L’Unione Sarda, 05/04/1993
La presenza di Martinazzoli a Cagliari coincide con una stagione di straordinaria emergenza della politica e dell’economia in tutto il Paese.
Ma anche la società sarda ha una speciale consapevolezza: la crisi occupativa e l’emergenza industriale sono nell’Isola dovute, oltre che alla congiuntura economica nazionale e internazionale, soprattutto alle scelte e alle non scelte operate dal governo.
La nostra crisi diviene così il segnale più evidente del venir meno del vincolo solidaristico che deve esistere nella comunità nazionale e tra le diverse articolazioni istituzionali della repubblica.
E’ il simbolo di come lo Stato, nei momenti di difficoltà, sia portato a identificarsi con le realtà più forti del Paese affidando ad esse, e non a se stesso, la determinazione del futuro politico ed economico della nazione.
E’ sintomatico che tutto ciò avvenga in concomitanza con la più profonda crisi che la Democrazia cristiana abbia mai attraversato nel corso della sua storia. La crisi dello Stato sociale coincide con la crisi del nostro partito. Così come in Sardegna la crisi dell’Autonomia, unico e vero strumento politico per difendere gli interessi della regione, coincide con la crisi di rappresentanza della Democrazia Cristiana.
Non ci manca il progetto politico, ma siamo sicuramente privi dell’autorevolezza necessaria per renderlo efficace. Questo mandato morale e culturale all’azione di governo, che ha sempre preceduto e agevolato quello elettorale, è come imbrigliato nella persistenza di una dirigenza complessivamente vecchia per cultura e per biografica. Nei ruoli di guida ci sono ancora troppi di coloro che hanno speso la loro storia personale – anche utilmente – in un tempo diverso, forse positivo per la Sardegna, ma ormai distante dai sentimenti di affinità della gente.
Il partito degrada nelle geometrie di una competizione verso il basso ispirate e praticate da una generazioni di dirigenti che concepiscono la politica come mestiere.
Il tarlo del trasformismo si è ora insinuato pericolosamente dentro la DC sarda: vedo in giro molti vecchi padrini di cause antiche, alfieri presuntuosi di bandiere ormai ammainate, proporsi come sacerdoti del nuovo corso.
E invece mi pare non si possa prescindere da forti segnali di discontinuità con il passato. Oltre che dai programmi il nostro domani dipende infatti dall’affidabilità dei protagonisti: e chi è identificato, dalla storia e dall’opinione pubblica, quale responsabile di altre stagioni deve farsi da parte.
Non va dunque consentito che i padroni delle tessere diventino padroni di adesioni, né che i congressi siano ancora una volta occasioni per ratificare accordi già presi. Bisogna far sì che il congres¬so coincida con un luogo di adesione al partito e, insieme, di scelta della nuova dirigenza: tutto diventa così più aperto e più libero.
Per questo abbiamo proposto a Martinazzoli una procedura sperimentale che metta al passo la DC sarda con la recente riforma istituzionale votata dal Consiglio regionale e che prevede l’elezione diretta del presidente. Si elegga il segretario regionale in una giornata del prossimo giugno, chiamando alle urne tutti i cittadini sardi che vogliono aderire – in quella occasione – al manifesto del partito, annullando qualunque mediazione delle correnti e dei gestori della politica del passato, ritrovando in una larga e diffusa legittimazione popolare la forza di una guida autorevole ma anche la reciprocità del nesso che lega il partito ai cittadini.