L’Unità, 11/03/2009
Il capogruppo del PD alla Camera: «Dal premier un’idea dittatoriale, imbarazza anche i suoi alleati. Per lui il Parlamento dovrebbe essere un’azienda»
Presidente Soro, per Berlusconi lei dovrà fare per 218: vota lei, capogruppo, per tutti.
«L’impulso sarebbe di considerarle parole in libertà, la solita battuta. Ma è il capo del governo, il premier di questo Paese. Così siamo sconcertati, noi, anche Fini e c’è imbarazzo nella stessa maggioranza. Spero che questo disagio si trasformi in argine a questa deriva».
Lui dice: ci sono paesi – come la Francia – dove si fa così, vota solo il capogruppo.
«Ci sono Paesi dove si fa a meno del Parlamento, e comanda uno solo. Non si chiamano democrazie, ma dittature. Ormai credo che sia una strategia precisa».
Quale?
«Introdurre quotidianamente dei diversivi per evitare di parlare della grande crisi economica. Anche l’altro giorno deviò i media ul Piano Casa. E così non si parla della disoccupazione, dell’Europa che ci chiede misure precise e rapide, dell’incapacità del governo di trovare misure anticicliche alla situazione».
E poter infine dire: la crisi c’è, ma non è così grave (non ve la faccio vedere).
«Questo è lo schema. Ma questa volta c’è di più: Berlusconi si è scoperto, rivelando a tutti la sua idea delle nostre istituzioni. Assai lontana da quella contemplata nella Costituzione. Nella Carta si legge: la responsabilità di rappresentare il popolo italiano è in capo al singolo parlamentare che agisce senza vincolo di mandato. Davanti a queste parole, l’uscita di Berlusconi è sovversiva».
Dirà che era provocatoria
«No, sono le pulsioni autoritarie di un uomo che considera il Parlamento un ingombro, una perdita di tempo, e il confronto con deputati e senatori un fastidio. Ma è a loro che la Costituzione delega la rappresentanza. Al netto della battuta-diversivo c’è il rammarico che il Parlamento non sia come un’azienda, con il Cda ce decide per tutto e tutti. Concetto che provoca fastidi anche in quel partito militare che il il Pdl».
Però spesso ci si incaglia in aula, e per fare una legge servono mesi, anni.
«In questa legislativa capita sovente che il Parlamento non sia in grado di votare perché i banchi della maggioranza sono vuoti… Siamo noi dell’opposizione a garantire il numero legale. Li capisco: sono demotivati, il capo li riduce al rango di numeri, non discutono, non parlano».
Ma per far prima, a parte essere presenti, che si può fare?
«Bisogna lavorare di più in commissione, per molti provvedimenti è possibile ricorrere alla procedura redigente (l’approfondimento di tutti gli articolati, ndr), lasciando all’aula l’approvazione finale. E poi noi del PD abbiamo proposto molte modifiche ai regolamenti per snellire l’attività legislativa».
Nei suoi ricordi di parlamentare ci sono momenti in cui il dibattito che adesso di vuole negare ha portato risultato importanti?
«Cito un episodio recente: al Senato sul federalismo fiscale, si è avuto un confronto serrato, proficuo, che ha modificato in profondità il testo di partenza e alla Camera speriamo di fare ancora di più. In passato, rammento la riforma del titolo V della Costituzione, ai tempi del governo Amato: facemmo un buon lavoro in aula, arrivando a un testo condiviso, poi Berlusconi cambiò idea e lo votammo da soli. Oggi è più semplice, si marcia spedito con i decreti, i voti di fiducia e le leggi fatte al buio…»