Intervento di Antonello Soro, Presidente del Garante per la protezione dei dati personali, ad un seminario
(Formiche, 23 marzo 2016)
Il Privacy Shield deve essere sviluppato attraverso una generale riflessione su tutele, strumenti, risorse e opportunità della protezione dei dati personali nei rapporti transatlantici. È quanto è emerso dal seminario a porte chiuse organizzato a Roma da Formiche ieri mattina. All’evento hanno partecipato i rappresentanti parlamentari e dell’industria, i quali si sono confrontati apertamente con Antonello Giacomelli, sottosegretario alle Telecomunicazioni (Ministero dello Sviluppo Economico), Antonello Soro, presidente del Garante per la protezione dei dati personali, Giovanni Buttarelli, Garante europeo della protezione, Cosimo Ferri, sottosegretario alla Giustizia, e Gennaro Migliore, sottosegretario alla Giustizia.
Il dibattito ha toccato tutti i punti più delicati di un accordo che dovrebbe introdurre un nuovo quadro giuridico per la protezione dei dati personali nei rapporti transatlantici. Il Privacy Shield, siglato a febbraio tra Ue e Usa, punta a proteggere la riservatezza dei dati dei cittadini europei in caso di trasferimento oltreoceano con obblighi più stringenti per le imprese Usa rispetto alla protezione dei dati e un monitoraggio più severo che le autorità europee condurranno con quelle federali americane.
“Il tema della protezione dei dati personali non è mai banale”, ha detto Soro. Esso “coinvolge problematiche complesse che condizionano, sempre di più, a livello globale gli equilibri politici e i rapporti economici tra gli Stati”. Il presidente dell’Authority ha riconosciuto l’esigenza di superare “l’oscillazione schizofrenica con cui, spesso, è affrontato il rapporto tra privacy e sicurezza”; una schizofrenia che, alimentata dai recenti attacchi terroristici, “non è utile e spesso fuorviante”.
Dopo la sentenza della Corte di Giustizia dell’Ue sul Safe Harbor, di cui il Privacy Shield rappresenta il superamento e la correzione, l’Unione Europea non ha azzerato la propria iniziativa in materia: per prime “le Autorità di protezione dei dati degli Stati membri hanno sollecitato con forza – ha affermato Soro – la Commissione e il Governo degli Stati Uniti a concludere i negoziati per un nuovo accordo che impedisca il blocco delle relazioni commerciali tra le due sponde dell’atlantico”. D’altra parte, anche gli Stati Uniti hanno fatto degli importanti passi in avanti. Il Presidente del Garante ha riconosciuto lo sforzo statunitense: “L’attenzione per la privacy è aumentata anche negli Stati Uniti dove, con particolare riguardo ai dati raccolti dalle agenzie di intelligence, sono state previste, con la riforma Obama, garanzie più stringenti nonché, di recente, il riconoscimento del diritto al ricorso giurisdizionale anche per i cittadini dei paesi alleati, in caso di uso illeciti dei loro dati”.
Secondo quanto emerso dal seminario, dopo questo sforzo congiunto che lega le due sponde dell’Atlantico è ora il momento di rendere l’accordo effettivo. Ciò non dovrebbe avvenire attraverso una regola che blocchi l’uso dei dati, bensì costruendo un’architettura del rapporto tra privacy e sicurezza, un insieme omogeneo di regole generali che riguardino la raccolta e l’accesso ai dati personali. Soro ha spiegato: “Non si tratta solo di individuare dei criteri che impediscano raccolte sproporzionate o usi impropri dei dati da parte delle agenzie di sicurezza: la protezione dei dati è molto di più. È il presupposto – ha aggiunto – per ricercare un giusto equilibrio tra diritti individuali ed esigenze collettive di tutela pubblica”.
È dunque importante ampliare e proseguire il dibattito sul Privacy Shield, coinvolgendo non solo tutti gli attori del sistema-Paese impegnati nella materia, ma anche i soggetti internazionali, pubblici e privati. Infatti, “nell’economia digitale – ha detto Soro – la riflessione sull’importanza dei dati e della loro tutela deve necessariamente spingersi a livello globale, considerato che i trasferimenti dei dati per fini commerciali avvengono sempre di più anche da e verso i Paesi del Pacifico che difficilmente offrono garanzie equivalenti a quelle europee”.