La lotta al lavoro nero
Europa, 5 ottobre
Il governo Prodi ha tra i suoi obiettivi primari la lotta al lavoro nero. Non si tratta di un tema nuovo nell’economia italiana: nel recente passato si è cercato di porre rimedio, attraverso appositi piani anti-sommerso ad una delle più evidenti piaghe del nostro sistema produttivo, che ha pesantemente condizionato la crescita, la competitività nonchè il raggiungimento degli obiettivi di piena occupazione fissati dalla strategia di Lisbona.
Il contrasto del sommerso, nella Finanziaria, prevede agevolazioni contributive nella misura di un terzo di quanto il datore di lavoro sarebbe stato tenuto a versare, alle diverse gestioni assicurative, relativamente ai lavoratori all’epoca non dichiarati.
Questo risparmio – insieme con l’estinzione dei reati previsti dalle leggi speciali in materia di versamenti di contributi e premi – non rappresenta, tuttavia, un contributo a fondo perduto, o un regalo che lo stato elargisce a coloro che hanno da poco violate le sue leggi, ma al contrario, è il primo tassello di un’operazione che miera alla stabile e duratura regolarizzazione delle attività in nero.
I risultati ottenuti sono, purtroppo, gravemente deficitari. Il valore del sommerso, secondo autorevoli stime, oscilla tra il 15,9 ed il 17,6 per cento del Pil, per un valore minimo di 170 miliardi di euro annui, con un’omissione di versamenti fiscali e contribuitivi per oltre 90 miliardi. Si tratta di quasi 6 milioni di posizioni lavorative in nero censite fino al 2005.
In tutti i paesi è presente una quota più o meno grande di “economia informale”. In Italia è particolarmente elevata e nel Mezzogiorno, può toccare quote fino al 30 per cento del Pil.
E’ intollerabile dal punto di vista economico, sociale e civile. Falsa inoltre il senso delle politiche per lo sviluppo che continuano a produrre “offerta” di strumenti di agevolazione, che non riescono ad intercettare le mille attività sommerse.
Quando si parla di sommerso, si compiono, di solito, due errori: il primo è immaginare che la causa sia da ricercare solo in questioni di costo della produzione; il secondo è pensare unicamente all’attività repressiva.
La questione è molto più complessa e merita una pluralità di interventi sul versante del fisco, del credito, della semplificazione amministrativa, della formazione, dell’accompagnamento in una logica politica per cui, l’obiettivo non è solo quello di cancellare il sommerso, ma anche, quando possibile, di qualificarlo ed aiutarlo ad emergere.
Occorre cambiare rapidamente rotta. Nonostante gli immancabili proclami trionfalistici, i disastri del governo Berlusconi, anche in questo campo, sono sotto gli occhi di tutti. La lunga stagione dei condoni ha rafforzato il convincimento che violare le regole, evadere, vivere ai margini della legalità non sia poi così grave. bisogna sconfiggere quel substrato culturale di accettazione o, ancor peggio, di comprensione che alimenta il fenomeno del sommerso. Serve una rivoluzione del modo di pensare, un’attenta opera di sensibilizzazione per ribadire con forza che truffare il sistema danneggia tutti.
La riduzione delle entrate determina un depauperamento dei servizi essenziali che lo stato è in grado di assicurare, si crea così un circolo vizioso: il governo aumenta le tasse per poter continuare ad erogare servizi ai medesimi livelli, incentivando così ancor di più il sommerso. Tutto ciò che riusciremo a recuperare dalla lotta al sommerso verrà restituito ai cittadini – come già anticipato da Francesco Rutelli – sotto forma di riduzione delle tasse.
Se è vero che il ricorso al lavoro irregolare rappresenta il risultato di una scelta, libera e consapevole, concordata tra il lavoratore ed il datore di lavoro per aumentare i redditi del primo e ridurre i costi d’impresa del secondo, è innegabile che il sommerso rappresenti, in molti casi, una vera e propria emergenza sociale. Mi riferisco al lavoro degli immigrati clandestini prestato in condizioni di totale assenza di garanzie contrattuali e di cautele nei confronti di possibili infortuni, che la cronaca di questi giorni evidenzia essere sempre più frequenti e con esiti drammatici. I lavoratori del sommerso, immigrati e non, rinunciano in partenza a tutta una serie di vantaggi derivanti da un formale contratto di lavoro: formazione, progressione nella carriera, aumenti salariali, futura copertura pensionistica, ecc. Anche laddove il lavoro sommerso non sfoci in fenomeni di palese fruttamento, pregiudica comunque la possibilità di crescita professionale e sociale della persona, segregandola a forme di clandestinità ed emarginazione pregiudizievoli della sua stessa dignità.
Dobbiamo dunque preseguire sulla linea tracciata dal decreto Bersani attraverso una serie di misure antievasione e accelerando sulle liberalizzazioni, convinti infatti che laddove esistono barriere all’entrata o, comunque, ostacoli alla formazione di un sano pluralismo del tessuto produttivo, è assai più facile che si formino sacche di attività parallele al di fuori del mercato ufficiale.
La strategia della prevenzione non può limitarsi allo strumento, pur importantissimo, dei controlli che – va ricordato – hanno permesso, tra il giugno e l’agosto di quest’anno di riscontrare irregolarità in quasi il 65% dei casi in quello agricolo, ma richiede azioni ulteriori che convincano i datori di lavoro sommersi dei vantaggi connessi alla regolarizzazione ed al riallineamento dei rapporti in corso.
Nella Finanziaria vengono legate le agevolazioni contributive ad un accordo aziendale o territoriale con le organizzazioni sindacali che preveda la stipula di contratti di lavoro subordinato tra il datore e i prestatori che si intendo regolarizzare, subordinato altresì, la conservazione delle stesse al mantenimento in servizio del lavoratore per un periodo di almeno 24 mesi dalla sua regolarizzazione.
La scelta del governo in questa delicata materia è pertanto molto chiara: non criminalizzare che ad oggi è rimasto al di fuori delle regole, ma investire con convinzione in un cambiamento culturale di parte della classe imprenditoriale del paese attraverso strumenti che assicurino risultati positivi nel lungo periodo di almeno 24 mesi dalla sua regolarizzazione.
La scelta del governo in questa delicata materia è pertanto molto chiara: non criminalizzare chi ad oggi è rimasto al di fuori delle regole, ma investire con convinzione in un cambiamento culturale di parte della classe imprenditoriale del paese attraverso strumenti che assicurino risultati positivi nel lungo periodo.
Risanamento dei conti pubblici, crescita economica e superamento dell’emarginazione sociale sono misure strettamente legate ai risultati che riusciremo ad ottenere dalla lotta al sommerso. E’ questo un terreno fertile per misurare concretamente il profilo riformista del centrosinistra.