Politiche sociali e riformismo

Introduzione ai lavori del Convegno: Dall’assistenzialismo ai diritti di cittadinanza: le nuove politiche sociali per la Sardegna
Cagliari, 23 febbraio
Vorrei richiamare il senso di questa iniziativa. Come in altre recenti occasioni il nostro obiettivo è quello di far crescere il livello di partecipazione e di discussione intorno alle politiche di governo della Sardegna.
Per sviluppare le potenzialità e definire le prospettive del nostro programma, per raccogliere le nuove domande, per mantenere pervia la comunicazione tra quanti sono fuori e dentro il Consiglio Regionale.
Per ascoltare e confrontarci, per trovare nuove esperienze e nuove competenze, per costruire nuove soluzioni legislative e di governo.
Ci siamo impegnati per un progetto di rinascita della Sardegna per cambiare la vita della nostra regione.
Per dare più poteri alla nostra Autonomia.

Per costruire un nuovo modello di sviluppo fondato sulle nostre risorse naturali, sulla qualità del nostro territorio, della nostra cultura
Perché attraverso i nostri poteri e la nostra politica i sardi abbiano nuove opportunità nella crescita dell’economia, nell’accesso alla conoscenza e nelle relazioni con il resto del mondo…
Perché i sardi abbiano un più compiuto e consapevole diritto di cittadinanza.
Il riconoscimento del diritto di cittadinanza è un obiettivo politico alto, un obiettivo generale che attraversa in modo orizzontale le categorie della politica, che si intreccia saldamente con la ricerca di un nuovo più alto livello di coesione sociale.
Qui sta la questione centrale della sfida politica nel nostro tempo: nel mondo, in Italia, in Sardegna.
E la tensione tra gli obblighi di una società moderna verso i suoi componenti meno fortunati e la necessità del rigore finanziario, riguarda e interroga tutte le democrazie del mondo.

E naturalmente riguarda in misura straordinaria la Sardegna.
Nella fase delicatissima di declino dell’economia nazionale, nella stagione in cui si incrociano devoluzione e sottofinanziamento delle Regioni, in un tempo di forte ridimensionamento delle responsabilità pubbliche verso il diritto alla salute e di strisciante privatizzazione di queste funzioni, la Sardegna deve coniugare il proprio progetto politico con una emergenza di bilancio, figlia di una lunga stagione di malgoverno. E tuttavia noi vogliamo ribadire, anche attraverso questa iniziativa, una linea che non è né incerta né equivoca.
Perché non abbiamo mai pensato di partecipare al progetto politico di Sardegna Insieme come ad una esclusiva operazione di ristrutturazione economica, risanamento finanziario o amministrativo. Anche questo, certo, è nel progetto.

Ma noi abbiamo posto al centro della nostra politica i sardi, le persone, gli uomini e le donne che vivono in quest’isola con le loro storie, le loro aspettative, i loro bisogni materiali e immateriali; le loro povertà, le loro esclusioni, accresciute in questi anni di trasformazione dei modelli di vita, accresciute da nuovi squilibri, da nuove dipendenze, da un processo di immigrazione che assume anche in Sardegna dimensioni importanti.
E abbiamo pensato a quanti vivono con disagio nelle nostre città, nei nostri paesi, nelle spire dell’insicurezza, nel timore di regredire, di perdere un lavoro, che sempre più spesso è precario e poco pagato -.
Abbiamo pensato ai giovani che non possono fare progetti.
Alle nuove drammatiche emergenze: l’emarginazione di anziani, le violenze sui minori, la solitudine delle famiglie, la fragilità di gruppi sociali che percepiscono la crescente estinzione dei legami comunitari e di appartenenza.
Penso agli effetti dello spopolamento dei piccoli comuni delle aree interne.
Una comunità priva di coesione sociale, frammentata e infelice, declina in modo inesorabile, diventa marginale, è destinata a perdere le sfide del nostro tempo.
Una società del malessere non è competitiva.
Per questa ragione le politiche sociali vanno riconsiderate come politiche di sviluppo.
Per rilanciare la competitività di un paese, del nostro Paese, della nostra regione occorre accrescere la coesione sociale.
E per accrescere la coesione sociale bisogna ridurre le disuguaglianze.
La società del malessere deve diventare, sempre più, società del benessere.
Questo è il fondamento del nostro riformismo.

Per queste ragioni appare indispensabile un nuovo approccio alle politiche di welfare.
Riformare i presidi dello stato sociale: per renderlo più efficiente, per correggere distorsioni e sprechi, per accrescere l’area della partecipazione e dell’inclusione.

Per cambiare un welfare che da troppo a troppo pochi, che spesso è segnato dalle disparità dei trattamenti, dalle eccezioni, dalle proroghe, dalla giungla di norme inaccessibili e incomprensibili.
E sappiamo che per riformare i presidi dello stato sociale occorre vincere molte battaglie:
contro interessi consolidati che hanno costruito fortune elettorali ed economiche, addirittura in Sardegna persino dinastie, nel nome della difesa dei deboli; ma anche contro l’ideologia della conservazione, di quanti temono ogni cambiamento e demonizzano le riforme.
Si tratta di riorganizzare i rapporti tra i vari soggetti coinvolti: Regione, comuni, imprese sociali, cittadini: esaltando il ruolo di ogni parte, trovando una coerente relazione tra tutte le istituzioni che interagiscono con il servizio pubblico: a partire dal volontariato.
La Margherita ha presentato, nelle scorse settimane, a Torino, una proposta di nuova via per il benessere.
Non un codice di regole concluse ma tesi e idee per una nuova politica sociale.

Al fondo esiste il principio della integrazione e della partecipazione: in questo senso oggi intendiamo misurare nello specifico della Sardegna le nostre ragioni con quelle di una larga pluralità di esperienze.
Il cantiere è aperto, per generare il futuro.

PRIVACY POLICY