(di Eugenio Occorsio, “La Repubblica – Inserto”, 20 dicembre 2019)
Il comune di Roma mette in rete le graduatorie di un concorso riservato ai disabili con tanto di nome, cognome e tutte le informazioni del caso sui vincitori. Una serie di piccoli comuni annuncia nella propria bacheca i trattamenti sanitari obbligatori comminati indicando soggetto e motivazioni. La provincia di Verbania licenzia un dipendente dopo aver scoperto su Facebook una serie di particolari intimi sulla sua vita sessuale che non gradisce. E così via. Si affastellano sulla scrivania del Garante per la privacy i casi di discriminazione sul posto di lavoro a carico, paradossalmente, di quelle categorie che le leggi susseguitesi in questi anni vorrebbero tutelare e difendere da ulteriori abusi. “Non bisogna andare molto lontano”, commenta il presidente dell’Autorità garante, Antonello Soro. “Fermiamoci alla Costituzione, che all’articolo 3 recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Vede, nel concetto di pari dignità sociale c’è un “nucleo fondativo” del diritto antidlscriminatorio”.
Perché allora tante violazioni?
“Purtroppo è la cultura della privacy, malgrado anni di battaglie e sentenze, ad essere ancora carente. L’equazione fra diritto alla riservatezza, dignità personale, tutela sul posto di lavoro, in ultima analisi libertà democratiche, viene continuamente fraintesa. Eppure è uno dei fondamenti della democrazia stessa. Oggi che il mantra, favorito dalla digitalizzazione, sembra essere la trasparenza ad ogni costo, tutto è diventato ancora più difficile”.
E voi come reagite?
“Rispondendo con la massima attenzione alle molte segnalazioni che riceviamo dai cittadini e provvedendo con i nostri poteri cogenti, che comprendono la facoltà di imporre la rimozione dalla rete dei dati sensibili nonché di comminare sanzioni, e spesso interessando l’autorità giudiziaria. Il caso del Comune di Roma ci era stato segnalato da una delle signore “schedate” nelle graduatorie in questione. Ma non è l’unico. Sul sito della Regione Abruzzo, nella sezione “concorsi in atto” erano contenuti gli elenchi dei candidati alle prove per un profilo professionale riservato esclusivamente alle categorie dei disabili. Centinaia di nominativi associati alla disabilita, con data, luogo di nascita e l’indicazione “ammesso/non ammesso”. Altre volte, nel privato come nel pubblico, al momento dell’assunzione si sottopone il candidato a un test psico-attitudinale con domande del tutto arbitrarie. E poi c’è un caso di una cooperativa che usava gli emoticon per valutare su una bacheca il rendimento dei dipendenti, con il rischio – perché lo squilibrio fra i dati che possiede il datore di lavoro e quelli del dipendente resta fortissimo – di rivelare situazioni assolutamente da non divulgare”.
Tutto questo sembra surreale. C’è poi il problema delle “disabilita occulte” o, ancora più spinoso, delle vicende personalissime inerenti la sfera sessuale. Avete incontrato casi del genere?
“Una delle nostre pronunce più delicate e sofferte ha riguardato un neolaureato che aveva ovviamente bisogno del titolo di studio per avviare la sua vita lavorativa. Aveva subito un intervento chirurgico di cambiamento di sesso e voleva ottenere il diploma di laurea con indicati solo i nuovi dati anagrafici. La stessa università ha proposto il rilascio di un secondo diploma di laurea con la nuova identità escludendo qualsiasi ipotesi di annotazione della motivazione della ristampa che potesse ledere la riservatezza. Cosi abbiamo imposto il principio che la ristampa del diploma per gli studenti che hanno cambiato sesso non deve contenere alcun elemento idoneo a rivelare l’avvenuta rettifica come il nome originario. O peggio ancora l’annotazione della motivazione della ristampa”.