presso le Commissioni riunite Giustizia e Affari sociali della Camera dei Deputati
(26 novembre 2015)
Le varie proposte di legge sul cyber-bullismo, all’esame della Commissione, affrontano un tema su cui l’Autorità è impegnata da tempo.
Abbiamo, infatti, sempre annesso particolare importanza alla tutela del minore in rete, anche e soprattutto rispetto alle violazioni commesse da suoi coetanei.
I minori sono, infatti, le “vittime” elettive dell’uso distorto della rete, perché non hanno gli strumenti per capire fino a che punto e con quali rischi esporre la propria vita, anche intima, agli altri, per evitare che i propri dati siano usati “contro di loro”, a volte, addirittura, da altri minori.
Proprio questo è, forse, l’aspetto più tragico dell’uso violento della rete, in cui cioè autore e vittima partecipano della stessa fragilità e della stessa inconsapevolezza del “risvolto” reale e concretissimo di ogni nostra azione nel web.
E’ un fenomeno in ascesa, dagli effetti ancora più profondi del bullismo off-line: anzitutto perché la virtualità del mezzo consente all’aggressore di insinuarsi nella vita altrui senza soluzione di continuità, con una pervasività ancora maggiore da cui la vittima non può sottrarsi.
La rete inoltre amplifica, dinanzi a un pubblico potenzialmente indefinito, atti di scherno e vessazione, agiti con la disinibizione che deriva dalla presunzione di anonimato e dalla mancata percezione, almeno nell’immediato, del danno causato alla vittima.
Proprio per questo è importante, anzitutto, promuovere nei minori una reale consapevolezza dei rischi (oltre che delle opportunità) cui ci espone la rete, con una vera e propria educazione digitale, che sia soprattutto etica del digitale e che si fondi quindi, in primo luogo, sul rispetto dei diritti della persona.
Mai come in questo caso è necessaria, infatti, una strategia integrata nella consapevolezza della complessità del problema, che non può ridursi a mera questione penale.
Anche perché l’autore è un minore: e prima che punito va educato.
Interventi normativi in tal senso dovrebbero ispirarsi all’idea di un diritto mite, che rifugga dalla soluzione meramente repressiva, per combinare invece prevenzione del fenomeno; accertamento dell’illecito; tutela delle vittime; promozione dei diritti dei minori nell’affrontare fenomeni di tale complessità.
Va anche considerato che la maggior parte dei comportamenti in cui questo fenomeno può esprimersi è già di per sé penalmente rilevante :si va dal trattamento illecito di dati personali alla diffamazione; dalla minaccia allo stalking.
La codificazione di un’ ulteriore fattispecie delittuosa (di natura complessa, di evento, a forma vincolata, come previsto da alcune proposte) potrebbe forse risultare, allora, meno risolutiva della previsione, invece, di un sistema di tutela riparativa e rafforzata del minore, che consenta – in tempi brevi ma nel rispetto del contraddittorio – la rimozione dei contenuti lesivi dal web.
Ciò che forse potrebbe, invece, risultare utile è l’estensione dell’aggravante (oggi limitata al campo dello sfruttamento sessuale del minore) relativa all’aver fatto ricorso, ai fini della realizzazione del reato, a mezzi atti ad impedire l’identificazione dei dati di accesso alle reti telematiche, così ostacolando l’attività di accertamento e repressione dei reati.
Si tratta di una norma che sta dando buona prova di sé e che, proprio rispetto a un fenomeno, quale il cyberbullismo, che spesso si alimenta del senso di impunità suggerito dall’anonimato in rete, potrebbe contribuire a rafforzare l’efficacia deterrente della disciplina penale.
In ogni caso, va considerato che il cyberbullismo è fenomeno dai contorni sfumati, di difficile tipizzazione secondo i canoni di determinatezza richiesti dall’art. 25 Cost. per le norme incriminatrici e che coinvolge, dal lato dell’autore, minorenni.
Pertanto, come per ogni forma di devianza minorile, la risposta penale (ove sussista, ovviamente, l’imputabilità) dev’essere a fortiori residuale e soprattutto orientata, ancor più che rispetto agli adulti, al reinserimento sociale del ragazzo e alla sua introiezione di modelli di condotta conformi alle norme.
Per questo è ancor più importante valorizzare le tutele civili e le misure preventive, anche al fine di ristabilire la fisiologia nei rapporti tra ragazzi, impedendo ulteriori violazioni.
I progetti di legge all’esame della Commissione si conformano, in linea generale, a quest’impostazione, sebbene alcuni accentuino la curvatura penale e sanzionatoria, mentre altri la dimensione preventiva e riparativa.
Da questa impostazione iniziale (repressiva o riparativa) derivano, inevitabilmente, alcune conseguenze di rilievo, non solo sotto il profilo della tutela, ma anche dell’ambito di applicazione.
Una definizione del fenomeno maggiormente incentrata sui suoi aspetti penalmente rilevanti rischia infatti di sottrarre al sistema di tutela delineato un’area di comportamenti non necessariamente sanzionabili a fini penali, ma gravemente lesivi per la vittima.
Consideriamo auspicabile la previsione- contenuta in alcuni testi- di una particolare forma di tutela riparativa, volta anzitutto a rimuovere tempestivamente dal web i contenuti lesivi della dignità del minore, al fine di contenere i danni arrecatigli e prevenirne ulteriori.
Si è quindi prevista una specifica procedura, accelerata, dinanzi al Garante, che consenta ai genitori di un minore (o allo stesso ultraquattordicenne) vittima di un atto di cyberbullismo, quando pure non siano integrati (pur non integri) gli estremi di uno specifico reato, di ottenere una tutela rafforzata e celere da parte dell’Autorità.
Qualora, infatti, il gestore del sito internet o comunque il titolare non abbia spontaneamente provveduto (entro 24/48 ore a seconda delle pdl) o non sia identificabile, gli interessati potranno adire l’Autorità.
Essa, entro 48 ore, potrà adottare provvedimenti inibitori e/o prescrittivi che garantiscano la dignità del minore rispetto a qualsiasi forma di violazione della sua persona, commessa in rete.
Condivisibile anche la previsione dell’obbligo di conservazione, da parte del gestore, dei dati originali di cui si richieda l’oscuramento, sebbene sarebbe preferibile precisare a soli fini probatori, eventualmente demandando a un regolamento, la disciplina delle condizioni di conservazione e degli obblighi di distruzione al termine del procedimento (amministrativo o penale) in cui siano utilizzati.
Rispetto a questo schema di massima – che auspichiamo sia confermato- le varie proposte presentano talune differenze.
Anzitutto, all’esito dell’esame in Assemblea, il testo approvato dal Senato riconosce (anche) al minore ultraquattordicenne la legittimazione attiva a richiedere al gestore o comunque al titolare del trattamento provvedimenti a tutela; legittimazione che sembrerebbe estesa anche alla procedura dinanzi al Garante, dal momento che il comma 2 dell’art. 2 richiama, a tal proposito, la figura dell’ “interessato”.
Se dunque quest’interpretazione fosse corretta, il riconoscimento della legittimazione attiva ad adire l’Autorità in capo al minore ultraquattordicenne rappresenterebbe certamente un’innovazione rispetto alla sistematica del Codice in materia di protezione dei dati personali- che limita la capacità “processuale” ai soli genitori – ma che potrebbe risultare anche proficua, se non altro per superare l’inibizione che in certi casi il minore avverte nel coinvolgere su questi temi il genitore.
E’ utile ricordare che la versione originaria del Regolamento Ue sulla protezione dati riconosceva agli ultra-tredicenni alcuni poteri dispositivi sul proprio diritto alla protezione dati, limitatamente al settore dei servizi dell’informazione.
Il testo trasmesso dal Senato, a seguito degli emendamenti approvati, definisce in maniera più esaustiva rispetto alla versione originaria il soggetto tenuto alla rimozione, facendo riferimento al fornitore di contenuti ma anche, più correttamente, al titolare del trattamento.
Il richiamo a tale nozione, definita specificamente dal Codice privacy, consente dunque di includere, tra i soggetti tenuti alla rimozione, anche il motore di ricerca, sulla scia di quanto sancito dalla Corte di giustizia nel caso Costeja, altrimenti escluso dalla definizione di “gestore del sito Internet” e quindi dall’ambito di applicazione del provvedimento.
Va notato, infine, che questo sistema di “notice and take down” è, almeno sotto il profilo procedurale, affine a quello previsto dal dl. 7/2015 per la rimozione di contenuti filo-terroristi, nella misura in cui, pur evitando ogni forma di ingerenza da parte del gestore nelle comunicazioni degli utenti, tuttavia lo responsabilizza nel caso in cui gli sia segnalata la presenza di contenuti illeciti in rete e un organo indipendente (a.g. nel caso del terrorismo, qui il Garante) ne solleciti la rimozione.
Ciò cui non si deve rinunciare, allora, è l’istituzione di procedure il più possibile agili, rapide ed efficaci che tutelino il minore e, ad un tempo, la natura “democratica” della rete, che non può certo essere utilizzata come spazio dove impunemente violare diritti, tanto più in danno di bambini.
Importante anche la scelta sul sistema di prevenzione da delineare. I tratti comuni alle varie proposte (in molte parti espressivi dell’esperienza svolta dal Tavolo tecnico costituito presso il Ministero dello sviluppo economico) prevedono, in primo luogo, un piano di azione integrato per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo, integrato da un codice di autoregolamentazione per gli operatori della rete, volto in particolare a definire, attraverso un comitato di monitoraggio, procedure standard per la rimozione dei contenuti lesivi.
Inoltre, al fine di promuovere l’adozione di tecnologie child-friendly- capaci cioè di prevenire il fenomeno già in virtù della stessa configurazione dei dispositivi e dei sistemi di comunicazione –si prevede il conferimento di un marchio di qualità ai fornitori di servizi di comunicazione e ai produttori aderenti ai modelli e alle indicazioni fornite dal Tavolo tecnico.
Determinante è poi l’ “educazione digitale” dei minori, che si intende favorire (in molte delle proposte di legge) quale elemento trasversale alle varie discipline curriculari, al fine di responsabilizzare gli stessi minori e di promuoverne la consapevolezza in ordine ai rischi – oltre che alle opportunità- correlati all’uso della rete. Un rilievo centrale ha, infatti, in termini preventivi, la promozione di una reale cultura della “cittadinanza digitale”, tale da insegnare ai ragazzi a valutare con attenzione ciò che di sé consegnano agli altri (potenzialmente a tutti) in rete, con uno sguardo un po’ più lungimirante di quello che, forse, sarebbe sufficiente nelle normali relazioni “off-line”, nelle quali è più facile mantenere il controllo sulle informazioni che ci riguardano e nelle quali si può decidere con maggiore consapevolezza se e con chi mettersi a nudo.
Importante, in termini preventivi, è anche l’investimento sulla formazione del personale scolastico, ivi inclusa la nomina (prevista dalle varie proposte) del referente per il cyberbullismo, tenuto in particolare a coordinare le attività di contrasto e tutela nell’ambito della singola istituzione scolastica.
Si prevedono inoltre, nella maggior parte delle proposte, campagne di informazione e sensibilizzazione, per la cui realizzazione sarebbe forse opportuno coinvolgere anche il Garante, oltre all’Agcom, al fine di promuovere, come auspicabile, la consapevolezza dell’importanza della protezione dei dati personali da parte di ciascuno, quale presupposto per il contrasto di un uso distorto della rete.
Comune a molte proposte è anche l’istituto dell’ammonimento che, mutuato dalla disciplina sullo stalking, potrebbe efficacemente contribuire, in questo caso, anche attraverso il coinvolgimento dei genitori, a responsabilizzare il minore autore di reato. Attivare, in queste forme “miti”, l’attenzione dell’autorità pubblica già ai primi segnali di comportamenti violenti o ingiuriosi, può infatti efficacemente impedirne la degenerazione, evitando così anche di inserire il minore nel circuito della giustizia (penale) minorile.
Un’ultima precisazione: le nostre osservazioni si riferiscono essenzialmente al bullismo informatico, che molte proposte di legge affiancano a un’autonoma definizione di bullismo tout court. Considerando, tuttavia, la stretta connessione tra i due fenomeni (o, meglio, tra le due sue manifestazioni)- che correttamente le proposte di legge assimilano, salvo i profili definitori, nella parte sostanziale della disciplina- quanto sinora osservato può in massima parte estendersi anche a questa più “tradizionale” forma di bullismo.