(Il Messaggero, 15 febbraio 2013)
Caro Direttore,
mi dispiace leggere anche sul Suo giornale, sempre attento ai diritti dei cittadini, molti luoghi comuni sulla privacy. Mi riferisco a quanto apparso ieri nella rubrica “Il grillo parlante”.
E’ bene ricordare che il diritto alla protezione dei dati personali e l’istituzione di un’Autorità che lo difenda sono espressamente richiesti dal Trattato di Lisbona e che in gran parte delle società democratiche esistono istituzioni analoghe alla nostra: segno che l’esigenza di vedere protetta la privacy delle persone non è un capriccio del nostro legislatore.
Mai come oggi la protezione dei dati personali rappresenta una straordinaria garanzia contro vecchie e nuove discriminazioni. Se alcune delle più delicate e intime informazioni che ci riguardano non vengono usate contro di noi è grazie alla legge sulla privacy e al lavoro del Garante che in questi anni ha fissato regole precise e rigorose a tutela dei cittadini. Se i dati genetici non possono essere usati per negarci un’assicurazione sulla vita o un posto di lavoro è proprio grazie a questo diritto fondamentale. Se possiamo avere i referti medici sulla nostra mail senza spostarci da casa, è anche per merito delle regole fissate dal Garante per la trasmissione sicura dei dati sanitari. Se i dati dei clienti delle banche sono meno esposti ad accessi non autorizzati e da intrusioni indebite è perché il Garante ha imposto che ogni operazione effettuata dalla banca venga tracciata. Sono solo alcuni esempi di quelli che si potrebbero fare.
Mentre sono tanti i casi sottoposti all’Autorità nelle migliaia di segnalazioni giunte ogni anno (solo nel 2012 oltre 4000) o nelle oltre 30.000 richieste evase dagli uffici a contatto con il pubblico. Evidentemente il bisogno di privacy c’è, eccome, e c’è bisogno di qualcuno che lo garantisca. Tanto più oggi: di fronte a tecnologie sempre più invasive e pervasive, dal cellulare a internet, è alla protezione dei dati personali che dobbiamo guardare come al primo dei diritti da salvaguardare e rafforzare.
Se si vuole dunque davvero opporsi al “lassismo, demagogia e ottusità” del nostro Paese, invece di abbandonarsi al facile millenarismo sulla fine della privacy e alle accese invettive contro il Garante, si aiuti a far crescere una solida cultura del rispetto e della dignità delle persone e la consapevolezza che proteggere le nostre identità significa innanzitutto proteggere la nostra libertà.
Antonello Soro
Presidente del Garante per la privacy