(Il Sole24Ore, 26 gennaio 2015)
Attenzione a sacrificare la privacy in nome della lotta al terrorismo. La tutela dei dati personali é anzi il presupposto di una società sicura. Disporre di database sempre più grandi, ma senza preoccuparsi della loro protezione, é offrire il fianco ai terroristi, ampliare le potenziali superfici dei loro attacchi. Antonello Soro, presidente del Garante della privacy, mette in guardia su misure dettate dall’emotività.
La minaccia terroristica è molto seria, ma mi preoccupa anche la schizofrenia del dibattito pubblico: siamo passati dallo scandalo planetario per il Datagate, che ha messo in luce la gigantesca sorveglianza globale e la sua inutilità, a una fase in cui c’è desiderio di maggiore sorveglianza. Approcci entrambi sbagliati. Il problema è capire il profilo attuale della minaccia e valutare ciò che serve per contrastarla, tenendo presente che le democrazie liberali si distinguono dai regimi totalitari perché capaci di coniugar e i diritti individuali con gli interessi collettivi, compreso quello della sicurezza.
Ma in un momento come questo un diritto non può cedere il passo a un altro?
Non c’è bisogno di comprimere i diritti dei cittadini, semmai di accrescere le tutele. Questo vuol dire che, poiché anche i terroristi utilizzano lo spazio digitale per acquisire informazioni preziose, ci si deve attrezzare per aumentare la protezione dei dati personali. Se disponiamo di grandi banche dati pubbliche e private non sufficientemente protette, noi abbiamo allargato a dismisura la superficie di attacco del terrorismo, anziché restringerla, come le intelligence davvero intelligenti propongono. Penso, per esempio, alla pubblica amministrazione italiana, dove si è verificata un’asimmetria tra la quantità di dati immagazzinati e la pochissima attenzione alla loro protezione: questo rappresenta un grande rischio, un elemento di vulnerabilità sfruttabile dalla criminalità (il furto delle identità digitali insegna), ma anche dai terroristi.
La banca dati sul Pnr è ragionevole?
È ragionevole che le informazioni sui passeggeri possano essere condivise dal le autorità dei diversi Paesi, ma studiando forme adeguate. Evitando, per esempio, di raccogliere dati inutili. E soprattutto proteggendoli. Se poi si tratti di archivi utili omeno, non sta a me valutarlo. Devo, per, ricordare che l’anno scorso c’é stata una sentenza della Corte di giustizia europea sulla data retention, che ha invitato gli investitori a usare strumeti di indagine proporzionali alla tutela della libertà dei cittadini, senza che un diritto prevalga su un altro. Non possiamo dimenticarcene ora.
Ma non basta l’esperienza Usa a dirci che la banca dati dei Pnr è utile?
Questo è il punto: è veramente utile? Dopo l’11 settembre ci sono state Madrid, Londra, Boston e ora Parigi. Credo che l’orientamento della Commissione europea sia di andare oltre quell’esperienza. Il tempo di conservazione dei dati per cin que anni, per esempio, mi sembra eccessivo. Anche perché più tempo conserviamo i dati, maggiore è la “superficie d’attacco” che offriamo al terrorismo.
Ci sono problemi di privacy anche nel pacchetto sicurezza che il Governo si prepara a varare?
La norma sull’oscuramento dei siti prevede necessariamente delle misure di attuazione sul filtraggio delle informazioni. Presumo ci chiederanno un parere.