Falso federalismo

Camera dei Deputati, 01/03/2011

 

Dieci anni fa ho avuto il privilegio di annunciare il favore del mio gruppo alla riforma del titolo quinto della Costituzione: in questo momento mi vengono in mente non solo le parole ma anche la straordinaria tensione ideale presente in quella giornata,uno dei momenti più alti del confronto politico sul terreno delle grandi riforme.
Perché per noi, vorrei dirlo in premessa, il federalismo è una cosa seria. Non è mai stato un feticcio, una sorta di contenitore magico delle paure dei cittadini e neppure una replica aggiornata delle piccole sovranità feudali,evocate come strumento di protezione e di chiusura.

Noi abbiamo riformato la Costituzione per unire l’Italia, per accorciare gli squilibri sociali e territoriali, per ridurre la distanza tra i cittadini e le istituzioni,per rendere più efficiente e trasparente la nostra democrazia.
E in forza di questa intenzione abbiamo concorso in modo responsabile alla scrittura della legge 42, non sottraendoci alla sfida riformatrice, offrendo dai banchi dell’opposizione le nostre idee e le nostre migliori competenze, chiamando il governo ad una sfida di coerenza e di rigore con le deleghe ricevute.
Per queste ragioni, perché ci sentiamo impegnati a corrispondere a quell’impegno e a quelle intenzioni, respingiamo senza incertezze il testo che oggi il governo avanza al parlamento.
Il documento che oggi ci avete proposto non ha niente a che vedere con quel disegno e con la delega ricevuta.

Le oscillazioni di queste settimane, l’improvvisazione, le riscritture confuse, lo snaturamento progressivo, le rinunce, le tensioni e le torsioni che stanno a monte di questo dibattito misurano più di ogni discorso la distanza che separa questo finto federalismo dal progetto originario.
E bisogna dire con chiarezza che l’intervento del Presidente della Repubblica ha consentito il ripristino di una corretta procedura nella formazione delle leggi ma non ha cancellato quella che per noi rimane una grave ferita nelle relazioni tra governo e parlamento.
Qualunque sia il destino di quel che resta di questa legislatura, la frettolosa decisione di approvare nel consiglio dei ministri un testo privo di consenso parlamentare resta una prova indelebile della debolezza politica e istituzionale del governo Berlusconi e certifica in modo conclusivo l’inadeguatezza del suo presidente a guidare una stagione di
riforme.

In questa occasione sono venute alla luce tutte le contraddizioni di una maggioranza priva di un solido cemento politico e di una comune sedimentata cultura delle istituzioni, ma in qualche modo è venuta in superficie la sconfitta e la resa della Lega e dei suoi massimi dirigenti.
Il suo discorso segna oggi, signor ministro, il trionfo della convenzione principale del berlusconismo secondo la quale le parole non corrispondono alle cose.

Oggi è chiaro che il governo ,il ministro delle riforme tradiscono in modo clamoroso l’impegno federalista così a lungo esibito come bandiera, perché è incontrovertibile che i Comuni italiani sulla base di questo decreto legislativo avranno meno autonomia, meno autonomia impositiva e meno autonomia politica rispetto a quella progressivamente maturata nella nostra storia repubblicana.

La finanza locale sarà in misura sostanziale costituita da trasferimenti statali, che restano tali anche se il ministro Calderoli li ha ribattezzati chiamandoli compartecipazioni.
Con l’eccezione dell’addizionale IRPEF cioè di quel brutale processo di scarica barile sui sindaci,in una situazione disperata per i tagli di 2 miliardi e mezzo di euro che questo governo ha operato sui comuni, e soggetti ad un ricatto, nel compito ingrato di aumentare le tasse.
Il governo Berlusconi aveva promesso un nuovo patto fiscale con gli italiani.
In realtà con questo decreto gli italiani pagheranno più imposte: e questo nuovo prevedibile balzello peserà in modo insopportabile sui lavoratori, sui pensionati,sulle imprese artigiane, del commercio,delle libere professioni.
“… alla faccia della retorica del “non mettiamo le mani nelle tasche dei cittadini”!
Il nuovo sistema accrescerà le divisioni esistenti e ne creerà di nuove: non solo tra regioni e regioni ma all?interno di tutte le regioni e tra città e territori,al di fuori da qualunque riferimento al merito,all’efficienza, all’appropriatezza della spesa.

E lo strumento di perequazione, il fondo di riequilibrio,è diventata una chimera totalmente priva di criteri che garantiscano le modalità di riparto: tutto viene rimesso genericamente alle future intese Il prodotto di questa legge non è federalismo: come ha detto il presidente della Corte costituzionale chiamarlo in questo modo sarebbe una bestemmia.
Il principio di responsabilità degli amministratori verso i contribuenti è stato interamente disatteso per effetto di una base fiscale sperequata, distorsiva e di una separazione sempre maggiore tra chi paga e chi riceve i servizi.
Questo decreto viola infatti un principio fondativo nelle democrazie rappresentative, secondo cui deve esistere un legame indissolubile tra tassazione e rappresentanza.
Infatti, chi vota per il sindaco non pagherà le tasse decise dal sindaco, perché nel comune di residenza possiede la prima casa e non la seconda, mentre chi pagherà il tributo stabilito dal sindaco sulle seconde case, non voterà per il sindaco. perché risiede in un altro comune. Un perfetto ribaltamento del principio cardine su cui è fondata la democrazia nella nostra tradizione.

La cedolare secca viene malamente depotenziata nella sua funzione di leva efficace per l’emersione del mercato immobiliare in nero. In assenza di qualsivoglia convenienza per gli inquilini,così come da noi proposto, l’imposta sostitutiva si traduce in un vantaggio esclusivo per i titolari di rendite e insieme molto oneroso per l’erario,certamente estraneo al processo di allargamento dell’autonomia impositiva dei comuni.
Il ministro per la Semplificazione ha prodotto un mostro di complicazione,con la previsione di decreti che rimandano ad altri decreti attuativi o che rinviano con grande approssimazione a successivi regolamenti: un sistema barocco e contorto che appesantisce il motore ingolfato della pubblica amministrazione.
Deve essere chiaro fin d’ora che si stanno creando le premesse per nuove ineludibili complicazioni nel ginepraio già fitto e spesso impenetrabile del nostro sistema tributario,con effetti palesemente dissuasivi sull’assunzione di responsabilità degli amministratori locali e con una dipendenza ancora maggiore dalla finanza centrale.
Noi che, nella distinzione non banale ,spesso nel contrasto aperto e duro con le posizioni politiche della Lega,non ne abbiamo mai sottovalutato la potenziale spinta innovativa, non possiamo non registrare l’involuzione di questo partito.

Appare sempre più chiaro che la Lega, federalista a parole, quando va al governo produce brutte leggi che di federalista hanno solo il nome.
Il potere romano e la subalternità al presidente del consiglio sembrano aver divorato ogni velleità di cambiamento di quel partito,prima sui temi della legalità,oggi su quello del federalismo. Lo registriamo senza soddisfazione perché questa deriva rende ancora più acuti i problemi, già drammaticamente evidenti, della democrazia italiana.

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