Regolamentare lo sviluppo digitale, una sfida tra i diritti e la libertà

(“L’Huffington Post”, 5 luglio 2018)

 

Il rinvio, disposto dal Parlamento europeo, dell’esame dello schema di direttiva sul diritto d’autore consente di valutarne, con maggiore ponderazione, la portata alla luce di tutte le implicazioni che le nuove norme potrebbero avere sui diritti e le libertà. Nelle scorse settimane ho avuto modo di sottolineare come, nel tentativo, avanzato dall’Europa, di regolamentare le condizioni per uno sviluppo equilibrato del digitale vi siano certamente, ancora, dei chiaroscuri e nodi più complessi di altri da sciogliere.

Molti di questi riguardano il rapporto, sempre più articolato e problematico, tra informazione ed economia della condivisione; tra quel particolare tipo di inserzionisti-terze parti che sono editori e giornali e i gestori delle piattaforme. Ed è un problema che ha un impatto diretto sulla tenuta dei sistemi democratici fondati, come sono, sul pluralismo informativo e sulla libertà di espressione. Su questi temi bisognerebbe confrontarsi senza pregiudizi e con la consapevolezza che nessuna soluzione è scontata.

Ad esempio, la previsione – nello schema di Regolamento e-privacy – dell’opt-in per i cookies a partire dal browser è stato oggetto di forti critiche nel mondo dell’editoria, ritenendosi che essa favorisca i big tech a scapito delle testate online. Mentre infatti i primi – avvalendosi di diversi sistemi di tracciamento, soggetti a un regime meno stringente (fingerprinting) – non incorrerebbero nelle limitazioni del Regolamento e-privacy, gli editori non disporrebbero di strumenti per la raccolta puntuale ed estesa del consenso dei lettori “provenienti” dai social.

Ora, è certamente comprensibile la difficoltà di adeguamento degli editori e la loro esigenza di un riequilibrio nei rapporti con i gestori delle piattaforme, il cui strapotere, indebolendo sempre più la “forza” (anche attrattiva) delle testate tradizionali, rischia di erodere le basi del pluralismo informativo. Tuttavia, è altrettanto importante assicurare agli utenti il controllo effettivo sull’ambito di circolazione dei propri dati in rete e sulla profilazione funzionale al microtargeting. Soprattutto in ragione della complessità propria dell’articolazione dei rapporti tra social-media, inserzionisti e terze parti in genere. È invece indispensabile riportare i sistemi di tracciamento più invasivi utilizzati dai gestori delle piattaforme al regime europeo della protezione dati. Non è tecnicamente semplice ma rappresenta per le autorità garanti un impegno ineludibile.

Così pure nell’ambito della direttiva sul copyright, va sicuramente cercata una soluzione capace di coniugare libertà di espressione e tutela del diritto d’autore anche in funzione della salvaguardia del pluralismo informativo reso possibile da una stampa libera e di qualità.

La link tax, ad esempio, dovrebbe essere attuata in maniera tale da impedire che i gestori delle piattaforme divengano gli arbitri dell’informazione, attribuendo loro il potere di selezione delle notizie da diffondere. Andrebbe dunque chiarito che la doverosa remunerazione degli editori da parte dei gestori, deve essere indipendente dal contenuto della notizia. Altrimenti, anziché limitare lo strapotere dei gestori, tale forma di remunerazione rischierebbe di consegnare loro le chiavi del sistema informativo, con un’evidente distorsione del fisiologico funzionamento dei meccanismi democratici.

Per altro verso, il sistema di filtraggio volto a bloccare informazioni coperte da copyright – come spesso avviene per la delega all’algoritmo della selezione tra contenuti leciti e non – presenta alcune criticità. Se, infatti, i filtri algoritmici sono tendenzialmente ragionevoli, sia pur qualche inevitabile margine di errore, se fondati su parametri oggettivi (quali ad esempio la porzione di “pelle” esposta ai fini della pedopornografia), più difficile appare la loro estensione alla valutazione semantica dei contenuti testuali veicolati in rete, che implica un apprezzamento in certa misura discrezionale difficilmente delegabile alla macchina.

Si rischia dunque che il controllo preventivo dei contenuti per fini di tutela del diritto d’autore si traduca, di fatto, in un indebito controllo da parte dei gestori, sull’esercizio della libertà di espressione online.

Facendo tesoro del lavoro svolto, vanno dunque cercate altre soluzioni, che sappiano soddisfare tanto la legittima esigenza di tutela del diritto d’autore e di riequilibrio nel rapporto big tech-editori, quanto la salvaguardia, in rete, delle libertà e dei fondamentali presidi democratici.

Occorre su questo ripensare le categorie giuridiche tradizionali, nella consapevolezza di come la tecnologia muti, certo, il contesto, ma non il bisogno della democrazia di garantire libertà.

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