QN, Il Giorno, Il Resto del Carlino, La Nazione, 07/02/2009
«Che giornata! Che tristezza». Antonello Soro, capogruppo del Pd alla Camera, è in Sardegna per dare una mano alla campagna elettorale del suo conterraneo e amico Renato Soru, ma segue con apprensione ciò che succede a Roma. Lo amareggia lo scontro istituzionale che si è aperto sul caso Englaro. E non lo rallegra neanche la nuova occasione di divisioni nel Pd generata dalla candidatura, da ieri esplicita, di Pierluigi Bersani alla guida del partito.
«Mi pare che Bersani abbia in parte ridimensionato la notizia. Comunque ritengo che sia un bravo politico e che abbia tutti i titoli per proporsi, quando sarà il momento. Ora però la sua candidatura mi sembra intempestiva».
Lo dicono in molti. Ma lui obietta che lo fa per riagganciare gli elettori delusi…
«Io invece dico che che siamo in una una fase delicatissima. Oggi il nostro compito primario è di coniugare al meglio l’opposizione a Berlusconi con la battaglia elettorale in atto e la strutturazione del partito nel territorio. Siamo in pieno tesseramento e non serve discutere di leadership alternative. Non è una scelta furba partire con le contrapposizioni. Sarebbe meglio se tutti remassimo nella stessa direzione, lasciando alle primarie, in autunno, il confronto sulla segreteria».
Anche Bersani si dichiara consapevole degli appuntamenti e delle sfide che avete davanti.
«Ma il ciclo del Pd non può essere scandito da settimane o trimestri. Ha bisogno di respiro. Nello schieramento avversario i leader sono in carica da 15 – 20 anni. Guardi Fini, Bossi, Berlusconi, Noi ce l’abbiamo da poco più di un anno e dopo qualche mese era già aperto il dibattito sulla successione».
Forse perchè il dualismo Vetroni – D’Alema non conosce sosta.
«Questa storia della competizione fra diverse personalità è scarsamente utile. Ed è molto legata al passato e alle sue cicatrici, mentre il Partito democratico deve guardare al futuro. Investendo in nuove dirigenze, favorendo la nascita di una generazione che sia targata esclusivamente Pd, senza aggiunte di ex qualcosa».
Vuol dire che lo sfidante di Bersani alle prossime primarie dovra essere uno sconosciuto?
«Se sostengo che il ciclo politico dovrebbe essere più lungo, a guidarlo, almeno fino alla fine della legislatura, deve restare Veltroni se ne avrà la volontà».
In quanti siete a pensarla così?
«Molti più di quanto non appaia. Pur avendo criticato i nostri ex alleati per i continui distinguo, bisogna ammettere che la sindrome dell’Unione ha fatto molta presa tra di noi. Nel Pd c’è una grande attitudine a parlarsi addosso segnalando le differenze piuttosto che ciò che unisce. Ma nei fatti le distanze sono molto minori di quel che si racconta. O che si vuol far raccontare. La linea di Veltroni è largamente condivisa».
Ma quale linea? Lo accusano di non averne.
«E’ la linea del partito a vocazione maggioritaria che non insegue gli alleati pur di vincere, ma costituisce il baricentro di uno dei due poli del nostro sistema bipolare. Il nostro è un partito che si rivolge a tutti gli italiani perché offre un governo, non solo una rappresentanza. Perciò è molto diverso dai vecchi partiti identitari con un profilo molto definito che qualcuno — legittimamente — rimpiange, ma che secondo me non avrebbe futuro».