Il coordinatore della Margherita parla chiaro: “Le leggi non sono codici morali, e questo vale anche per unioni civili”
L’Unità, 17 gennaio 2007
Antonello soro, coordinatore della Margherita prova a rimettere in fila i paletti che sembrano saltati negli ultimi giorni. Respinge le accuse mosse al suo partito di aver frenato la “lenzuolata di Bersani”, ma avverte anche i teodem. “C’è una linea del partito” e da quella non si deve prescindere.
Soro, la lettera di Rutelli pubblicata su “Repubblica” è una mossa “riparatrice” dopo i fatti di Caserta?
“Condivido l’idea di Fassino che sia stato raccontato un film che, come la maggior parte partecipanti all’incontro a Caserta non ha vista”.
Rutelli non ha posta freni: dunque, è solo invenzione giornalistica?
“Non c’è stato nessun frenatore sulle riforme e non c’è stato neanche che è stato frenato. L’obiettivo principale della manovra che dovrà essere attuata nei prossimi mesi è frutto di un accordo abbastanza largo e per il quale Ds e Margherita hanno avuto ampie convergenze”.
Eppure Villetti sostiene che la Margherita da una parte e la sinistra radicale dall’altra si alternano al freno delle liberalizzazioni. Che risponde?
“Da prima ancora della formazione del programma di governo abbiamo posto in campo l’idea di governare un cambiamento profondo dell’architettura del nostro Paese sul piano dell’economia e delle istituzioni creando concorrenza e cercando di spostare risorse dalle rendite verso gli investimenti per la crescita. Le scelte fatte luglio con il pacchetto Bersani hanno trovato entusiasmo sostegno della Margherita. Come i progetti di liberalizzazione di Lanzillotta, Mastella e Bersani sono un insieme di politiche che rivendichiamo come principale biglietto da visita della Margherita in questo momento. Mi sembra ingiusto attribuirci un’azione frenante. Villetti, come altri, sembra mosso da incoercibile prurito di distinzione. Sarebbe meglio convergere sul progetto unitario”.
Le ultime cronache: Bobba ha annunciato che voterà un ordine del giorno dell’UCD contro le unioni di fatto. I ds non hanno gradito. Lei, stesso, aveva espresso una posizione diversa. Come se ne esce?
“Intanto non condivido la forma con cui si è espressa l’intervista di Bobba, non solo con riferimento alla mozione Udc di cui non ho notizia, ma perché pesno che le regole che guidano la vita parlamentare sono diverse da quelle di altre forme associative e i compiti degli eletti all’interno di una formazione plurale, ma anche legata da un solido vincolo politico, sono un esercizio particolarmente esigente di equilibrio e di prudenza. Trovo che non sia mai utile l’affermazione perentoria di una propria personale libertà rispetto al gruppo. Sarebbe il germe di un processo dissolutivo di qualunque coalizione”.
Valori, etica e laicismo: provi a tracciare un percorso interno ai Dl e in vista del Pd.
“Credo che vada distinto il campo dei valori – dell’idea del bene e del male che ognuno di noi ha e che all’interno di un partito plurale vanno discusse con grande rispetto reciproco – da quello dell’attività legislativa. Le leggi non sono codici morali, nessuna democrazia liberale contempla l’imposizione della propria idea del bene a quanti non la condividono. Le leggi riconoscono diritti anche a quanti hanno idee differenti dalla nostre. Le unioni civili sono un esempio: è chiaro che l’idea della famiglia fondata e duraturo fra uomo e donna, è quella che costituisce l’architrave della società italiana non solo perché prevista dalla Costituzione, ma perché è il sentimento largamente prevalente, ma è altrettanto chiaro che quanti scelgono altre forme di convivenza hanno uguale diritto di cittadinanza. Le coppie di fatto non pretendono di veder riconosciuta una forma diversa di matrimonio, vogliono diritti. E’ di tutta evidenza che il riconoscimento non è un fatto privatistico, una legge non è mai un fatto privatistico”
Ma le più grandi resistenze arrivano proprio dai suoi colleghi di partito. Chiederà un chiarimento interno?
“Noi abbiamo una mozione congressuale unitaria nella quale è espressamente detta che la laicità è vissuta non come indifferenza alle esperienze religiose, ma come distinzione di responsabilità tra convinzioni religiose e compiti delle istituzioni. Questa è la posizione della Margherita”.