L’Unità, 29/06/2008
Il Caimano non sarà opposizione urlata, né girotondina. Ma non ci saranno sconti. «Parleremo al Paese per spiegare cosa sta accadendo, chi è che sovverte regole e rompe il dialogo». Antonello Soro, capogruppo Pd alla Camera prende le distanze da Antonio Di Pietro e avverte il premier: «Dovrà accollarsi la responsabilità di aver interrotto il dialogo»
Domani ci sarà la riunione del gruppo in vista della discussione sul decreto sicurezza Ostruzionismo ad oltranza?
Faremo un’opposizione dura, ca-pace di creare difficoltà a questa sbrigativa soluzione trovata dal governo, ma il nostro obiettivo è far capire agli italiani quale è la posta in gioco. Finora abbiamo avvertito la difficoltà di innovare schema di gioco, nel senso che crea una oggettiva saldatura tra desiderio del governo di dipingere una minoranza rissosa e massima- lista, e una parte di opposizione, quella dipietrista, che si esercita nel metodo vecchio del «più uno» rispetto a qualunque nostra proposta. Si crea un conflitto sempre più rumoroso, tanto rumoroso che nessuno ascolta le ragioni dei contendenti. Il premier ha spezzato quel filo di novità che si era creato all’inizio della legislatura e adesso passa lo schema che fa comodo alle posizioni massimaliste, giocate da Berlusconi e Di Pietro».
E il Pd in questo quadro come si posiziona?
«Noi dobbiamo mantenere chiara la capacità di parlare agli italiani, facendo opposizione in Parlamento. Non riesco a comprendere la soddisfazione di quanti dicono ‘è tornato il Caimano, è tempo di riprenderei girotondi”. Quello schema è stato a lungo sperimentato e non ci fa vincere. In più fa declinare la qualità della democrazia italiana verso il basso. Silvio Berlusconi, nel momento per lui più favorevole, anziché dispiegare un disegno da statista, o più semplicemente da uomo responsabile nei confronti degli italiani, facendosi carico di tracciare un percorso di risanamento dell’economica e di riforme, ha messo al centro della propria attività politica il suo interesse personale».
Ma un’opposizione che non vuole essere rissosa e con pochi numeri in Parlamento, come contrasta il Caimano?
«Se il Caimano esiste è difficile che scompaia. Noi possiamo soltanto rendere gli italiani, anche coloro che lo hanno votato, più consapevoli di questa condizione. Dobbiamo trovare un timbro di opposizione ragionata, dura nella sostanza e nelle forme, in grado di rappresentare i dati reali che non sono ancora sufficientemente chiari».
Proviamo a fare esempi…
«L’inflazione che galoppa, l’economia che è ferma, i consumi bloccati, il potere d’acquisto delle famiglie ai minimi storici: di fronte a tutto ciò il bisogno di salvacondotto personale del premier è del tutto secondario. Ma c’è anche un quadro sistematico di alterazione delle regole che non siamo riusciti ancora a far filtrare con chiarezza. Siamo di fronte a una sostanziale modifica materiale, di fatto, di alcune regole, anche costituzionali, che disciplinano la vita del Parlamento. Mi riferisco ai decreti chimera”: il Capo dello Stato firma un dl, ne certifica i requisiti, dopodiché con un emendamento il governo introduce una materia estranea al testo. In questo modo alcuni decreti che erano nati anche con una condivisione generale, vengono snaturati. Le procedure parlamentari aggirate e il risultato sono le violazioni di cui discutiamo in questi giorni. Penso al Dpef, il documento che per legge deve dare indirizzi al governo per la costruzione della manovra economica. E arrivato in Parlamento il giovedì, ma il giorno precedente era già vigente un dl che attua una manovra che avrebbe avuto bisogno di avere alle spalle proprio il Dpef».
Lei vede ancora margini per riaprire il dialogo?
«I margini sono strettissimi, ma questa deriva va fermata. Ritirino l’emendamento blocca processi, poi sarà possibile riavviare il discorso, anche sulla riforma della giustizia».
Se il Pdl ritira l’emendamento bloccaprocessi siete pronti a discutere del ddl sulle immunità?
«Se ritirano l’emendamento si può aprire un confronto sulle modalità attraverso cui l’Italia si dota delle garanzie per le più alte cariche dello Stato, come accade altrove. Ma non dobbiamo avere sul collo la spada di un interesse a breve del premier. Nessuno gli avrebbe chiesto, se condannato in primo grado, di dimettersi, perché è stato eletto dagli italiani che conoscevano le sue pendenze penali».