Presso le Commissioni riunite I Affari costituzionali e XI Lavoro pubblico e privato della Camera dei Deputati
(2 ottobre 2018)
1. Premessa
Ringrazio la Commissione per la richiesta di audizione e, come premessa di metodo, preciso che mi riferirò essenzialmente alla pdl 1066, in quanto oggetto della dichiarazione di urgenza adottata dall’Aula ex art. 107, c.1, reg. Camera, in ragione della sua continuità rispetto al testo unificato approvato dall’Assemblea nella scorsa legislatura.
Ciononostante, potrebbero essere presi in considerazione anche alcuni elementi presenti nella pdl 480 inerenti, in particolare, le caratteristiche tecniche del sistema di videosorveglianza..
Sul tema oggetto delle proposte di legge abbiamo già avuto modo di esprimerci, nella scorsa legislatura, dinanzi a entrambi i rami del Parlamento.
Tornare ancora una volta su questo testo (che, appunto, ripropone quello già approvato dalla Camera) è, tuttavia, non soltanto necessario ai fini del rispetto dell’obbligo di acquisizione del parere del Garante e dell’aggiornamento dei riferimenti normativi al nuovo quadro giuridico, ma anche opportuno in ragione della particolare complessità e rilevanza dei beni giuridici coinvolti.
La disciplina di questa materia deve, infatti, necessariamente coniugare la tutela di soggetti in condizione di particolare vulnerabilità (quali minori e incapaci) rispetto al rischio (purtroppo non remoto) di abusi e violenze, l’esigenza di ricostruzione probatoria di reati – quali quelli in esame – per i quali nella maggior parte dei casi non si dispone di testi in grado di agevolare gli accertamenti, la libertà del lavoratore nell’adempimento della prestazione (cfr. art.1 della pdl) e, infine, il diritto alla protezione dei dati personali dei vari soggetti ripresi dal sistema di videosorveglianza. Non solo i lavoratori, dunque, ma anche gli stessi ospiti delle strutture educative o di cura considerate nella proposta.
La garanzia della libertà di autodeterminazione del lavoratore è, peraltro, funzionale alla spontaneità che deve necessariamente caratterizzare prestazioni lavorative quali quelle di tipo formativo o assistenziale, la cui qualità potrebbe risultare pregiudicata dalla consapevolezza dell’interessato di essere sottoposto a una vigilanza costante, con implicazioni inevitabilmente negative sulla stessa relazione educativa o di cura.
Il sistema di videosorveglianza proposto, infatti, pur realizzando un controllo, neppure preterintenzionale, dell’attività lavorativa (essendo oggetto della ripresa proprio la dinamica della relazione educativa o di cura), non persegue finalità interne al rapporto di lavoro, come nel paradigma classico dei controlli a distanza sull’attività lavorativa.
Il carattere esterno al rapporto di lavoro della finalità perseguita da tale trattamento colloca, dunque, questa fattispecie al di fuori dell’alveo tradizionale già normato dall’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori.
Le garanzie lì sancite a tutela dei lavoratori (procedura concertativa o, alternativamente, autorizzatoria) restano, infatti, certamente applicabili (come previsto dallo stesso art.4, c.4, della pdl) sotto il profilo procedurale, nella misura in cui il sistema proposto realizza un controllo a distanza sul lavoro.
Tuttavia, lo schema normativo dello Statuto dei lavoratori non esaurisce la particolare complessità e articolazione di questo trattamento, che se incide sull’attività lavorativa mira però a tutelare soggetti terzi rispetto al rapporto di lavoro.
L’eccedenza, in questo senso, del trattamento proposto rispetto agli schemi tradizionali deve, dunque, indurre il legislatore a uno sforzo di riflessione sulle peculiarità del bilanciamento da realizzare, attorno ad interessi giuridici di primario rilievo costituzionale quali la protezione di soggetti deboli dal rischio di possibili abusi e l’esigenza di accertamento probatorio dei reati eventualmente commessi, nonché l’autodeterminazione del lavoratore.
La complessità del normare questa materia è, del resto, accresciuta dall’intersezione di due distinte discipline di protezione dati: il Regolamento generale (con l’integrazione, sul piano nazionale, del Codice in materia di protezione dati, come novellato dal d.lgs. 101/18) applicabile all’installazione e alla tenuta dei sistemi di videosorveglianza e la direttiva 680 (recepita dal d.lgs. 51/18), applicabile alla fase dell’accesso ai dati acquisiti dalle telecamere e al relativo trattamento, da parte degli organi inquirenti.
Il minimo comune denominatore di queste due discipline (volte a regolare, dunque, distinte fasi del complessivo trattamento di dati personali che si intende legittimare) attiene, in particolare, ai principi fondativi della materia e, segnatamente, ai canoni di liceità, finalità e proporzionalità del trattamento rispetto alle esigenze perseguite.
2. Oltre i controlli sul lavoro: le peculiarità di questi trattamenti
In estrema sintesi e con riserva di quanto osserveremo più avanti nel dettaglio, si tratta di capire quale grado di limitazione della libertà del lavoratore – inevitabilmente conseguente all’operatività continua di telecamere – possa ammettersi per esigenze di tutela di soggetti incapaci affidati alle altrui cure, nonché di agevolazione dell’eventuale ricostruzione probatoria in sede penale, naturalmente ostacolata dall’incapacità di deporre della quasi totalità dei possibili testimoni degli eventuali reati commessi.
Si tratta, in altri termini, di tracciare la soglia oltre la quale il diritto fondamentale alla protezione dei dati personali sia compresso in quel nucleo essenziale, di cui l’art. 52 della Carta di Nizza prescrive l’intangibilità, pur a fronte di esigenze di tutela di beni giuridici rilevanti per l’ordinamento.
In questa valutazione entra in gioco il tema della proporzionalità del trattamento rispetto alle esigenze in concreto perseguite, che in ragione dello specifico contesto di riferimento manifestano un’intensità diversa e, dunque, una diversa capacità di legittimare limitazioni significative del diritto alla protezione dati dei lavoratori.
Il testo riproposto presenta, infatti, indubbi miglioramenti rispetto a quelli originariamente presentati nella scorsa legislatura:
– l’installazione delle telecamere da obbligatoria è stata resa facoltativa, subordinata al consenso degli ospiti nel caso delle strutture socio-sanitarie o socio-assistenziali,
– sono stati previsti la cifratura dei dati raccolti e il divieto di accesso agli stessi, superabile solo dagli organi inquirenti in sede di indagine,
– è stato aggiunto un riferimento alle sanzioni applicabili in caso di violazione delle prescrizioni a tutela della sicurezza dei dati.
Tuttavia, l’ambito di operatività del trattamento resta alquanto ampio e poco omogeneo.
La videosorveglianza sarebbe, infatti, ammessa negli asili nido, nelle scuole dell’infanzia, nonché nelle strutture socio-sanitarie e socio-assistenziali per anziani e disabili, a carattere residenziale, semiresidenziale o diurno.
Sotto questo profilo, dunque, si potrebbe condurre un’ulteriore riflessione sul perimetro di operatività della norma, valutando se effettivamente tutti i luoghi indicati presentino un grado di rischio adeguato a legittimare una limitazione comunque importante della libertà del lavoratore nell’adempimento della prestazione educativa o di cura.
La capacità di espressione e di consapevolezza di un bambino all’ultimo anno della scuola dell’infanzia non è, infatti, paragonabile a quello del bambino al primo anno di nido, così come il grado di vulnerabilità (e quindi il fattore di rischio) degli ospiti delle varie strutture socio-sanitarie o socio-assistenziali è estremamente disomogeneo.
Tale considerazione può essere utile anche per circoscrivere la discrezionalità della scelta sull’installazione, orientando la facoltà rimessa dalla legge alla singola struttura in base a parametri quali i fattori di rischio propri del contesto di riferimento, l’effettiva necessità della videosorveglianza in ragione delle caratteristiche dei soggetti ospitati, della durata della permanenza o delle specificità della struttura stessa.
In tal modo, si garantirebbe un rispetto maggiore dei principi di proporzionalità e necessità del trattamento, assicurando che il ricorso a uno strumento di monitoraggio così invasivo, avvenga solo laddove altre misure meno limitative della riservatezza risultino inefficaci, orientando così anche una discrezionalità dei titolari che rischierebbe, altrimenti, di degenerare in arbitrarietà.
3. L’adeguamento al nuovo quadro normativo
Ai fini dell’adeguamento della proposta di legge al mutato quadro normativo in materia di protezione dati, oltre alle considerazioni suesposte, relative al rispetto dei principi fondativi della materia, è altresì necessario apportare alcune modifiche all’articolato, redatto prima del momento iniziale di applicabilità della nuova disciplina.
In questo senso, in particolare, appare necessario sostituire il riferimento, contenuto all’articolo 4, comma 1, secondo periodo della proposta di legge, alla verifica preliminare da sottoporre al Garante ai sensi dell’articolo 17 del Codice in materia di protezione dei dati personali (riservato ai trattamenti che presentassero rischi specifici per i diritti, le libertà fondamentali, nonché la dignità degli interessati), in ragione dell’abrogazione di tale disposizione e del relativo istituto.
Nel nuovo quadro giuridico, trattamenti quali quelli in esame rientrano nella categoria di cui all’articolo 35 del Regolamento (che prescrive in tali casi la valutazione di impatto), in quanto per natura, oggetto, contesto e finalità, possono ritenersi presentare, appunto, un rischio elevato.
E questo – come riconosciuto dallo stesso legislatore nazionale con il riferimento all’articolo 17 del Codice – in ragione dell’estensione potenziale di tali trattamenti, dei soggetti coinvolti (non solo i lavoratori, ma anche gli stessi minori e soggetti assistiti in strutture di cura, dei quali dunque si evinca facilmente la condizione di malattia), nonché della continuatività delle videoriprese.
In sede di adeguamento dell’ordinamento interno al Regolamento, il legislatore nazionale ha previsto che i trattamenti svolti per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico (quali sarebbero quelli in esame), suscettibili di presentare rischi elevati ai sensi dell’articolo 35 del Regolamento, debbano osservare le prescrizioni rese, “a garanzia dell’interessato”, dal Garante, con provvedimento di carattere generale (da adottarsi ai sensi dell’articolo 36, paragrafo 5 (art. 2-quinquiesdecies del Codice, come novellato dal d.lgs. 101).
Si dovrebbe quindi richiamare tale norma, eventualmente ipotizzando (nella proposta di legge stessa) che il Garante possa, relativamente ai trattamenti in esame e in ragione della loro complessità, adottare uno specifico provvedimento generale ai sensi dell’articolo 2-quinquiesdecies, anche fissandone il relativo termine.
In tal modo, questo provvedimento (del Garante) assorbirebbe anche quello previsto dal comma 8 dell’articolo 4 della proposta di legge, assolvendone sostanzialmente la funzione.
Tra i parametri normativi cui l’accesso, da parte degli organi inquirenti, alle registrazioni deve conformarsi, ai sensi dell’articolo 4, comma 3, della proposta, andrebbe invece aggiunto il riferimento al d.lgs. 51 del 2018, che nel recepire la direttiva 680 sul trattamento di dati personali per fini di polizia e giustizia penale, reca principi e garanzie da osservare anche, in via generale, in ambito investigativo.
Infine, il riferimento contenuto, al comma 10 dell’articolo 4, alle sanzioni applicabili in caso di violazioni della disciplina in esame, resta valido nonostante il mutamento contenutistico delle disposizioni.
In particolare, risultano certamente applicabili le fattispecie di cui agli articoli 166 e 167 del Codice, che richiamano espressamente, tra l’altro, l’art. 2-quinquiesdecies, tra le norme la cui violazione integra – al ricorrere degli ulteriori presupposti – gli illeciti ivi disciplinati.
Il citato comma 10 va però integrato con riferimento alla categoria generale degli illeciti amministrativi di cui all’articolo 83 del Regolamento nonché – con riferimento alle eventuali violazioni commesse dagli organi inquirenti in sede di accesso e trattamento dei dati registrati – alle fattispecie di cui ai capi V e VI, della sezione II del d.lgs. 51/2018.
Questi accorgimenti – unitamente alla riflessione sull’ambito di applicazione della disciplina proposta – contribuirebbero certamente a migliorare la proposta di legge.
È però è auspicabile che siano valorizzate anche le misure volte a investire, in chiave preventiva, sulla formazione degli operatori, introducendo anche sistemi di controlli più articolati che coinvolgano attivamente il personale tutto e, se del caso, le famiglie stesse senza comprometterne il rapporto fiduciario.
Nei contesti di relazione quali quelli esaminati- nei quali ciò che conta è la qualità del rapporto instaurato tra le parti – nessuna telecamera potrà mai sopperire a carenze insite nella scelta e nella formazione del personale deputato all’educazione e all’assistenza dei soggetti meritevoli della maggiore attenzione.