Intervento di Antonello Soro, Presidente del Garante per la protezione dei dati personali
(Il Sole 24 ore, 3 novembre 2012)
È in corso un dibattito nel mondo accademico e in quello politico intorno alla possibilità di divulgare, da parte dell’Anvur (l’Agenzia nazionale per la valutazione del sistema universitario e della ricerca), le valutazioni sull’attività di professori e ricercatori effettuate nell’ambito della Vqr (valutazione della qualità di ricerca).
Quello del controllo diffuso sulla spesa pubblica e della trasparenza dell’azione amministrativa è un tema di grande rilevanza e interroga quanti hanno responsabilità pubbliche. Per converso nessuno, che abbia cultura dei diritti, dovrebbe sottovalutare la difficoltà del bilanciamento tra questi interessi e la tutela della riservatezza. Nell’esercizio di questo compito non si può derogare al rispetto anche formale delle leggi: la storia insegna che il ricorso a questo genere di deroghe viene di norma rivendicato dai detentori del potere per ridurre gli spazi di libertà. È con questa consapevolezza, unita alla necessità di dover pervenire a un corretto rapporto tra verifica sul funzionamento delle Pa e diritti degli interessati, che l’Autorità garante per la privacy si è sempre mossa.
Nel caso specifico, l’Autorità ha espresso il suo avviso mettendo in luce alcuni aspetti fondamentali per affrontare in maniera non approssimativa la questione. Ha osservato in via preliminare che la legittimità della divulgazione in rete, da parte di un soggetto pubblico, di dati personali – quali sono appunto le valutazioni dell’attività di ricerca dei ricercatori – è subordinata dal Codice in materia di protezione dei dati personali a una previsione legislativa o regolamentare e alla funzionalità di tale forma di pubblicità rispetto alle finalità perseguite dall’amministrazione stessa (articolo 19, comma 3).
Ora, in relazione alle valutazioni espresse da un soggetto pubblico (quale è appunto l’Anvur) sui prodotti della ricerca dei singoli docenti, è proprio tale previsione legislativa o regolamentare espressa a mancare. Né può estendersi analogicamente a questo caso – come ritiene ad esempio il professor Ichino – il principio dell’accessibilità totale dei dati relativi ai servizi resi dalla Pa sancito dall’articolo 4 della legge 15/2009, che non si applica al personale in regime di diritto pubblico, di cui fanno parte anche i professori universitari. L’estensione del principio di accessibilità totale a tale categoria violerebbe la ratio della norma.
Inoltre, l’attività dell’Anvur concerne la qualità delle strutture universitarie e di ricerca destinatarie di finanziamenti pubblici, ai fini di una migliore allocazione dei finanziamenti stessi. Essendo l’attività dell’Anvur volta a valutare le strutture, non i singoli ricercatori, un’eventuale divulgazione dei dati personali di questi ultimi sarebbe evidentemente priva di quel nesso di funzionalità tra trattamento dei dati e finalità dell’ente. E probabilmente, non sarebbe neppure lo strumento più appropriato per fornire un’approfondita rappresentazione della produzione scientifica (e del merito) dei ricercatori, limitandosi a sole tre pubblicazioni. Diversa funzionalità potrebbe avere, invece, l’Anagrafe nazionale nominativa dei professori associati e dei ricercatori, di cui si attende la piena attuazione e, auspicabilmente, il completamento con ulteriori strumenti che ne sviluppino le potenzialità.