Il Garante per la Privacy e le domande sull’utilizzo e sulla sicurezza degli occhiali che si collegano a Internet. I primi a farsi portavoce delle perplessità sono stati i membri del Congresso che hanno deciso di scrivere una lettera a Larry Page, fondatore dell’azienda di Mountain View
(Il Fatto quotidiano, 23 maggio 2013)
Google Glass, l’oggetto futuristico che sembra uscito direttamente da un film di fantascienza, spaventa sotto il punto di vista della privacy: come si può sapere di non essere ripresi da chi li indossa? E se gli occhiali (che riescono a collegarsi a Internet) sono in grado di riconoscere il viso e ricavare così informazioni dalla rete sulla persona che si ha di fronte in quel momento?
I Google Glass rappresentano senza ogni dubbio l’oggetto tecnologico che rivoluzionerà le abitudini e i comportamenti delle persone, non più semplici essere umani, ma in qualche modo esseri connessi con il mondo attraverso la rete. Allo stesso tempo però aprono le frontiere a un modo del tutto nuovo di concepire la privacy personale, in un dualismo che si scontra tra le infinite possibilità del dispositivo, e la necessità di salvaguardare la privacy soprattutto dei non-utenti, di coloro che non hanno gli occhiali e non li stanno indossando.
Dopo l’annuncio del “Project Glass” sono state numerosi i dubbi e le discussioni in merito: a partire dal Wall Street Journal, passando per The Verge dove è stato confermato il blocco dell’utilizzo degli occhiali all’interno delle sale da gioco del Casinò e di alcuni bar. “Se sono indossati solo da qualche geek – commentano i membri del gruppo Stop the Cyborgs – e sono quindi uno strumento di nicchia non ci sono problemi. Ma se improvvisamente tutti li indosseranno e si diffonderanno come gli smartphones, non si tratterà solo più di tecnologia ma di una vera e propria cultura sociale: è una perdita di spazio che non è più solo online”.
A farsi portavoce dei dubbi legati alla privacy dei rivoluzionari Google Glass sono stati proprio i membri del Congresso americano, in una formazione bipartisan costituita sia da Democratici che Repubblicani, che ha deciso di scrivere una lettera indirizzata direttamente a Larry Page, patron dell’azienda di Mountain View. Una lettera non priva di riferimenti ai passati screzi proprio sul fronte della privacy, avuti con Google, colta letteralmente “con le mani nel sacco” intenta a sottrarre dati dalle reti wi-fi durante il passaggio dell’automobile del servizio Street View. “Vorremmo conoscere i piani dell’azienda – scrivono – per prevenire che i Google Glass raccolgano informazioni sugli utenti e non-utenti, senza un regolare permesso”. Otto quesiti a cui Google dovrà dare una risposta entro il 14 giugno che spaziano dal come riconoscere se i Google Glass sono in funzione in un determinato momento, alla presenza o meno del riconoscimento facciale, all’archiviazione di foto e video senza il consenso delle persone riprese in quel momento e tutte le azioni che l’azienda intende adottare per proteggere i dati raccolti da eventuali furti e manomissioni.
Dubbi sollevati con preoccupazione anche da Antonello Soro, Garante per la Privacy: “Le nuove tecnologie sono state sempre connotate dal binomio “opportunità- rischi”, ma certo con i Google Glass i vantaggi in termini di utilità per la nostra vita quotidiana corrispondono a grandi rischi sul piano sociale e nei rapporti tra le persone – commenta -. Chiunque finisse nel raggio visivo di chi indossa questi occhiali potrebbe venire spiato, schedato con la propria immagine e, una volta avuto accesso ai big data sparsi sulla rete, conosciuto nei suoi gusti, nelle sue opinioni, nelle sue scelte di vita. E potrebbe veder finire in un istante la sua vita privata in onda sul web. Magari in nome della condivisione totale. Dall’altra parte, chiunque indosserà questi occhiali potrebbe archiviare tutto ciò che vede e le informazioni che raccoglie: avremmo tanti piccoli data base sparsi per il mondo e potenzialmente anche a rischio hacker. Mi turba l’idea di vivere in una società nella quale alla continua sorveglianza delle telecamere si aggiungesse anche l’intrusione da parte dei super-occhiali ad alta tecnologia”.
Alcune risposte ai quesiti avanzati dal Congresso hanno già comunque trovato risposta: in una recente intervista, Steve Lee product director dei Google Glass, ha evidenziato come il riconoscimento facciale non sia presente sui modelli di prossima commercializzazione. Allo stesso modo ha sottolineato come sia facilmente intuibile quando il dispositivo è attivo: secondo Lee sarà impossibile essere fotografati o registrati senza accorgersene, vuoi per la spia luminosa sugli occhiali o all’attivazione gestuale o vocale. Ma il problema rimane: all’utilizzo del dispositivo secondo le policy di Mountain View, si affiancano proprio in questi giorni le prime applicazioni realizzate da aziende terze che permettono, per esempio, di scattare una foto e divulgarla su Twitter in modo quasi immediato. Lo stesso potrà essere fatto con Facebook, con Tumblr e con tutti i principali social network. Come fare quindi? “Fin dall’inizio – ha rassicurato Lee – le implicazioni sociali dei Google Glass, delle persone che li indossano, sono state al centro dei nostri pensieri”.
Ma Google sarà davvero capace di garantire la privacy dei non-utenti o sarà invece necessario un cambio di approccio rispetto all’attuale normativa? “Le norme – continua Antonello Soro – devono necessariamente fare i conti con tecnologie sempre più rivoluzionare e porsi opportunamente al passo con esse. Ci sono già norme che vietano la messa on line di dati personali senza il consenso degli interessati, che potrebbe configurarsi come un vero e proprio reato. Ma le leggi non bastano, serve un salto di consapevolezza”. “Al di là delle rassicurazioni dai manager di Google, riguardo ad esempio all’introduzione della funzione del riconoscimento facciale – conclude il Garante -, occorre che le persone capiscano i fortissimi rischi di un uso selvaggio di strumenti come questi e agiscano di conseguenza, utilizzandoli per le proprie esigenze, ma rispettando la vita degli altri. Dobbiamo quanto prima porci la questione di come promuovere a livello globale un uso etico delle nuove tecnologie”.