Le elezioni politiche del 13 maggio sono oramai alle spalle. Il “futuro” è un soggetto politico nuovo che muove i suoi primi passi nel panorama partitico italiano con l’ambizioso obiettivo di trovare una sintesi tra culture ed esperienze, diverse nella provenienza ma che hanno in comune valori, progetti e sensibilità democratiche. Dopo l’assemblea costituente la strada è ancora lunga, ma il cammino da percorrere appare ben delineato.
Il Popolo, 5/7/2001
Dentro la Margherita, appena ”battezzata” permangono questioni irrisolte e più di una contraddizione. E tuttavia abbiamo superato il punto di non ritorno. L’assemblea costituente e il dibattito che l’ha preceduta hanno fatto chiarezza circa l’inconsistenza di una prospettiva che volesse assegnare natura federativa a questo soggetto.
D’altra parte per fare una federazione non avremmo avuto bisogno di una fase costituente. Credo che i processi politici talvolta corrano più veloci delle persone che hanno il compito di guidarli. Forse questa volta è avvenuto così. Io vorrei che la Margherita, nelle nostre mani diventasse non solo un nuovo partito ma anche un partito nuovo: nuovo per il profilo politico, nuovo per la forma con cui organizza la partecipazione e seleziona i gruppi dirigenti.
In questi mesi si è registrato un consistente ricorso al principio della cooptazione dei gruppi dirigenti secondo una logica di assegnazione per quote di provenienza. Questa pratica, forse necessitata secondo il parere dei più rischia di conferire al nuovo partito troppi caratteri somatici propri del vecchio e, soprattutto, una pericolosa tendenza ad affrontare il futuro con lo sguardo rivolto al passato.
Esiste tra molti dirigenti un atteggiamento di conservazione e di inerzia per cui si misura e si definisce il carattere del nuovo in ragione di una maggiore o minore affinità con le categorie politiche del vecchio sistema.
Domande e interrogativi che sono emersi anche nel dibattito all’assemblea costituente: quanto la Margherita è proiezione della vecchia Dc? Quanto è distante? Quanto è centro e quanto è sinistra? e così via.
A me sembra che questo atteggiamento e questi interrogativi non tengano conto dei cambiamenti profondi e strutturali che sono intervenuti nel sistema politico e prima ancora nella società italiana. Non solo perché viviamo in un tempo di organizzazione bipolare e maggioritaria (un bipolarismo condiviso dai cittadini, e non subito come molti si ostinano a credere) ma perché è finita da tempo l’unità politica dei cattolici, sono rivoluzionati gli scenari internazionali, l’architettura sociale, la gerarchia dei valori. Perché l’Italia è politicamente secolarizzata e infedele, come la maggior parte dei paesi europei. Di fronte a questi cambiamenti si può decidere l’abbandono, la dichiarazione di una propria inadeguatezza, ma non si può ignorare la realtà rifugiandosi nella pretesa, un po’ aristocratica e un po’ malinconica, che sia la società a sbagliare. Eppure qualche volta questo atteggiamento affiora nelle discussioni dei dirigenti del centro sinistra. E forse intorno a questo modo di porsi va ricercata una qualche ragione della sconfitta dell’Ulivo nel voto del 13 maggio.
Si è discusso molto del profilo politico della Margherita, della sua capacità di contenere e garantire le distinte culture di provenienza.
Occorre, in proposito, un atteggiamento che è insieme di consapevolezza e di sincerità. Le nostre culture politiche di riferimento, l’esperienza di cattolici democratici, del riformismo liberal democratico costituiscono un patrimonio da cui si parte: ma deve essere chiaro che si tratta di un patrimonio di cui noi non siamo gli unici titolari. Molti valori, molte idee generali che nel secolo scorso hanno segnato la fisionomia di una parte politica sono oggi terreno comune, cultura largamente diffusa e spesso coincidente con la nuova identità nazionale.
Per questo dobbiamo avere il coraggio di guardare oltre. Dobbiamo uscire da logiche e schemi che non rispondono più, già oggi, a quello che siamo. Il problema della collocazione europea della Margherita esiste, ma non si risolve con i reciproci inviti a “uscire o a ‘entrare”. Ci dobbiamo impegnare tutti insieme, sapendo di essere un’avanguardia, nella costruzione di nuove forme di aggregazione delle forze politiche che in Europa si ispirano al riformismo cattolico e liberale, ma non si riconoscono nei contenitori esistenti.
Se vogliamo corrispondere alla domanda politica del nostro tempo, dobbiamo articolare una proposta che abbia il profilo delle nuove sfide, che indichi risposte, che susciti speranze in quanti sono delusi e disorientati da una lunga storia di divisioni nel nome del passato. Per questo dobbiamo vincere quel complesso di automatismi e di inerzie intellettuali che affondano le radici nel vissuto personale di ognuno di noi. Per essere, dentro l’Ulivo, la componente politica più europea e innovativa, più avanti nell’impegno a coniugare le nuove libertà, la nuova domanda di cittadinanza con la migliore cultura democratica che abbiamo alle spalle.
Dobbiamo essere sinceri con noi stessi: molti tra i dirigenti politici che erano presenti all’assemblea costituente, in questi anni hanno lavorato contro la Margherita, hanno avuto grandi incertezze e magari qualche sbandamento. Alcuni hanno personalmente avuto modo di misurare la propria ininfluenza rispetto ai comportamenti elettorali degli italiani. Sarebbe sbagliato elevare barriere e pregiudizi di esclusione, anzi dobbiamo evitare ogni atteggiamento settario in auge in questi ultimi anni, quando nel clima di scissione continua sì è diffusa la consuetudine di allontanare le minoranze giudicate poco ortodosse. Uno dei pilastri della Margherita deve essere un largo, diffuso impegno a favorire il diritto di cittadinanza interno e le regole di convivenza.
Ma proprio per queste ragioni spero che in questi mesi di avvio della nostra esperienza la guida della Margherita non venga affidata a quanti l’hanno ostacolata, che nel nome dell’unità non vengano compresse le voci di quei milioni di cittadini che hanno votato Margherita senza passare attraverso i partiti promotori. Queste voci forse, finora, sono rimaste in seconda fila.