La segretezza delle conversazioni private è una necessità sempre più impellente. E i fondatori di Kibo, che garantisce un invio di messaggi sicuro e a prova di fidanzato curioso, lo sanno bene. Il Garante per la privacy: “Il valore economico dei dati spesso compromette le regole etiche”
(di Sara Stefanini, “La Repubblica”, 26 ottobre 2015)
In un mondo dove si tiene il conto di quando sei online su Messenger e di quando visualizzi un messaggio sulla chat di Whatsapp è sempre più forte il desiderio di avere un po’ di privacy. E da una sorpresa di compleanno rovinata è nata l’idea di Kibo, l’app lanciata la scorsa settimana che permette di nascondere i messaggi privati in qualsiasi chat. Basta un lucchetto. Così, il partner, il fratello o la mamma non possono sbirciare sul tuo smartphone in un attimo di distrazione. “In una decina di giorni sarà disponibile anche in italiano – hanno assicurato i creatori Vitaly Halenchik e Kiril Davydov -. Puntiamo a tutelare la riservatezza dei nostri utenti: nessuno tranne il mittente e il destinatario sarà in grado di leggere i messaggi”.
Ma la domanda è: abbiamo seriamente tutta questa privacy? “Ovviamente molto dipende da come proteggiamo i nostri dati – ha spiegato Antonello Soro presidente dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali – e dall’uso che di tali sistemi facciamo. Non esistono tecnologie rischiose in sé, ma certo la realtà digitale è piena di insidie. Il valore economico dei dati spesso compromette le regole etiche e, talvolta, anche quelle giuridiche. È dunque essenziale che ciascuno di noi sia consapevole dell’importanza di proteggere i propri dati e valuti attentamente, soprattutto rispetto ai social network o alle chat, quali parti di sé far conoscere, perché altri potrebbero usarle ‘contro di noi'”.
Quindi stiamo parlando di una privacy su due fronti. Da un lato facciamo di tutto per nascondere un messaggino ‘segreto’ al partner o ai genitori curiosi, ma nel frattempo in qualche angolo remoto del mondo qualcuno potrebbe leggere in chiaro quello che stiamo cercando di tenere privato, appunto. L’Eletronic Frontier Foundation – l’associazione internazionale che tutela i diritti digitali e la libertà di parola – ha creato una tabella di elaborazione dati delle chat dalla quale è emerso che in moltissimi casi i messaggi possono essere letti dai dipendenti che gestiscono i server della messaggistica istantanea. WhatsApp è una delle chat più pericolose del momento. Telegram, la chat creata dai fondatori del Facebook russo VK, è quasi la sorella gemella di Whatsapp, ma molto più sicura. La sua icona è un aeroplano di carta e simboleggia la libertà delle comunicazioni: ha un sistema di codifica forte, delle chat segrete e dà la possibilità di distruggere i messaggi dopo pochi secondi. Whatsapp, invece, protegge i messaggi in transito, ma questi non sono crittografati sui server dell’azienda. In questo modo i dipendenti che gestiscono i server potrebbero leggerli in chiaro. Questo avviene anche per Messenger di Facebook e la chat di Google. Ma quali caratteristiche dovrebbe avere una chat sicura? Secondo il rapporto dell’Eff dovrebbe criptare i messaggi; adottare il sistema ‘end-to-end’ dove neanche gli sviluppatori dell’azienda possono visualizzare il testo; tenere sicura la cronologia delle chat nel caso in cui le chiavi di crittografia venissero rubate; permettere che il codice delle app possa essere analizzato da ispettori esterni e avere un codice trasparente e crittografia documentata. Se almeno uno dei criteri non è rispettato, la privacy non è tutelata.
“Stiamo salvando tutti i messaggi sul nostro server, ma per garantire la riservatezza li registriamo in forma del tutto anonima”, ci hanno assicurato i co-fondatori di Kibo. Al momento, ha più di 23mila utenti. Non si tratta della prima app che nasconde i messaggi delle chat. Si può dire che Snapchat ha dato il via con i suoi messaggi e foto che si autodistruggono. Poi c’è Confide che si può istallare anche sul pc. Ma Kibo è diverso perché ‘vive’ nella tastiera di ogni chat che si utilizza. Certo, per poter ‘giocare’ con il lucchetto e scriversi ‘in segreto’ occorre che entrambe le persone abbiano l’app istallata.
Abbiamo chiesto a Antonello Soro se esistono delle disposizioni sulla privacy dei messaggi nelle chat. Abbiamo la certezza che i dipendenti che gestiscono i server delle chat non possano leggere?
“È il punto di maggiore vulnerabilità. Quello delle misure di sicurezza che i titolari devono adottare per garantire la protezione dei nostri dati da accessi abusivi e utilizzazioni illegittime è uno dei profili cui annettiamo la massima importanza. Ovviamente il contenuto dei messaggi deve restare, anche sulle chat, inaccessibile ai terzi, cioè a chiunque non sia il destinatario. Gli stessi operatori che gestiscono i server delle chat non devono potervi accedere, dovendo limitarsi a svolgere le attività strettamente necessarie a garantire la funzionalità del sistema, delle quali siano stati espressamente incaricati”.
E come state agendo di concerto con il gruppo dei Garanti europei?
“La nostra Autorità ha contribuito all’elaborazione di un parere adottato dai Garanti europei, sull’uso delle app. La recente sentenza della Corte di giustizia sulla sicurezza dei dati trasferiti negli Usa, anche per social come Facebook, e la posizione assunta, proprio giovedì scorso, dall’organo di coordinamento dei Garanti europei, dimostrano come si possa impedire che norme meno garantiste quali quelle americane prevalgano sul diritto fondamentale della privacy. Quindi, in caso di modalità di gestione dei social, anche in Paesi non europei, che vìolino il diritto alla privacy dei cittadini europei, questi ultimi potrebbero richiedere tutela secondo la disciplina Ue, attraverso le Autorità di protezione dati”.
Insomma, siamo letti di nascosto. Ma possiamo comunque cercare di proteggerci su entrambi i fronti. E se un amico, un genitore o il proprio partner legge volontariamente dei messaggi in una chat in nostra assenza, attenzione, perché una sentenza della Cassazione ha recentemente condannato questa azione. È considerata infatti violazione della privacy. “Si tratta indubbiamente di una violazione – ha concluso Soro – che nei casi più gravi può configurare addirittura un reato. Però, per i genitori che agiscono a tutela del proprio figlio minore vanno ovviamente operati dei distinguo”.