Signor Presidente, penso che quella all’ordine del giorno sia una questione sicuramente drammatica per la Sardegna, ma cruciale per l’industria italiana e per molti aspetti un indicatore severo, ma forse anche sottovalutato, del più generale problema del sistema economico del Paese. Non credo che ci sia da parte del Governo sottovalutazione, però c’è bisogno di una adesione forse più generale e più collegiale del Governo alle dimensioni di questa crisi.
È una crisi che, prima di tutto, richiama un’esplosiva situazione sociale. La decisione del gruppo Alcoa sta spingendo, o rischia di spingere – forse ha cominciato a farlo migliaia di famiglie, non solo i dipendenti di Alcoa, verso un salto nel buio e nella disperazione, in una condizione che allo stato è priva di qualunque forma di protezione seria e durevole di questa comunità. Questo avviene in un’area nella quale più di un giovane su due è privo di lavoro e nella quale i flussi di emigrazione dall’isola hanno ripreso le dimensioni dell’immediato ultimo dopoguerra.
Penso che il Ministro Passera dovrebbe andare a Portovesme. Questo sarebbe un segno reale di solidarietà dello Stato nei confronti di questa comunità, un segno non banale, ma anche un modo per tradurre nella dimensione umana, reale, un dibattito e delle scelte di Governo che qualche volta rischiano di essere tutte interamente confinate e consumate nel richiamo delle cifre o, come lei diceva, signor sottosegretario, in un pezzo di PIL. C’è qualcosa di più in questa situazione.
Ma la questione ha carattere – lei lo ha detto e lo ha detto il collega Pili – non solo sociale e regionale. Per molti aspetti la vicenda di Alcoa è l’emblema di una crisi più profonda, strutturale, del sistema industriale e manifatturiero italiano e pone problemi che investono lo stesso profilo di quello che noi immaginiamo debba essere l’economia non solo della regione sarda, ma probabilmente dell’intero Paese e del suo futuro. Se si chiude Alcoa, il sito industriale di Portovesme, senza un’alternativa, ciò comporta la chiusura a cascata della più importante filiera, l’unica forse filiera italiana, nella produzione di metalli non ferrosi.
Per la Sardegna, che ha subito negli ultimi anni la chiusura, sostanzialmente lo smantellamento, prima del comparto minerario, poi di quello chimico, poi di quello tessile insieme, questo significa davvero l’apertura di una stagione i cui contorni non sono chiari, che io vedo molto minacciosi, che possono aprire una stagione di cambiamento profondo della natura del sentimento che lega l’isola alla comunità nazionale. Vorrei che il Governo, questo Governo, e il Parlamento non sottovalutassero la carica micidiale che questa vicenda può introdurre in Sardegna.
Sappiamo che però non è solo una questione regionale. La chiusura significa la cancellazione della produzione di alluminio in Italia, una produzione che ha funzione strategica, lo Pag. 16ricordava il collega Pili. Vorrei sottolineare che questa crisi segue una lunga stagione in cui il Governo e il Parlamento hanno in qualche modo rimosso un serio confronto sulla politica industriale del Paese. Non serve oggi recriminare, né serve recriminare sulle forme che nei loro contesti hanno spinto Governi diversi a sostenere con la spesa pubblica un modello di sviluppo che probabilmente oggi va profondamente ripensato.
Serve però, perché è indispensabile affrontare l’emergenza, porsi il problema di sistema sapendo che esiste una dimensione globale di questo problema, come lei ha ricordato. La decisione assunta a Pittsburgh è la decisione di una multinazionale che vuole, in una fase di recessione, ridurre la produzione nei siti più deboli, ovviamente per conservare e stabilizzare il prezzo dei metalli. Questo accade per Alcoa e probabilmente accadrà, e non lo escludo, anzi è possibile che ci sia una scelta di cartello da parte delle altre multinazionali, in Norvegia, in Russia, in Cina.
Il problema generale è che abbiamo nel nostro Paese un sistema che rende non convenienti gli investimenti di queste compagnie multinazionali, come di qualunque imprenditore che voglia produrre ricchezza in questi settori. Lei lo ha indicato, tutti lo abbiamo indicato: sappiamo che il problema – mi consenta, Presidente, solo un attimo – è il costo dell’energia che in Sardegna, a regime, costa molto di più di quello che costa in Italia, in Italia costa il 30 per cento di più di quello che costa mediamente in Europa e in Europa costa molto di più di quello che costa nelle Americhe, in Oriente e in Asia.
Insomma, mi auguro che il Governo e il Parlamento italiani vorranno porre davvero il problema del costo dell’energia al centro della propria discussione, per la ricaduta e l’impatto che esso ha sul sistema dell’economia e del manifatturiero italiani. Si tratta di un problema che non può essere affrontato affidandolo davvero ad un avvocato che vada in una qualche sede a discutere sulle infrazioni.
C’è un problema strategico per il Paese, che è il problema dell’energia e delle modalità attraverso le quali si forma il suo costo, che diventa la molla per affrontare seriamente questo problema.