Intervento di Antonello Soro, Presidente del Garante per la protezione dei dati personali
(“Il Sole24Ore”, 17 settembre 2017)
Caro Direttore,
L’articolo del prof. Tommaso Edoardo Frosini (“Intercettazioni, la privacy non è una minaccia per la giustizia”, 15 settembre), contiene alcune informazioni imprecise, che ho l’obbligo di rettificare. In particolare, nell’articolo si lamenta una asserita inerzia del Garante rispetto alle violazioni del diritto alla riservatezza dei cittadini, determinate dalla diffusione sui media di contenuti intercettati nell’ambito di indagini penali.
A smentire il professore basterebbe una semplice consultazione del sito web dell’Autorità, con la quale avrebbe potuto verificare che su questo tema il Garante è intervenuto innumerevoli volte e con atti di diversa natura. Di fronte a specifiche violazioni derivanti dalla diffusione, sui giornali e in rete, in contrasto con il principio di essenzialità dell’informazione, di contenuti intercettati privi di rilievo informativo e lesivi della riservatezza delle parti processuali o di terzi, siamo intervenuti con provvedimenti inibitori, volti a impedire il protrarsi del pregiudizio e a tutelare quanto possibile gli interessati.
Analoghi provvedimenti abbiamo adottato, spesso d’urgenza, anche rispetto alla diffusione, in violazione di norme legislative e deontologiche, di altri atti d’indagine (si pensi all’interrogatorio dell’indagato detenuto) nella loro integralità, con virgolettati del tutto ultronei e spesso persino in forma di video.
Al fine di rafforzare le garanzie di riservatezza dei contenuti intercettati, impedire fughe di notizie o anche soltanto accessi non legittimati agli atti d’indagine, già dai primissimi anni di attività del Collegio che presiedo (e precisamente nel luglio 2013), con uno specifico provvedimento abbiamo prescritto alle Procure della Repubblica l’adozione di misure di sicurezza, di tipo fisico e logico, idonee a garantire una maggiore protezione dei dati trattati.
In ordine al disegno di legge di riforma del processo penale, al cui interno è appunto contenuta la delega legislativa per la riforma della disciplina delle intercettazioni, abbiamo rappresentato al Presidente del Consiglio dei Ministri, già nell’aprile 2015, l’esigenza di coniugare gli aspetti della correttezza e lealtà dell’informazione con il rispetto del principio di proporzionalità tra privacy e mezzi investigativi ribadito, anche recentemente, dalla Corte di giustizia.
Analoghe istanze abbiamo espresso nell’ambito di innumerevoli interviste e articoli pubblicati su testate nazionali e locali. E in ciascuna delle cinque Relazioni annuali che abbiamo, con le Colleghe componenti il Collegio, presentato al Parlamento, non abbiamo mai mancato di sottolineare l’esigenza di garantire, anche mediante idonee riforme normative, la puntuale selezione del materiale investigativo assicurando, nel doveroso rispetto dei diritti della difesa, che negli atti processuali non siano riportati interi spaccati di vita privata (delle parti ma soprattutto dei terzi), del tutto estranei al tema di prova.
Abbiamo anche promosso una riforma del Codice deontologico dei giornalisti (risalente ad ormai diciannove anni fa), volta a valorizzare, sulla scorta dei principi sanciti dalla Cedu e dalla Corte di giustizia, la funzione di vaglio critico dell’autore rispetto a notizie di reale interesse pubblico.
E come abbiamo rappresentato al Governo, la scelta dell’Ordine di non voler concludere questo percorso di riforma – a partire da norme, quali quelle deontologiche, che proprio per la loro maggiore capacità di introiezione sono anche maggiormente effettive – ha ampliato, di conseguenza, l’ambito di intervento del legislatore.
In tutti i casi citati, siamo intervenuti – contrariamente a quanto asserito dal professore – con il rigore e la tempestività che hanno sempre contraddistinto la nostra attività in ogni ambito, nel doveroso rispetto del principio del contraddittorio procedimentale e con la massima attenzione all’esigenza di contemperare diritto alla riservatezza, libertà di espressione, diritto di (e all’)informazione. Un’ultima notazione. La formula del “right to be let alone”, citata dal professore, è dagli stessi Samuel Warren e Louis Brandeis correttamente attribuita, proprio nel saggio ricordato da Frosini, al Judge Thomas M. Cooley: “The right to one’s person may be said to be a right to complete immunity; to be let alone”.