Non servono i controlli di massa. Soro: selezionare i bersagli senza violare la sfera personale

Intervista ad Antonello Soro, Presidente del Garante per la protezione dei dati personali
(di Grazia Longo, La Stampa, 1 agosto 2016)

Nella lotta al terrorismo vanno tutelati, in egual misura, due diritti: quello alla sicurezza e quello alla libertà individuale. Il Garante italiano della Privacy, Antonello Soro, invita a fare un passo indietro di fronte “ai controlli a strascico che invadono la sfera personale senza riuscire a fare una buona azione preventiva contro i seguaci dell’Isis. Un algoritmo, un cervello artificiale è inerme: occorre invece potenziare l’attività investigativa e dell’intelligence”.

Eppure, presidente, investigatori e 007 hanno un oggettivo bisogno di attingere ai dati personali attraverso il controllo dei network. In che modo possono procedere senza limitare il diritto alla privacy?

Nessun diritto è assoluto, ma va bilanciato sul doppio fronte della sicurezza e dei diritti costituzionali. Il tema è complesso e necessita una soluzione che risponda alla ragione dei problemi e non alla visceralità della domanda. Non possiamo quindi delegare esclusivamente alla tecnologia. La sorveglianza di massa Usa è la prova che la risposta al problema è inadeguata. Occorre trovare capacità e organizzazione in modo da interpretare bene i dati raccolti.

Il fattore umano come chiave d’ingresso nella cybersecurìty contro l’emergenza jihadista?

Sì, tanto più che il terrorismo è la forma attuale di una guerra destinata a durare nel tempo e non possiamo ritenere sufficiente limitare la libertà delle persone. Del resto gli autori delle ultime stragi erano tutt’altro che ignoti agli organi inquirenti. L’Italia, rispetto ad altri paesi, si sta dimostrando più adeguata a prevenire attentati. Fermo restando che il rischio zero non esiste, molto si deve alla nostra esperienza contro il  terrorismo interno e alla capacità di cooperazione internazionale maturata dalla nostra intelligence. I controlli a tappeto a poco servono.

E quindi?

Occorre una selezione dei bersagli. Quando si individua un bersaglio va benissimo ricorrere anche ai più sofisticati mezzi di controllo di telefoni, computer, social media. Ma servono cautele e regolamentazioni precise, condizioni essenziali nei paesi democratici.

Come conciliare il ricorso alla tecnologia con le libertà individuali?

Il rapporto tra libertà e sicurezza, privacy e prevenzione, assume forme nuove e costringe a ripensare categorie giuridiche consolidate: dall’uso dei social network per fini di propaganda terroristica alla genetica forense con le varie banche dati del Dna, al data mining.

In che modo l’Italia sta affrontando le strategie d’intervento?

In Parlamento è in corso una discussione per definire i perimetri alla luce della giurisprudenza e delle sentenze di Cassazione. Un confronto aperto che tiene conto anche dei movimenti d’opinione, come ad esempio l’appello di alcuni giuristi torinesi sulla necessità di bilanciare i diritti costituzionali con quelli alla sicurezza. La legge di un singolo Stato comunque non può contenere l’articolazione globale dei grandi giganti della rete. Ed è in questo contesto che si inserisce il nuovo Regolamento europeo per la protezione dei dati personali.

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