Il Garante della Privacy mette in guardia sul pericolo di non garantire la segretezza del parto
(La Stampa, 9 dicembre 2014 – di Giacomo Galeazzi)
Presidente Soro, lo Stato viola il patto con le 90 mila italiane che hanno partorito avvalendosi del diritto a restare anonime?
«La madre che al momento del parto abbia deciso di non essere nominata va rispettata e tutelata dal trauma che potrebbe subire nel rivivere, a distanza di anni e su sollecitazione esterna, quella scelta non certo facile. Ciò che il legislatore deve però garantirle è la possibilità di rivedere, in piena autonomia, quella decisione. Si deve allora delineare una procedura che consenta alla madre di revocare, eventualmente, l’anonimato e al figlio di “incontrare”, ove ne abbia interesse, questa diversa volontà. Questo deve però avvenire nell’assoluta riservatezza di tutte le parti coinvolte. Anche per il figlio sarebbe, infatti, traumatico ricevere la notizia, in alcun modo sollecitata, della revoca dell’anonimato da parte di una madre di cui egli ignori tutto».
C’è il pericolo che molte donne non porteranno più a termine la gravidanza?
«Certo. E’ proprio l’esigenza di dissuadere la donna da “decisioni irreparabili” il fondamento della disciplina sull’anonimato materno, che la Corte riafferma nel bilanciamento con il diritto del figlio a conoscere le proprie origini. La “salvaguardia della vita e della salute” di madre e bambino è, secondo la Corte, il valore irrinunciabile cui il legislatore non può derogare. E tuttavia, va superata quell’irreversibilità dell’anonimato che finisce per “espropriare” la madre del proprio diritto di scegliere e il figlio della possibilità di cogliere tale disponibilità».
E’ un accordo negato?
«Sarebbe estremamente ingiusto e sleale; in queste ipotesi ancora di più. Ma – ci tengo a sottolinearlo – il diritto del figlio a conoscere le proprie origini e quello della madre a proteggersi da traumi ulteriori devono trovare una sintesi applicabile in ogni caso. Un intervento legislativo è fondamentale per evitare che, nel vuoto normativo lasciato dalla sentenza, i giudici di volta in volta interessati assumano scelte diversificate, creando disparità di trattamento».
Qual è il diritto che deve prevalere?
«Come ha affermato la Corte, entrambi devono essere armonizzati, massimizzando il livello di tutela complessivo. La Consulta non ha certo scalfito il diritto all’anonimato materno né tantomeno ignorato l’esigenza di garantire il diritto del figlio a conoscere le proprie origini, quale espressione del diritto all’identità personale. Ha però sollecitato il legislatore a introdurre una procedura che consenta l’eventuale incontro di queste due volontà (quella del figlio di avvicinarsi alla madre e quella di costei di rivedere la propria scelta passata), garantendo la massima riservatezza di ciascuno. Come abbiamo suggerito alla Commissione Giustizia della Camera, tale procedura si potrebbe incardinare in capo ad un’Autorità indipendente».
Quali potranno essere le conseguenze della fine dell’anonimato sulle nuove vite delle “mamme segrete”?
«Mai come in questi casi sono indispensabili un’estrema riservatezza e accortezza nella comunicazione di dati così importanti, la cui rivelazione può comportare traumi anche irreparabili e rompere equilibri delicatissimi su cui non solo i singoli, ma anche le loro famiglie costruiscono la propria vita. Un’indebita rivelazione di notizie del genere precluderebbe, oltretutto, quel rapporto – non giuridico ma “umano” – tra madre e figlio, che la revoca dell’anonimato dovrebbe poter consentire».