Camera dei Deputati, 28/09/2011
L’onorevole Romano ci ha confermato stasera che non intende dimettersi dalla carica di Ministro. La sua argomentazione resa in quest’Aula non ci ha convinto, onorevole Romano. Anzi, io non vorrei apparire irriguardoso e neanche insensibile al suo naturale, umano e personale travaglio, ma sinceramente vorrei suggerire al Ministro Romano di utilizzare il suo discorso in un’altra assise, quella appropriata, nella quale potrà portare i suoi argomenti, spero persuasivi.
Perché, vorrei dirlo subito, non abbiamo mai pensato di comminare al Ministro Romano una pena anticipata; la questione aperta riguarda la compatibilità della sua carica attuale con la sua condizione di inquisito per reati di mafia e insieme la caduta della sua autorevolezza, alla luce dei fatti emersi. A quanti ricoprono le cariche più rilevanti dello Stato non è richiesto soltanto di rispettare la legge, è richiesto di saper rappresentare nel modo migliore le istituzioni e i valori su cui si fondano. A loro è assegnata la tutela del prestigio dello Stato di fronte ai cittadini. Questo assunto è dentro la nostra Costituzione e, prima ancora, nella coscienza civile degli italiani, esattamente come accade in tutte le democrazie del mondo. Potrei fare, come hanno fatto altri colleghi, un lungo elenco di personalità politiche e di Governo che, in ogni angolo del mondo, hanno rassegnato le dimissioni per ragioni assai più banali. Ricorderò però, in questa circostanza, che in questa legislatura i Ministri Scajola e Brancher e, con qualche fatica in più, il sottosegretario Cosentino, hanno rassegnato le dimissioni dall’incarico di Governo, sottraendosi allo spettacolo, che non è un bello spettacolo democratico, che questa sera noi viviamo.
Non è nostro compito, né nostro obiettivo emettere sentenze, bensì è nostro dovere difendere il prestigio delle istituzioni che rappresentiamo. La nostra richiesta di dimissioni del Ministro Romano non rappresenta un atto di accusa. Noi chiediamo al Governo, al Parlamento, ai colleghi della maggioranza e dell’opposizione di fare una scelta di responsabilità e di autotutela. Chiediamo di fare una scelta che rispetti il prestigio e la dignità delle istituzioni di questo Paese agli occhi degli italiani e della più vasta platea di osservatori che in ogni angolo del pianeta seguono con interesse e crescente preoccupazione il declino del nostro Paese.
Per il cittadino Romano vale quello che vale per chiunque: si è innocenti fino a prova contraria; noi di questo siamo assolutamente convinti. Anche in questo caso, la giustizia farà il suo corso, ma l’onorevole Romano non è un semplice cittadino, è un rappresentante del Governo italiano e in questa posizione ha una responsabilità che gli impone di non far ricadere le gravi accuse nei suoi confronti sull’immagine del Governo italiano e, tantomeno, sull’immagine del Paese.
Chi crede nell’autonomia della politica, chi ritiene che altri poteri non debbano svolgere un ruolo di supplenza, e noi siamo fra questi, ha il dovere di tenere alto e limpido il profilo delle istituzioni. Noi che non abbiamo mai condiviso le distorsioni giustizialiste né fatto concessioni alle pulsioni massimaliste presenti nelle viscere del Paese, coltiviamo un’idea alta della giustizia, nella convinzione che il diritto debba essere permeato da valori.
Noi pensiamo che il Ministro faccia bene a difendersi; è un suo diritto e un suo dovere. L’accertamento delle responsabilità penali sarà compito delle magistratura e non del Parlamento, perché noi crediamo lo crediamo sempre, in tutte le circostanze – nella divisione e nella distinzione dei poteri. La politica però non può attendere l’accertamento delle responsabilità penali; in qualunque Paese normale, un caso come questo avrebbe prodotto le dimissioni di un qualunque uomo politico.
Questo non avviene in Italia perché si è progressivamente smarrito il senso del rigore e il rispetto dell’etica pubblica che una classe dirigente deve avere. Questa sera sono rimasto turbato dalle parole pesanti ed irresponsabili nei confronti della magistratura di Palermo. Sono le istituzioni, ma sono anche le persone che si muovono nella frontiera più difficile, più esigente e più pericolosa della lotta alla mafia e la disinvoltura con cui l’onorevole Romano e l’onorevole Moffa hanno parlato, stasera, della magistratura di Palermo dà il segno inequivocabile di una deriva inarrestabile di questa maggioranza, di questo Governo e purtroppo di una parte larga di questo Parlamento. Penso che l’idea della giustizia sia sempre inseparabile dalla fiducia, non la fiducia raccolta in quest’Aula attraverso il voto di uno Scilipoti in più, ma quella più esigente di una comunità di cittadini che devono rispettare le regole che questo Parlamento scrive, di una comunità di italiani che ogni giorno, nella loro vita, incontrano lo Stato con le sue leggi e con le sue imposizioni. Senza fiducia nello Stato e nelle sue istituzioni resta l’anarchia. Questa fiducia però non si acquista per chiamata nominale e neppure si ottiene con le sole dichiarazioni, la fiducia si conquista con la coerenza nei comportamenti in un paragone esigente tra quello che si dice, i modelli che si invocano e le scelte, anche individuali, che noi ogni giorno mettiamo in essere .
Per queste ragioni oggi ci saremmo aspettati un atteggiamento diverso da parte dei gruppi della maggioranza e particolarmente da parte della Lega. Nei primi anni Novanta in quest’Aula esibiva il cappio come simbolo della sua idea di legalità: io appartengo allo schieramento di quelli che non hanno mai apprezzato e condiviso quelle esibizioni e quell’idea della politica, ma è difficile non registrare il cambiamento. Non sappiamo quale sia la natura del legame che rende inossidabile l’alleanza dei rappresentanti romani della Lega con il Presidente del Consiglio, che porta i parlamentari di quel partito a votare in palese contrasto con gli elementari principi della legalità, del comune senso della moralità repubblicana, del comune sentimento degli italiani onesti, quelli che non si turano il naso, ma è certo che in questi mesi la Lega si è progressivamente allontanata dal suo profilo originario e oggi si schiera con un inquisito per mafia, questa è la conclusione cui è arrivata In questi giorni alcuni autorevoli osservatori hanno affacciato il sospetto di uno scambio tra il Ministro Romano e la Lega riferito al commissariamento della AGEA, l’agenzia che governa i fondi europei per l’agricoltura, l’ente che dovrebbe far pagare le multe relative alle quote latte. Non sappiamo se questa congettura sia vera, ma riconoscerà, l’onorevole Fogliato, che almeno è verosimile.
Vorrei rivolgere oggi, stasera, una domanda al Ministro dell’interno, un Ministro che ha il compito istituzionale di combattere più di ogni altro la mafia e al quale in più di un’occasione abbiamo dato atto di aver fatto il suo dovere. Il Ministro dell’interno in forza della legge può sciogliere un consiglio comunale nella presunzione di inquinamento mafioso. Maroni ha esercitato questo potere in più di un’occasione e in quest’Aula ne ha legittimamente menato vanto. Così è accaduto che diversi consiglieri comunali, in diverse città italiane, non indagati da alcun magistrato siano stati privati del loro mandato perché nel consiglio c’era un collega in odore di mafia. Come può lo stesso Ministro che ha deciso la soppressione, la chiusura, la revoca del mandato popolare a questi consiglieri comunali, come può lo stesso Ministro non cogliere il problema quando in discussione c’è la reputazione, il prestigio, non di un consigliere comunale, ma di un Ministro della Repubblica ? Non ci illudiamo che l’onorevole Maroni voglia rispondere a questa domanda, ma avremmo apprezzato se in questa circostanza, in questa brutta storia, avesse evitato di presentarsi alle televisioni come il portavoce del suo partito.
L’onorevole Romano, in questi giorni, ha ripetuto più volte che la sfiducia nei suoi confronti nasconde il tentativo di sfiduciare il Presidente del Consiglio. Noi abbiamo tanti motivi, non è un mistero, per chiedere le dimissioni del Governo. Dell’uomo che più a lungo di chiunque altro ha guidato l’Italia, che più a lungo di qualunque altro italiano ha avuto il privilegio di misurarsi con la sfida di Governo, che in questi lunghi anni ha preferito coltivare i suoi interessi piuttosto che quelli della comunità nazionale, che ha tradito il suo manifesto liberale, che non ha fatto una sola riforma dello Stato e dell’economia degna di questo nome, che ha portato l’Italia sempre più indietro nella competizione globale, che ha aumentato le tasse oltre ogni limite precedente, che ha tradito e svuo-tato la delega per la riforma del federalismo fiscale, che ha dissipato il credito che il nostro Paese aveva guadagnato presso le cancellerie di tutto il mondo. No, davvero, non abbiamo bisogno di pretesti per chiedere le dimissioni…
Ma oggi noi chiediamo un’altra cosa specifica: chiediamo di allontanare l’ombra della mafia dal Governo della nostra Repubblica ! Per queste ragioni voteremo la mozione di sfiducia individuale al Ministro dell’agricoltura