presso la Commissione I (Affari Costituzionali) del Senato della Repubblica
(30 gennaio 2019)
Ringrazio la Commissione per aver voluto acquisire il nostro contributo su di un testo su cui abbiamo già avuto modo di esprimerci, sin dalla scorsa legislatura, ma che suscita riflessioni sempre nuove.
Rispetto all’audizione che abbiamo svolto dinanzi alla Camera nello scorso ottobre, ad esempio, oltre alle modifiche apportate al testo del progetto di legge, vi è da segnalare un ulteriore elemento nuovo cui prestare attenzione.
Una regione, la Lombardia, ha introdotto, con propria legge – per la quale non è ancora scaduto il termine d’impugnazione- incentivi per l’installazione, su base volontaria, negli asili nido, di sistemi di videosorveglianza.
Per un verso, tale legge suscita alcuni dubbi di legittimità costituzionale in ordine al riparto della potestà legislativa tra Stato e regioni, nella misura in cui – nonostante il generico richiamo al rispetto della normativa in materia – rischia di incidere sulle garanzie necessarie e sulle cautele idonee ad assicurare il rispetto sostanziale della disciplina di protezione dei dati.
Il che apparirebbe inammissibile per una materia, quale quella della protezione dei dati personali, riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, in quanto riconducibile alla materia dell’ordinamento civile di cui all’articolo 117, comma secondo, lettera l), della Costituzione, come sancito dalla sentenza 271/2005 della Corte costituzionale, con profili di rilevanza anche, ex 117, primo comma, in termini di compatibilità con il diritto dell’Ue (peraltro direttamente applicabile)
Per altro verso, esiste il concreto rischio che un tema così complesso -quale quello del rapporto tra tutela del minore e libertà del lavoratore- possa essere disciplinato autonomamente da ciascuna regione, incidendo così in maniera disomogenea sui livelli di garanzia di tali diritti fondamentali.
Questa eventualità rende ulteriormente opportuno un intervento del legislatore statale.
Intervento che deve sancire – nel rispetto dei vincoli europei in materia di protezione dati – l’equilibrio, al più alto livello possibile, tra le diverse esigenze di rilievo primario quali:
- la tutela di soggetti in condizione di particolare vulnerabilità (quali minori e incapaci) rispetto al rischio – purtroppo non remoto – di abusi e violenze,
- l’esigenza di ricostruzione probatoria di reati, quali quelli in esame, per i quali nella maggior parte dei casi non si dispone di testi in grado di agevolare gli accertamenti,
- la libertà del lavoratore nell’adempimento della prestazione e, infine,
- il diritto alla protezione dei dati personali dei vari soggetti ripresi dal sistema di videosorveglianza: non solo i lavoratori, dunque, ma anche gli stessi ospiti delle strutture educative o di cura considerate nel d.d.l.
La garanzia della libertà di autodeterminazione del lavoratore è, peraltro, funzionale alla spontaneità che deve necessariamente caratterizzare prestazioni lavorative quali quelle di tipo formativo o assistenziale, la cui qualità potrebbe risultare pregiudicata dalla consapevolezza dell’interessato di essere sottoposto a una vigilanza costante, con implicazioni inevitabilmente negative sulla stessa relazione educativa o di cura.
Il sistema di videosorveglianza proposto, infatti, pur realizzando un controllo dell’attività lavorativa (essendo oggetto della ripresa proprio la dinamica della relazione educativa o di cura), non persegue finalità interne al rapporto di lavoro, come nel paradigma classico dei controlli a distanza sul lavoro.
Le garanzie sancite dall’art. 4 dello Statuto a tutela dei lavoratori (procedura concertativa o autorizzatoria) restano, infatti, certamente applicabili (come previsto dallo stesso art.4, c.3, del ddl) sotto il profilo procedurale, nella misura in cui il sistema proposto realizza un controllo a distanza.
Tuttavia, lo schema lavoristico non esaurisce la particolare complessità e articolazione di questo trattamento, che se incide sull’attività lavorativa mira però a tutelare soggetti terzi rispetto al rapporto di lavoro (minori e incapaci).
L’eccedenza, in questo senso, del trattamento proposto rispetto agli schemi tradizionali deve, dunque, indurre il legislatore a uno sforzo di riflessione sulle peculiarità del bilanciamento da realizzare, attorno ad interessi giuridici di primario rilievo costituzionale.
Si tratta quindi di capire quale grado di limitazione della libertà del lavoratore – inevitabilmente conseguente all’operatività continua di telecamere – possa ammettersi per esigenze di tutela di soggetti incapaci affidati alle altrui cure, nonché di agevolazione dell’eventuale ricostruzione probatoria in sede penale, naturalmente ostacolata dall’incapacità di deporre della quasi totalità dei possibili testimoni degli eventuali reati commessi.
Si tratta, in altri termini, di tracciare la soglia oltre la quale il diritto fondamentale alla protezione dei dati personali sia compresso in quel nucleo essenziale, di cui l’art. 52 della Carta di Nizza prescrive l’intangibilità, pur a fronte di esigenze di tutela di beni giuridici rilevanti per l’ordinamento.
Il testo proposto presenta indubbi miglioramenti rispetto alla sua originaria versione e, a fortiori, a quelli presentati all’inizio della scorsa legislatura:
– l’installazione delle telecamere, da indiscriminatamente obbligatoria è stata ammessa nei casi di effettiva necessità;
– sono stati previsti la cifratura dei dati raccolti e il divieto di accesso agli stessi, superabile solo dagli organi inquirenti in sede di indagine, a fini probatori
– è stato aggiunto un riferimento alle sanzioni applicabili in caso di violazione delle prescrizioni a tutela dell’interessato e della legittimità del trattamento, suscettibili di giungere sino a importi assai elevati;
– è stata correttamente demandata al Garante, con proprio provvedimento, la definizione degli adempimenti da osservare ai fini della legittimità del trattamento, ricondotto, come da noi suggerito, alla tipologia generale di quelli che presentano rischi elevati per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico.
E questo – come riconosciuto dallo stesso testo originario con il riferimento all’articolo 17 del Codice – in ragione dell’estensione potenziale di tali trattamenti, dei soggetti coinvolti (non solo i lavoratori, ma anche gli stessi minori e soggetti assistiti in strutture di cura, dei quali dunque si evinca facilmente la condizione di malattia), nonché della continuità delle videoriprese;
– i riferimenti agli istituti e alle norme-cardine della protezione dati sono stati aggiornati al nuovo quadro giuridico europeo.
Nonostante questi indubbi miglioramenti (rispetto ai quali è auspicabile non arretrare), l’ambito di operatività del trattamento resta alquanto ampio ed eterogeneo.
La videosorveglianza sarebbe, infatti, ammessa negli asili nido, nelle scuole dell’infanzia, nonché nelle strutture socio-sanitarie e socio-assistenziali per anziani e disabili, a carattere residenziale, semiresidenziale o diurno.
Sotto questo profilo, dunque, si potrebbe condurre un’ulteriore riflessione sul perimetro di operatività della norma, valutando se effettivamente tutti i luoghi indicati presentino un grado di rischio adeguato a legittimare una limitazione comunque importante della libertà del lavoratore nell’adempimento della prestazione educativa o di cura.
La capacità di espressione e di consapevolezza di un bambino all’ultimo anno della scuola dell’infanzia non è, infatti, paragonabile a quello del bambino al primo anno di nido, così come il grado di vulnerabilità – e quindi il fattore di rischio degli ospiti delle varie strutture socio-sanitarie o socio-assistenziali è estremamente disomogeneo.
Tale considerazione può essere utile per circoscrivere la discrezionalità della scelta sull’installazione, orientando la facoltà rimessa dalla legge alla singola struttura in base a parametri quali:
– i fattori di rischio propri del contesto di riferimento;
– l’effettiva necessità della videosorveglianza in ragione delle caratteristiche dei soggetti ospitati, della durata della permanenza o delle specificità della struttura stessa.
In tal modo, si garantirebbe che il ricorso a uno strumento di monitoraggio così invasivo, avvenga – secondo un criterio di non sostituibilità – solo laddove altre misure meno limitative della riservatezza risultino inefficaci, orientando così anche la discrezionalità dei titolari.
Tali criteri sono stati alla base del passaggio, sancito già nella scorsa legislatura, dalla previsione dell’obbligatorietà della videosorveglianza a quella della sua legittimazione ogniqualvolta si renda necessaria..
Tale scelta sottende un bilanciamento tra diritti fondamentali che, come tale, deve essere condotto secondo il canone della proporzionalità.
Che è criterio regolativo essenziale del trattamento, ma anche parametro generale di legittimità delle limitazioni del diritto alla protezione dati, da osservare anche in sede di esercizio del potere legislativo (di qui la previsione del parere obbligatorio del Garante anche sulla normazione primaria).
Secondo la Carta di Nizza le limitazioni all’esercizio dei diritti fondamentali (quali anche quello alla protezione dati), ancorché previste dalla legge e rispondenti a finalità d’interesse generale o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui sono ammissibili solo se:
• rispettose del contenuto essenziale del diritto;
• necessarie (dunque non sostituibili) nel rispetto del principio di proporzionalità.
Anche l’art. 5, par.1 della Convenzione n. 108 del 1981 sancisce il canone di proporzionalità nel trattamento, di modo che “dati personali che sarebbero adeguati e pertinenti, ma implicherebbero un’ingerenza sproporzionata nei diritti e nelle libertà fondamentali in gioco, devono essere considerati eccessivi”.
Tali principi sono stati intesi dalle Corti europee come tali da ammettere le misure limitative del diritto solo in presenza di specifici requisiti e a fronte dell’inidoneità allo scopo di sistemi meno invasivi, dal momento che “deroghe e restrizioni” ai diritti fondamentali devono intervenire “entro i limiti dello stretto necessario”, essendo state annullate le stesse norme europee che prevedevano limitazioni del diritto alla protezione dati ogniqualvolta fossero concepibili misure efficaci ma meno invasive.
Sarebbe dunque difficile ritenere conforme a tali principi l’obbligo di sottoposizione costante a videosorveglianza di tutto il personale educativo e, per altro verso, di tutti i bambini presenti tanto negli asili nido quanto nelle scuole materne del Paese, a prescindere dall’effettiva sussistenza di rischi specifici (avrebbe poco senso ad esempio per le scuole con aule vetrate).
Per le strutture di cura vale la stessa considerazione ai fini della proporzionalità del trattamento, benché la videosorveglianza sia lì subordinata al consenso delle persone riprese, che tuttavia è difficile possa sempre ritenersi realmente libero e, quindi, valido, tanto più rispetto ai dati inerenti la condizione di salute.
L’astratta, generalizzata e indifferenziata presunzione normativa di sussistenza – in tutte le suddette strutture educative e di cura presenti nel Paese – di fattori di rischio tali da far ritenere la videosorveglianza l’unico sistema in grado di assicurare l’incolumità dei soggetti ospitati non apparirebbe, in altri termini, conforme al canone di necessità e proporzionalità.
Per garantire la conformità del testo ai parametri europei appare, dunque, opportuno non rimettere in discussione l’equilibrio raggiunto durante questo complesso iter legislativo – almeno sotto il profilo della non astratta obbligatorietà della videosorveglianza-, rimettendo anche, se del caso, alla fonte regolamentare la definizione dei criteri in base ai quali legittimarla.
Ed è inoltre auspicabile, in linea generale, valorizzare le misure volte a investire, in chiave preventiva, sulla formazione degli operatori, introducendo anche sistemi di controlli più articolati che coinvolgano attivamente il personale tutto e, se del caso, le famiglie stesse senza comprometterne il rapporto fiduciario.
Nei contesti di relazione come quelli esaminati – nei quali ciò che conta è la qualità del rapporto instaurato tra le parti – è, infatti, difficile che le telecamere sopperiscano alle carenze insite nella formazione del personale deputato all’educazione e all’assistenza dei soggetti meritevoli della maggiore attenzione.