Alla vigilia del congresso del ’94 che elesse Buttiglione segretario dei popolari, in un articolo sul “Popolo” le riserve su questa scelta e la messa in guardia contro una stagione di trasformismo nel partito.
Il Popolo, luglio 1994
L’incredibile monotonia del dibattito precongressuale contrasta sempre più fastidiosamente con la complessità e per certi aspetti con la drammaticità del nostro tempo politico.
Mentre si manifestano con forza i limiti e le contraddizioni di una democrazia dell’audience, intanto che nubi dense compaiono nell’orizzonte di risanamento del debito pubblico per effetto di una disinvolta traduzione in Decreto Legge del programma onirico di Berlusconi, mentre viene dato uno scossone ad alcuni pilastri dello stato sociale, mentre si avvertono i segni di un insistente approccio intimidatorio nel rapporto della maggioranza di Governo con la Magistratura, mentre si colgono i segni di una ripresa di iniziativa della criminalità organizzata, mentre appare in tutta la sua evidenza la riproposizione impudica di un nuovo nesso tra politica e affari (quasi in una sorta di “rimozione” di massa della coscienza di tangentopoli), intanto che questo accade in Italia sembra che niente interessi il Professor Buttiglione ed i suoi solleciti censori, se non il problema amletico delle nostre alleanze parlamentari.
Si discute come se noi ci trovassimo alla vigilia delle elezioni e avessimo il dilemma di una scelta risolutiva.
E’ come se ci dilettassimo in un gioco di mondo virtuale.
Forse per questa irresistibile passione è stato introdotto l’uso di un nuovo dizionario dei sinonimi e dei contrari.
Moderato non è più il contrario di radicale: diventa il contrario di sinistra (che io avrei pensato contrario di destra). Invece la Destra viene proposta come contrario di progressista che, in molti, continuiamo a pensare come contrario di conservatore e non sinonimo di sinistra.
Può darsi – ma il sospetto non viene espresso con malizia – che il ricorso a questo pasticcio lessicale voglia mascherare una inconfessata intenzione: quella di cancellare l’identità del PPI, disperdendola nella palude di un nuovo regime trasformistico.
Uscendo dal mondo virtuale mi sembra incontestabile che il PPI si trovi, per giudizio di ragionata coerenza con il patto elettorale, all’opposizione.
E l’opposizione ha l’orizzonte di una legislatura.
E la legislatura non volge al termine, bensì muove i primi passi.
A che serve, in questa cornice, ipotizzare nuove o vecchie aggregazioni, scomposizioni e ricomposizioni dei gruppi parlamentari?
Qualcuno può sinceramente pensare che un patto di ferro con Casini, Michelini, etc. da un lato oppure con Adornato, Spini etc. dall’altro, possa tradursi in una variazione sensibile del peso specifico della consistenza reale del Partito Popolare?
Il problema del PPI consiste unicamente nella ricerca con determinazione ma anche con molta serenità, di una nuova solida alleanza con la società italiana, con i cittadini che oggi hanno operato una scelta differente.
Bisogna scegliere i referenti sociali con cui intrecciare una relazione di reciprocità.
E il PPI nato il 18 gennaio di quest’anno, sulla base di un documento di identità che richiama la tradizione dei cattolici democratici e la dottrina sociale della Chiesa, non può essere indifferente rispetto ai problemi connessi con i temi che in Italia vanno segnando la transizione verso il 2000.
Premono e richiedono una rappresentanza le domande di nuove libertà (di informazione, di educazione, di cittadinanza delle minoranze culturali, etniche ect), i nuovi bisogni (di occupazione, di qualità della vita, di moralità ed efficienza della pubblica amministrazione, di uguali chances per i giovani e per gli anziani del Mezzogiorno) le nuove sfide di una società multinazionale, delle tentazioni della biogenetica, della sicurezza personale.
Su questi temi occorre misurare la consistenza politica del Partito Popolare.
Su questi temi, sulla esplicita indisponibilità ad operazioni di svendita, sulla fedeltà ad una tradizione di tolleranza e di pluralismo interno ritengo dovrà esprimersi chiunque intenda candidarsi alla Segreteria del Partito.
Su questa base e nel rispetto della precondizione di una visibile discontinuità rispetto alla vecchia dirigenza della Democrazia Cristiana, sarà possibile celebrare un Congresso che non deluda le sollecitazioni di questa straordinaria stagione.