Ancora un articolo sulla “Nuova Sardegna”, il 27 gennaio ’95. Una riflessione sul ruolo dei partiti, sulle loro crisi di rapporti con la gente comune. Ben 10 milioni di italiani costituiscono l’area di diserzione dal voto.
La crisi di governo si chiude lasciando sul terreno molti protagonisti in preda ad una delusione tanto cocente quanto inattesa: ma non avrebbe senso da parte di alcuno manifestare euforia per una presunzione di successo. Siamo partecipi di una condizione difficilissima nella quale occorrerebbe mettere al bando le rissosità verbali e i toni da sfida per rintracciare il filo di una qualche riflessione.
Credo che questa vicenda ne suggerisca diverse.
Il nuovo sistema elettorale non ha prodotto stabilità né semplificazione degli schieramenti: esistono in Parlamento circa quindici gruppi politici variamente combinati in una temporanea convivenza.
Il ricorso ad un artificio tecnico di collegamento elettorale di due coalizioni distinte, operato abilmente da Silvio Berlusconi, ha prodotto un premio di maggioranza, ma non ha prodotto una maggioranza politica.
Sarà necessario modificare la legge elettorale (auspicabilmente verso il doppio turno), ma saranno comunque affidati alla politica e non all’ingegneria istituzionale la stabilità delle legislature e la tenuta dei governi.
Il processo di radicale cambiamento del sistema politico non si è concluso: occorrono ancora grandi trasformazioni capaci di rimuovere le scorie di una pratica politica informata agli scontri ideologici del novecento e aprire lo scenario di una democrazia che vive nel suo tempo.
Le sigle che si fronteggiano in questi giorni sono un ostacolo per una puntuale corrispondenza tra la nuova domanda politica e l’offerta di governo che i partiti dovrebbero esprimere.
La generale accettazione dei valori fondamentali della democrazia moderna insieme alla mutata architettura sociale e culturale del nostro Paese mettono fuori gioco tutte le opzioni estreme del passato: al di là della fiction propagandistica non ci sono più i nemici comunisti e neppure quelli fascisti.
Sono altri gli interessi, le aspettative, i valori, le mete di vita, i problemi che caratterizzano la nuova identità degli elettori italiani.
Se volessimo fissarlo in una mappa approssimativa, diremmo che da una parte si trova il polo dei valori morali, della giustizia sociale, del volontariato, dell’interesse per gli altri, dell’attenzione alla natura, della misura nello stile di vita.
Dall’altra parte indicherei il modello edonistico, l’impulso per il soddisfacimento individuale, la passione per lo Stato forte e virile, l’idea del mercato come feticcio, la propensione per la soluzione radicale dei problemi.
Sono polarità non esclusive: in qualche modo esiste sempre il punto di confine e di sovrapposizione.
Tuttavia mi pare che queste tendenze segnino la società italiana assai più puntualmente della toponomastica tradizionale (destra, sinistra, conservatori, progressisti etc.)
Mi chiedo quale capacità abbiano gli attuali partiti di interpretare veramente questa realtà e quale interesse avrebbero i cittadini per un nuovo, immediato, confronto elettorale: non credo che si guadagnerebbe in chiarezza.
La mobilità dell’elettorato, esaltata come una conquista di civiltà, non è necessariamente sinonimo di una più matura valutazione: potrebbe essere spia di un diffuso e persistente disorientamento.
Né giova, in questo senso, la qualità dell’offerta politica come si è venuta manifestando in questi tempi.
Non viviamo una stagione di eccellenze nella leadership dei partiti: il loro profilo evoca più l’immagine di un piazzista preoccupato delle vendite che non quello di uomini di Stato attenti a cogliere la bussola degli interessi del Paese.
Per converso non può sfuggire un dato nuovo e prevedibile della società sviluppata: il progressivo allargarsi dell’area di disimpegno civile in cui cala l’interesse per la politica (spesso il disgusto dichiarato e ostentato è un alibi per nascondere un comportamento di opportunistico rifugio nell’interesse privato), e cresce la perdita di elementi essenziali per un giudizio compiuto, in cui l’informazione politica viene passivamente subita.
Aumenta in Italia il numero dei cittadini scarsamente disponibili all’impegno: quest’atteggiamento, prevalente nei ceti sociali più fortunati, configura una vasta riserva di caccia per i piazzisti della politica che fanno appello alla suggestione e agli istinti piuttosto che alla capacità di riflessione razionale.
Questo dato fa pendant con la cifra di quasi 10 milioni di italiani che nel marzo ’94 si sono astenuti da una scelta politica.
Quest’area della diserzione civile del voto, quest’area della deprivazione socioculturale e politica, quest’area dell’esposizione passiva ai nuovi impulsi videocratici rappresenta il ventre molle della democrazia italiana.
Dobbiamo essere consapevoli che questo ventre affamato e non sazio di cultura democratica può essere oggetto di un’offerta suggestiva capace di blandirne le voglie e orientarne il destino.
Il problema che tutti abbiamo di fronte consiste nella scelta fra la tentazione di guadagnarne comunque il consenso e quella, più faticosa, di misurare le nostre ragioni.