tutta la mia intenzione perché questo possa accadere.

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