Intervento di Antonello Soro, Presidente del Garante per la protezione dei dati personali
(pubblicato sul “Corriere della Sera” del 28 settembre 2012)
Al di là del confronto parlamentare in corso da tempo in tema di intercettazioni, appare ineludibile una più generale riflessione sul delicatissimo rapporto tra dignità della persona e libertà di informazione e sull’equilibrio che deve necessariamente regolare questo rapporto.
Lo sviluppo della Rete ha cambiato profondamente le caratteristiche e le modalità con le quali si svolge l’attività giornalistica. Parallelamente è progressivamente maturato un mutamento profondo nella sensibilità e nelle aspettative di larghi strati dell’opinione pubblica rispetto ai contenuti e alla portata delle notizie, che spesso ha come esito pesanti ingerenze nella vita privata delle persone. Sono frequenti i casi in cui l’informazione viene ridotta a puro e semplice gossip o, peggio, a strumento di offesa.
Penso, in primo luogo, alla cronaca giudiziaria che non di rado mostra esempi che rischiano di pregiudicare la dignità degli interessati e la stessa professionalità dei giornalisti. Mai come in questo ambito il ruolo del giornalista assume una rilevanza ed una delicatezza particolari.
A partire proprio dalla questione delle intercettazioni, che rappresentano una risorsa insostituibile nella lotta dello Stato contro la criminalità e il malaffare, ma, insieme, un indiscutibile strumento di intrusione nella vita privata di molte persone, una compressione insopportabile di un loro diritto fondamentale.
Se, da una parte, la pubblicazione di conversazioni intercettate nell’ambito di procedimenti penali costituisce talora la sola possibilità per la generalità dei cittadini di esercitare un controllo sociale sull’operato dei poteri pubblici e privati, dall’altra la diffusione di tali conversazioni pone in capo al giornalista una responsabilità particolare. Nel doveroso di esercizio dei diritti garantiti dall’articolo 21 della Costituzione, il giornalista dovrebbe sempre tener conto della necessità di fare un’attenta selezione delle notizie effettivamente essenziali ai fini dell’informazione dell’opinione pubblica, nella consapevolezza della differenza che intercorre tra rilevanza giudiziaria e rilevanza giornalistica. Non si può negare, del resto, che siano cresciute negli ultimi anni forme distorsive nel modo di informare in cui la mera ed integrale riproduzione giornalistica delle intercettazioni determina spesso una ferita inguaribile alla dignità personale di uomini e donne coinvolti, in alcuni casi assolutamente incolpevoli.
Così come non sono indifferenti, per rimanere nell’ambito giudiziario, le modalità con le quali sono riportate le notizie sugli indagati. Il principio di presunzione d’innocenza dovrebbe sempre suggerire una particolare esattezza nella cronaca, avendo in mente come le ipotesi accusatorie non comportino necessariamente attribuzioni di responsabilità.
È rispetto a queste problematiche che l’etica professionale del giornalista è chiamata oggi a garantire un supplemento di attenzione.
Il Codice privacy ha demandato a una fonte di auto-regolamentazione la disciplina di aspetti centrali del rapporto tra informazione e dignità della persona e la ricerca di un bilanciamento tra riservatezza e diritto di (e all’) informazione. Il codice di deontologia dei giornalisti, adottato dal Consiglio dell’Ordine nel 1998, ha rappresentato, e tuttora rappresenta, in questo senso un importante punto di svolta.
Sarebbe dunque auspicabile avviare una comune riflessione sull’opportunità di aggiornare alcune parti del codice deontologico, per adeguarle alle mutate realtà e sensibilità, con l’obiettivo di promuovere un giornalismo sempre più libero, maturo e responsabile.