Il giorno tanto atteso è arrivato. Il “battesimo” ufficiale del partito è solo l’ultimo atto di un lungo iter, fatto di intese nelle sedi parlamentari ma soprattutto di convergenze politiche e programmatiche sul territorio, attraverso il quale la politica riacquista la sua centralità e torna a porsi al servizio del cittadino. Il ricordo di Marco Biagi commuove i presenti e, al tempo stesso, richiama tutti alle proprie responsabilità e all’impegno quotidiano per la Democrazia e la Libertà. Soro è presidente del Congresso.
I^ Congresso nazionale Margherita DL. Parma, 22-24/03/2002
Sentimenti diversi e contrastanti si intrecciano qui, oggi, mentre ci accingiamo ad aprire qualcosa di più che un congresso: mi viene da dire una storia.
Oggi, infatti, nasce compiutamente, con le decisioni che quest’assemblea è chiamata ad assumere, una nuova forza politica. Questo è davvero il “battesimo” della Margherita, nel senso della sua consacrazione come partito nuovo, come scelta che vede finalmente realizzarsi un’attesa maturata nel tempo. E perseguita con pazienza e ostinazione in questi anni, dando senso, passo dopo passo, a quel lavoro che in tanti abbiamo portato avanti e che ha trovato la sua fertile sperimentazione nei diversi luoghi del nostro “fare politica”, nelle istituzioni parlamentari — attraverso il lavoro dei gruppi, dove abbiamo verificato quanto fossero di più le cose che ci univano rispetto a quelle che potevano dividerci – ma anche nelle mille periferie, dove abbiamo cominciato a costruire le prime convergenze politiche e programmatiche. Il risultato elettorale del 13 maggio, in questo senso, ha solo confermato la validità di un’idea che si era già affermata: in noi, certo, ma soprattutto negli elettori.
Il percorso che abbiamo poi compiuto da quel momento, ha rappresentato solo, in qualche modo, l’assunzione di una responsabilità alla quale tantissimi italiani ci avevano chiamato. Oggi compiamo un ulteriore, decisivo, passo.
Un congresso, per quanti per cultura e appartenenza “generazionale” hanno una concezione “religiosa” della democrazia come credo civile, ha sempre una valenza straordinaria. E non nascondo la mia personale emozione in questo momento. Al di là di ogni possibile retorica noi qui, tutti, siamo convinti dell’importanza del passo che oggi compiamo. Delle speranze che a questo atto, non formale, sono legate. Delle attese, tante, diverse, diffuse, che circondano questa nostra scelta.
E tuttavia non possiamo certo nascondere la difficoltà —dobbiamo dire il disagio — di affermare questa nostra comune, collettiva speranza in un momento tanto difficile e drammatico.
Mentre il nostro partito nasce, siamo costretti a sentir parlare linguaggi di morte. Mentre intraprendiamo un cammino che guarda avanti, forze oscure e minacciose ci vorrebbero respingere in baratri che abbiamo alle spalle. Mentre lavoriamo al futuro le ombre del passato oscurano ancora una volta l’orizzonte del nostro Paese.
La gioia per una cosa nuova che comincia, e che abbiamo fortemente voluto, è tragicamente velata da tristezza e angoscia per la morte di un uomo giusto, come Marco Biagi, assassinato dagli stessi che uccisero D’Antona. Seguendo il medesimo disegno criminale che nella storia della nostra vicenda democratica ha sempre voluto colpire uomini contraddistinti dallo stesso segno: la capacità di dialogare, di mediare, di innovare mantenendo intatta la fedeltà ai valori costitutivi della Repubblica. Così è stato per Moro, per Bachelet, per Ruffilli.
Il Congresso di Democrazia è libertà si associa al cordoglio espresso ai familiari dal Capo dello Stato e dal Parlamento.
Marco Biagi proveniva da una esperienza socialista ma aveva partecipato come delegato esterno alla nostra Assemblea Costituente del luglio scorso. Certamente guardava con interesse a questa cosa nuova della politica italiana che è la Margherita. Forse con quella stessa speranza che oggi è la nostra.
Questa consapevolezza, confermata dal ricordo e dalla testimonianza di tanti che sono qui tra noi, ci fornisce una motivazione ulteriore a dare forza, contenuti, spessore a questo progetto ambizioso. Perché noi, qui, oggi, siamo convocati non da un piccolo calcolo ma da una motivazione alta: la nostra passione per la democrazia e la libertà.
Sentiamo la responsabilità di pronunciare queste parole, queste due parole che sono scritte nel nostro simbolo perché sono scritte, prima, nel nostro codice genetico. Queste due parole che non possono vivere se non insieme, se non nutrite di passione civile, di impegno, di partecipazione. Di sincerità, di intelligenza e di coraggio.
Per questo Democrazia è libertà non è una scelta effimera: in questo progetto noi siamo chiamati ad investire ciò che di migliore abbiamo ereditato dalle nostre esperienze. Da quelle tradizioni culturali e politiche che hanno segnato la storia della democrazia italiana.
Abbiamo deciso di spendere l’impegnativa e preziosa eredità di quella storia nel tempo nuovo. Senza nostalgie e malinconie. Senza rinnegare ciò che siamo stati, ciò che ognuno di noi è stato. Ma anche consapevoli della sfida del cambiamento. Delle nuove domande di un’Italia che ha attraversato una transizione estenuante, difficile, per molti diversi incompiuta.