L’Unità, 16/03/1999
“Quando si parla di Quirinale è difficile trovare il timbro giusto. Il dibattito di questi giorni, con indicazione di nomi e relativi dissensi, non mi sembra ben impostato. La mia opinione è che si debba partire dai requisiti che deve avere il prossimo Capo dello Stato. E deve esserci un passaggio politico”.
Onorevole Soro, lei parla di criteri. Ne può indicare qualcuno?
Il Capo dello Stato che andiamo a eleggere ha davanti lo scenario non facile di un sistema politico che non ha trovato ancora il punto di approdo. Anche nella prospettiva del consolidamento del bipolarismo, credo che per il prossimo settennato potrebbero alternarsi maggioranze e minoranze diverse. Il sistema politico italiano ha bisogno di grandi doti di equilibrio. Non basta dire che il Capo dello Stato deve essere una persona di grande prestigio, un democratico…
C’è chi sostiene che debba essere un bipolarista convinto.
Non basta. Certo, nessuno vuole un Capo dello Stato che abbia nostalgia di un sistema politico diverso da quello su cui siamo orientati tutti noi. Però mi parrebbe più importante qualche altro requisito.
Per esempio?
Credo che sia indispensabile una grande sensibilità per i processi della politica. Il Capo dello Stato deve avere la qualità di capire cosa matura dentro e fuori il Parlamento. Non può essere uno indifferente e poco sensibile. Deve poi avere una competenza robusta sul funzionamento di questa complessa architettura che nell’attuale Costituzione viene assegnata ad una pluralità di istituzioni. Muoversi dentro questo sistema con competenza è la precondizione per favorire anche l’evoluzione del sistema e quindi la riforma della Costituzione.
Secondo lei, Ciampi ha queste doti?
Ciampi ha un grande prestigio interno e internazionale. Svolge egregiamente le funzioni di governo. Ma io credo che i requisiti cui mi riferivo si trovino più in altri uomini e in altre donne. Ciò non toglie che anche Ciampi appartenga alla rosa dei possibili candidati al Quirinale.
Cosa intende per “equilibri politici”? Che se a Palazzo Chigi siede un uomo della sinistra, al Quirinale deve esserci un cattolico?
Non svilupperei questo confronto in termini di un qualche scambio. Non esiste una regola che assegni ad alcuna forza politica un diritto speciale. Sarebbe un atto di arroganza se in questa fase il mio partito rivendicasse in questi termini la carica di Capo dello Stato. Tuttavia credo sia realistico dire che il sistema politico italiano non è riducibile a due partiti, o anche solo a due aree di cultura politica. Esiste un’area che si trova in una posizione di baricentro, più affidabile nei confronti delle altre. Credo che l’area del popolarismo, che è qualcosa di più esteso del mio partito, occupi uno spazio centrale più utile all’equilibrio generale. Si tratta anche di vedere se questa valutazione è condivisa. Si tratta di verificare con molta disponibilità e comprendere le ragioni degli altri. Però, così come non esiste un diritto speciale di nessuno, credo che sarebbe intollerabile anche un atteggiamento di pregiudiziale esclusione di un’area politica. Questo non gioverebbe.
Lei pensa che l’elezione del presidente della Repubblica possa avere ripercussioni sul quadro politico e creare scossoni nel governo?
È un passaggio molto delicato. Questa è una fase in cui la maggioranza di governo vive una grande irrequietezza, legata in parte all’imminenza delle elezioni europee, ma anche alla scomposizione dello schema dell’Ulivo. La questione Quirinale? Non c’è una conseguenza meccanica per cui si va a una crisi di governo; però una lacerazione di rapporti, un atto vissuto da qualcuno come prevaricante, in qualche modo introduce il germe della dissoluzione.