10/09/1985
Proposta di legge: “Norme per il recupero e la sanatoria di opere abusive. Disciplina del controllo dell’attività urbanistico-edilizia”.
PRESIDENTE. Ha domandato di parlare l’onorevole Soro. Ne ha facoltà.
SORO (D.C.). Signor Presidente, onorevoli Assessori, noi ci rendiamo conto che la discussione di questa legge, per i tempi brevi nei quali si è sviluppato il confronto fra le forze politiche, porta necessariamente ad allungare i tempi del confronto in Aula. Riteniamo infatti che la portata di questo provvedimento vada al di là dell’oggetto del provvedimento stesso in quanto interessa la società sarda nelle sue articolazioni più di quanto un provvedimento urbanistico normalmente non faccia.
Noi abbiamo piena consapevolezza che il condono comporta, come istituto, dei limiti sui quali si è già ampiamente dibattuto a livello politico nazionale e che sono emersi ieri anche nella discussione svoltasi in questo Consiglio. Concordiamo con l’Assessore che il problema del condono comporta il rischio che si possono anche innescare delle nuove spinte nei confronti dell’abuso edilizio se noi poniamo mano a questo problema con superficialità, se non abbiamo piena coscienza e consapevolezza dei rischi che si corrono e del fatto che questi rischi, in Sardegna, sono più forti di quanto non siano in altre regio ni italiane. D’altra parte l’abuso edilizio ha con sentito ed ha fatto crescere il degrado di alcune parti del nostro territorio; e quel territorio (lo ricordavano diversi consiglieri ieri) rappresenta la risorsa principale – diceva strategica l’assessore Cogodi e noi concordiamo di questa nostra isola. Difficilmente un provvedimento di condono può essere finalizzato all’esaltazione di queste risorse, tutt’al più può essere strumento di freno attraverso il quale si inverte una tendenza e noi vorremmo che questa fosse la risultante del dibattito su questa legge.
L’abusivismo in Sardegna è complesso, I forse più complesso nella sua genesi che non in altre parti d’Italia; infatti, non si tratta solo di contrapporre l’abusivismo di necessità a quello speculativo che sicuramente esiste anche in Sardegna (credo che nessuno abbia espresso su questo dato un parere diverso), ma noi abbiamo semmai la sensazione che questo provvedimento non sia sufficientemente capace di incidere sull’abusivismo da speculazione e, invece, rischi di essere più severo nei confronti di un abusivismo di necessità che è un fenomeno molto pii complesso di quanto forse non sia emerso in una prima fase della discussione. Certamente, per un’analisi dei modi attraverso i quali si è sviluppato il fenomeno dell’abuso edilizio in Sardegna, sarebbe stato opportuno un confronto con la gente, le forze sociali, gli amministratori locali sindaci in testa (presumo che questi vadano tutti i giorni dall’assessore Cogodi), gli operatori del settore dell’edilizia, i professionisti, i giudici che avrebbero potuto esprimere in sede di confronto politico più vasto analisi, valutazioni e suggerimenti che mi pare siano stati invece non sufficienti. Questo non vuoi dire che il disegno di legge sia nato in modo astratto, ribadiamo però che una consultazione più larga avrebbe favorito una serie maggiore di elementi conoscitivi.
L’abuso edilizio in Sardegna secondo le aree ha una genesi diversa (lo diceva ieri il collega Montresori: alcuni di noi hanno presenti le esperienze sassaresi, altri quelle di altre realtà sarde ma manca forse una visione complessiva di quello che è stato in Sardegna negli ultimi venti anni lo sviluppo del fenomeno abusivo); in molte zone sicuramente è nato per sopperire alla mancanza di alternative reali per i cittadini che volevano edificare la loro prima casa. Mancanze di alternative determinata sia dai tempi lunghi necessari (ne parlava ieri l’assessore Cogodi) all’iter degli strumenti urbanistici – quelli generali e quelli attuativi – sia dal lievitare dei costi delle aree non essendo queste, evidentemente, conformi alla domanda esistente. Ma ci sono anche altri e diversi fattori come, per esempio, il rifiuto delle tipologie tradizionali della edilizia economica e popolare. Quanto hanno pesato sul fenomeno dell’abuso edilizio in alcune realtà interne della Sardegna il rifiuto di queste tipologie tradizionali e le barriere architettoniche esistenti nelle zone di immigrazione delle periferie urbane? E io credo che ancora oggi non sia stata individuata con chiarezza, e conseguentemente non è facile trovare gli strumenti legislativi ad hoc, la connessione tra le responsabilità di un lottizzatore abusivo, non più perseguibile, e quelle del costruttore di necessità che invece viene perseguito.
Un’altra considerazione da fare è che l’abuso edilizio ha finora trovato di fronte a sé, al momento della sua repressione, un’unica figura: quella del sindaco in completa solitudine; e questo stato permane anche nell’attuale disegno di legge, nonostante gli sforzi che l’Assessore dice di aver profuso. Non esiste la responsabilità degli ordini professionali, eppure in che misura in passato hanno contribuito a favorire questo fenomeno, in tutte le realtà isolane, i progettisti, i direttori dei lavori, i fornitori del calcestruzzo, l’ENEL che è tanto sollecita magari a staccare la corrente nei locali della prefettura se non ha pagato puntualmente la bolletta, ma che non si pone nessun problema a fornire l’energia elettrica all’operatore abusivo anche se le norme di legge, non le ultime ma quelle già preesistenti, attribuivano responsabilità anche ai fornitori di servizi? E la stessa Magistratura (ne parlava l’assessore Cogodi in riferimento polemico col consigliere Chessa) che o non interviene affatto, oppure interviene tardivamente quando gli si richiede il sequestro dei cantieri e successivamente assolve i lottizzatori abusivi denunciati dai Sindaci? Questi fatti si sono verificati, in Sardegna.
L’analisi delle responsabilità sul fenomeno dell’abuso edilizio è quindi, evidentemente, più complessa di quanto non possa sembrare. Il Sindaco è rimasto in solitudine a fare fronte al momento della repressione, questa legge lo lascia ancora solo con un’enorme responsabilità, non tanto quella civile e penale quanto quella, speciale, di fronteggiare una conflittualità che spesso origina eventi di genere diverso. Ecco perché le condizioni attraverso le quali si può porre mano alla risoluzione e alla prevenzione, oltre che alla repressione, del fenomeno dell’abuso edilizio, sono evidentemente – concordiamo su questo con il collega Canalis – condizioni di carattere generale. Il problema del regime dei suoli e il problema della casa non possono viaggiare separatamente; la norma urbanistica, nazionale e regionale, con il suo vincolismo, con le sue sovrapposizioni e spesso contraddizioni, i decreti assessoriali attraverso i quali si è fatta e si continua a fare urbanistica – come vedremo – non interpretano correttamente la Sardegna nella sua realtà; l’oggetto della nonna è un’entità astratta, lontana, spesso, dalla fattispecie concreta.
E’ necessario promuovere, perciò, una manovra congiunta di politica urbanistica e di legge sulla casa che organicamente si proponga di affrontare il problema relativo al bisogno principale, quello della casa, assieme all’altro della tutela della risorsa più importante della nostra isola: il territorio. Ma se era questo l’obiettivo del disegno di legge in esame, noi crediamo che questo obiettivo sia stato mancato.
Sul condono come tale si sono espressi – poi vedremo sugli articoli di esprimerci con ancora maggiore chiarezza – gli amici del mio partito intervenuti ieri. Questo provvedimento sul condono che concordiamo non doveva essere necessariamente una leggina di derivazione nazionale ma non poteva neanche essere uno strumento per far passare in modo rapido e senza una discussione approfondita una mini riforma urbanistica, alla fine finisce col non essere niente: non è la legge urbanistica, non è neanche la legge sul condono, è un qualcosa attraverso il quale si fanno passare norme che si sovrappongono ad altre esistenti e vengono subordinate a decreti assessoriali da emanare. Bé, io credo che questa non sia una procedura corretta; l’intero capo secondo di questa legge, concernente le procedure attuative degli strumenti urbanistici, subordina la norma stessa all’emissione di un decreto. Assessore, io credo che il problema della riforma e dello snellimento delle procedure correttamente si deve risolvere mediante legge, ma non è possibile poi subordinare questa ad un decreto.
COGODI (P.C.l.), Assessore degli enti locali, finanze ed urbanistica. Lei sa che non era questa la proposta della Giunta, la novità è stata introdotta in Commissione su richiesta del suo gruppo.
SORO (D.C.). Ma il mio gruppo ha richiesto una legge organica, Assessore.
COGODI (P.C.l,), Assessore degli enti locali, finanze ed urbanistica. L’Assessore non ha chiesto nessun decreto. La Giunta ha proposto una legge, non un decreto.
PRESIDENTE. Prego l’onorevole Soro di continuare il suo intervento ed i colleghi di prendere posto e di mantenere il silenzio. Onorevole Cogodi, la prego di lasciar continuare l’onorevole Soro.
SORO (D.C.). Onorevole Cogodi, il disegno di legge che lei presenta prevede delle norme attuative subordinate ad un decreto assessoriale, Chiunque l’abbia proposto, siano i socialisti, siano i comunisti, non importa.
MONTRESORI (DC.). Non era una proposta nostra. Era una proposta socialista e, tenuto conto che l’Assessore interloquiva con la maggioranza, l’abbiamo fatta nostra.
PRESIDENTE. Onorevole Montresori, se interloquiamo tutti non si riesce più a continuare ordinatamente i lavori. Ha la parola l’onorevole Soro, prego quindi i colleghi di lasciarlo continuare. L’avvertimento vale naturalmente anche per gli assessori.
SORO (DC.). Non conta molto l’esegesi dei modi attraverso i quali si è arrivati a questo articolato; quello che conta (sulla qualcosa io credo non si possa non convenire) è l’esigenza di uno strumento legislativo che faccia urbanistica ma non per decreto. Questo concetto, che l’assessore Cogodi ieri annunziava e che noi condividiamo, è in sé negato però nel momento in cui si affrontano una parte dei problemi attinenti alla riforma e alla legislazione urbanistica e non se ne affrontano altri, facendo finta che non esistano. Ma io, più semplicemente, credo che in questo contesto non sia stato possibile affrontare per intero il corpo della norma urbanistica; manca infatti il riferimento ad una norma urbanistica vigente in Sardegna, anche se in modo equivoco, che è quella relativa ai piani pluriennali di attuazione che non sono indifferenti all’attuazione degli strumenti urbanistici. Non se ne fa riferimento, ma l’Assessore sa che in Sardegna solo due o tre comuni hanno adottato i piani pluriennali di attuazione ma in modo tale per cui questo strumento, anziché essere uno strumento di pianificazione attuati- va, è diventato un capestro attraverso il quale si imbrigliano le potenzialità di sviluppo di una città.
Queste cose esistono, la legge numero 30 è vigente ma, chiaramente, io credo che in fase di nuova normativa debba essere data al piano pluriennale di attuazione, se lo si vuole conservare come strumento, una formulazione e una specificazione diversa. Ecco quindi l’esigenza di coniugare i problemi perché non serve snellire una parte dei procedimenti ignorando i vincolismi che esistono dall’altra.
Io credo che anche la maggioranza condivida questo giudizio; quindi, il problema che si pone non è quello di rifiutare o di accogliere alcuni spunti ma di darsi un organico corpo di leggi in materia urbanistica regionale, come da anni vanno dicendo tutte le forze politiche, a turno, della maggioranza e dell’opposizione. Ebbene, io credo che i tempi siano maturi, non si può prendere la scorciatoia di una legge sul condono per avviare una parte che do. mani sarà probabilmente elemento di ulteriore conflittualità, di contrapposizione, di dubbia interpretazione; ed esistono parti di questa normativa, le vedremo nell’articolato, che saranno sicuramente fonte di contenzioso e di conflittualità sociale.
Ugualmente ritengo – e mi fermo qui – che si introducono attraverso questa legge alcuni strumenti che noi abbiamo sollecitato anche in Commissione; strumenti che, per quanto riguarda le zone C, correggono i piani attuativi mediante un intervento programmato, percentualizzato, di edilizia economica e popolare. Ma la nostra richiesta (la rifacciamo in aula così come l’abbiamo già fatta in commissione) è di utilizzare, in sede di piani di risanamento delle zone compromesse, lo strumento del piano di zona non come mero intervento riferito alle aree inedificate come momento di compartecipazione di tutti i proprietari di aree esistenti nel comparto. Per ché questo? Perché in alcune realtà, forse, esiste anche il lottizzatore che ha venduto 50 lotti di terreno, da edificare abusivamente, e che è rimasto proprietario di un’altra quota; in questo caso sarebbe strumento di equità vincolare ad edilizia economica e popolare questa parte residua ma l’assessore ed i consiglieri sanno che normalmente, in Sardegna, i lottizzatori abusivi vendono tutto quello che è compreso nelle aree di intervento e fra chi acquista alcuni edificano ed altri no, per cui attraverso questo strumento noi rischiamo di penalizzare esclusivamente quelli che pur avendo acquistato da una lottizzazione abusiva, non hanno poi edificato.
Io credo invece che lo strumento della convenzione estesa all’intero comparto, con destinazione di una quota di volumetrie alla edilizia economica e popolare, possa essere uno strumento che trova prima attuazione nella fase dei piani di risanamento. In questo modo e in questa fase dei piani di risanamento è possibile avere e la partecipazione corale di tutti gli utenti possibili ed anche uno strumento di giusta perequazione tra i cittadini che hanno rispettato la legge e tra quelli che non l’hanno rispettata.
Questo principio dell’edilizia economica e popolare (da sancire in una norma che disciplini organicamente la materia), visto non più come strumento di sperequazione all’interno del corpo sociale delle nostre comunità ma come momento di compartecipazione di tutti gli utenti, crediamo sia una delle strade attraverso le quali sarà possibile in Sardegna da un lato rimuovere quegli elementi di conflittualità sociale che, soprattutto nelle zone interne, sono l’elemento principe di conflitto tra i cittadini e dall’altro che si possa anche alleggerire l’onere finanziario che ricade su un comune totalmente inadeguato a far fronte alla procedura di esproprio delle aree per i piani di zona di edilizia economica e popolare prevista dalla normativa vigente.
Noi crediamo che alcuni di questi suggerimenti possano essere espressi in questa discussione ma che l’obiettivo finale debba essere quello sostenuto dall’onorevole Fadda. L’obiettivo cioè di attivare, oggi, uno strumento di legge che disciplini in sede regionale il condono dell’abuso edilizio ma in tempi brevi di andare, con un impegno che noi proporremo al Consiglio regionale anche con scadenze precise, all’approvazione in aula di una organica legge urbanistica regionale alla cui formulazione concorrano non solo tutte le forze politiche ma anche le forze sociali, gli ordini professionali, le componenti attive ed interessate della nostra società affinché la Sardegna addivenga finalmente ad una sua legislazione urbanistica.
PRESIDENTE. E’ iscritto a parlare l’onorevole Soro. Ne ha facoltà.
SORO (D.C.). Signor Presidente, io credo che il dibattito di questa sera abbia dei punti in comune con altri dibattiti che, frequentemente, il Consiglio ha avuto modo di sviluppare nel corso di quest’ultimo anno, punti che sembrano essere la bussola di questa Giunta e di questa maggioranza: portare in Commissione e in Aula pochi, per la verità, provvedimenti di legge, in termini di assoluta frettolosità stante l’urgenza che gli Assessori di turno fanno presente; comprimere la discussione nell’ambito delle Commissioni, ed anche in Aula, restare in attesa del puntuale rinvio del Governo e poi, una volta pervenuto, attenersi acriticamente alle valutazioni dei funzionari governativi e rinunciare – vale la pena di richiamare il noto episodio della legge finanziaria – allo sviluppo delle potenzialità di impostazione autonomistica che vengono proclamati ritualmente tutte le volte che si discute in quest’Aula.
Questo si è verificato per la legge finanziaria e, direi, per tutti i provvedimenti rinviati dal Governo (che non sono pochi) e si verifica anche, nella sostanza, per quanto riguarda la legge in discussione. Noi pensiamo pertanto che la Giunta preferisca sviluppare il dibattito in sedi diverse dal Consiglio regionale, e riconfermiamo il giudizio negativo che, non più di due mesi fa, abbiamo espresso in quest’Aula, perché si tratta di una legge elaborata frettolosamente, espressione di una mediazione incompiuta tra le rigidità ideologiche dell’ispiratore e le faticose compromissioni della maggioranza.
Non staremo qui a riprendere tutti gli argomenti portati in sede di discussione generale sull’articolato di questa legge, nel mese di giugno. Vorremmo però esprimere alcune valutazioni e pone all’attenzione dell’Assessore – peraltro sempre attento ai suggerimenti che vengono dal Consiglio – in ordine all’operazione di cosmesi proposta con questa legge che si incentra su un assunto particolare: i sardi abusivi devono pagare di più degli abusivi di ogni altra parte d’Italia. Al di là delle considerazioni del collega che mi ha preceduto, sulle quali torneremo, noi crediamo che questo sia l’assunto principale della Giunta e della maggioranza, per cui, uscita dalla porta, in quanto non accolta dal Governo, la proposta dell’introduzione dell’onere di riequilibrio territoriale (e a questo proposito noi vogliamo richiamare le valutazioni espresse dal gruppo della Democrazia Cristiana, nel mese di giugno, su questa proposta di onere aggiuntivo, non per assumerci dei meriti da facili profeti ma proprio per evidenziare la validità delle valutazioni stesse), l’Assessore cerca di farla rientrare dalla finestra, attraverso una decisione di rivalutazione degli oneri di urbanizzazione, derivata dall’indice ISTAT. Quale giustificazione portata dalla Giunta e dalla maggioranza? Che non è giusto che gli oneri siano pagati con grave ritardo da parte degli abusivi» senza i dovuti interessi, e che questi oneri maggiorati devono essere finalizzati per procedere, attraverso l’acquisizione di questi oneri da parte dei Comuni, all’avvio di opere di urbanizzazione nelle periferie urbane e di risanamento dei quartieri compromessi.
Noi su questo punto vogliamo un momentino richiamare l’attenzione dei colleghi, prima di tutto sul concetto di condono e sulla sua filosofia, al di là degli oneri che vengono pagati, delle oblazioni, per dire che, a seconda delle in interpretazioni che noi vogliamo darne – derivanti proprio dalla complessità del problema emersa anche nel dibattito che non solo il Consiglio regionale sardo ha sviluppato ma lo stesso Pan lamento nazionale – può essere fonte di equità o di iniquità, e probabilmente è tutte e due le cose insieme. Perché se è ingiusto che questa condono collochi sullo stesso piano di legittimità il cittadino che ha rispettato le leggi vigenti e che ha atteso, con quello che invece ha voluto essere abusivo, se è ingiusto che gli speculatori venuti dal mare, anche in Sardegna, siano messi in condizione di legittimità al pari dei sardi rispettosi della legge, se è ingiusto che siano posti nella stessa condizione i confinanti di un’area dove uno ha costruito ed edificato abusivamente e l’altro no perché ha atteso e magari deve oggi destinare la propria area alla comunità per do tana di servizi o per destinarla, come anche questa legge prevede, all’edilizia economica popolare, se è ingiusto che un abusivo che ha costruito a 140 metri dal mare venga trattato in modo diverso da quello che ha costruito a 166 metri dal mare, ebbene, per converso, è anche vero che l’abusivismo presente in Sardegna – io su questo ho avuto modo di richiamare l’attenzione dell’Assessore in occasione del dibattito generale – non è un abusivismo qualunque. C’è, certamente, anche l’abusivismo di speculazione, ma anche se noi siamo persuasi che la speculazione edilizia in Sardegna si è verificata all’in temo delle leggi esistenti e non contro di esso – e questo è grave, onorevole Assessore – noi non crediamo con questo di giustificare questi abusi, anzi li condanniamo, tuttavia abbiamo realisticamente preso atto che nelle nostre coste gli abusi non li hanno creati le multinazionali o le grosse imprese di costruzione, esiste anche quell’abuso dovuto agli speculatori.
Noi non intendiamo entrare nel merito della giusta penalizzazione degli abusivi, che oggettivamente incentivano la speculazione, ma ci riferiamo a quell’abusivismo più diffuso, quello che rappresenta la quasi totalità dell’abuso edilizio nei nostri Comuni, che noi tutti consiglieri regionali, che abbiamo vissuto esperienze di amministrazione locale, conosciamo, e che non è nato ad opera delle grandi multinazionali o dei grandi speculatori. Noi sappiamo che quest’abusivismo di necessità è esso stesso la testimonianza di un’iniqua politica del territorio, che ha costretto le minoranze più deboli, più povere, quelle che non potevano reperire aree sul mercato, che hanno atteso per decenni di essere incluse nelle graduatorie degli Istituti autonomi per le case popolari, che rifiutavano i modelli verticali di un’urbanistica di gran moda nel decennio scorso, che hanno atteso per anni una risposta dai Comuni — lenti e burocraticamente impreparati a costruire abusivamente. Queste persone, che hanno combattuto per anni una loro battaglia contro vigili urbani, sindaci, pretori (che spesso hanno adottato nei loro confronti il metodo della repressione) non avevano altra alternativa all’abuso se non la rassegnata accettazione di uno stato di inferiorità sociale. E queste persone, che hanno costruito la loro casa il sabato e la domenica, spesso attraverso il metodo dell’autocostruzione, col contributo solidaristico dei vicini di casa (noi ne conosciamo tante nelle nostre realtà locali), che sono state condannate dai pretori, non hanno forse pagato, onorevole Cogodi, dei prezzi morali, forse non facilmente quantificabili ma certamente non inferiori a quegli interessi che noi vorremmo oggi introdurre attraverso una penalizzazione maggiore rispetto a qualunque abusivo d’Italia?
Noi non crediamo che sia giusto, che sia dovuto, che rientri nello spirito della legge il concetto della rivalutazione degli oneri discendenti dalla legge di applicazione della Bucalossi. Non crediamo sia giusto che i cittadini a6usivi di Barraca Manna, a Cagliari, delle peri. ferie urbane di Sassari e Nuoro o i contadini del Gerrei e della Marmilla, che i! più delle volte hanno costruito abitazioni di poco superiori a quelle contemplate dalle norme sull’edilizia economica e popolare, debbano pagare di più di quanto pagano gli abusivi in Valle d’Aosta, a Roma, a Milano, dappertutto…
COGODI (P.C.I.), Assessore degli enti locali, finanze ed urbanistica. Lei lo sa quanto pagano a Roma gli abusivi?
SORO (D.C.). Arriveremo anche a questo, Io so che in Sardegna le tabelle sono state forse rivalutate meno che in altre regioni d’Italia, ma non è casuale questo, è una scelta politica che hanno fatto tutte le forze politiche nei Comuni, perché non è che la Regione sarda e i Comuni sardi, in questi anni, siano stati governati da una forza politica. C’è un giudizio politico convergente di tutte le forze che hanno ritenuto di non dover gravare i sardi di un onere di urbanizzazione maggiore di quello che già attualmente pagano, perché per dare impulso all’economia sarda, che basa le sue poche prospettive di sviluppo sulla ripresa del settore dell’edilizia, ma che sente il bisogno della casa come una grande necessità sociale, si è ritenuto, io credo consapevolmente, di non dover modificare le tabelle, come è avvenuto in Valle d’Aosta, in condizioni politiche, evidentemente, ma soprattutto sociali, differenti.
Ed allora noi crediamo che non sia giusto adottare il criterio della rivalutazione degli oneri di urbanizzazione, perché si tratta di un principio che non rientra nello spirito della legge; se così fosse, già nel mese di giugno la Giunta avrebbe predisposto questa misura nella legge sul condono. Non lo ha fatto, ma utilizza lo strumento della rivalutazione per far rientrare dalla finestra l’onere di riequilibrio territoriale. Per quale finalità, ci siamo chiesti, visto che la legge sul condono è nata, in campo nazionale come strumento per acquisire risorse finanziarie in un momento di crisi del nostro Paese, mentre in Sardegna è stata voluta dalle forze politiche per ragioni differenti e non certamente per finalizzarla all’acquisizione di denaro?
Noi ci chiediamo allora qual è l’obiettivo che sta a monte di una decisione che prevede di far pagare di più in Sardegna per dare denari ai Comuni — come dice l’Assessore — per costruire opere di urbanizzazione nelle periferie urbane e di risanamento nei quartieri compromessi. Ma quali sono le cifre? Abbiamo provato a quantificare i potenziali abusivi sardi per ottenere delle cifre indicative di quanti miliardi (a costo di grandi sacrifici per gli abusivi di necessità, che sono molti) andranno ai Comuni da questo onere aggiuntivo, in cambio delle previste opere di risanamento? Sa l’Assessore qual è, mediamente, nei bilanci dei Comuni della Sardegna, il rapporto che esiste tra le risorse derivate ordinariamente dagli oneri di urbanizzazione e quelle complessive disponibili attraverso i mutui della Cassa depositi e prestiti o cli altri istituti dì credito, o attraverso gli interventi regionali? Io ho provato a stabilire un rapporto fra l’entità delle risorse che ordinariamente vengono introitate dai Comuni e quelle di cui complessivamente dispongono per far fronte alle opere ed agli interventi di risanamento (o anche non necessariamente di risanamento), cioè tutta la disponibilità di risorse per investimenti. Bene, mediamente, nei Comuni nei quali io ho fatto questa verifica, il rapporto e di a 20, 1 a 30, spesso 1 a 40 e I a 50, eppure sappiamo che i nostri Comuni non hanno grandi cifre nelle disponibilità. Da questo ne discende che, anche se si raddoppiasse l’entità delle risorse derivanti dagli oneri di urbanizzazione, i Comuni non potrebbero far niente perché i denari reperibili non sarebbero sufficienti a risanare le zone compromesse delle nostre città.
Con l’imposizione di questi oneri contribuiremo soltanto a rendere più difficile l’attuazione della legge sul condono, che non si pone certo l’obiettivo di penalizzare, in misura non dovuta, i cittadini sardi.
Noi crediamo che si possa arrivare alla soppressione o comunque alla modifica, nei termini in cui l’ha proposta il collega Montresori, del secondo comma dell’articolo 43, perché questo è possibile, ed è quanto emerso dalle valutazioni e dalle considerazioni comuni di molti dei consiglieri con i quali ho avuto modo di parlare in questi giorni. Io credo che, così facendo, sarà possibile chiudere questa fase che non è stata fra le più esaltanti del dibattito sul condono, per impegnare il Consiglio regionale su un terreno più importante, che è quello della riforma urbanistica da inquadrare organicamente nella strategia per l’utilizzo delle risorse ambientali in Sardegna; questo sì che rappresenta un punto centrale della politica che questo Consiglio, nel suo insieme, vuole adottare. Su questo terreno, io credo, l’intelligenza e la sensibilità del nostro Assessore potranno confrontarsi con le intelligenze e le energie presenti in Consiglio, per creare una legge urbanistica che affronti, in modo adeguato, questi problemi ormai noti a noi tutti.
Io ho partecipato, questa estate, ad un convegno promosso dalla Lega dei Comuni, nel quale l’Assessore dell’urbanistica svolgeva il ruolo di relatore, dove ho avuto modo di sentire (come d’altronde l’Assessore) quali sono le preoccupazioni dei nostri Comuni e degli operatori del settore; ebbene, attualmente, 68 milioni di metri cubi di cemento sono pronti a colare sulle nostre coste, di cui, probabilmente, più di 50 sono destinati alle seconde case, cioè a distruggere, in maniera irreversibile, il patrimonio ambientale della nostra isola. Io credo che questi 68 milioni di metri cubi non aspettino che la Regione definisca le sue politiche nel settore dell’urbanistica, ma siano destinati ad aumentare e a degradare quindi sempre più il nostro territorio.
Ecco il terreno sul quale l’impegno di tutto il Consiglio regionale deve concentrarsi; chiudiamo pertanto questa fase non esaltante del dibattito su questa legge, con una seria disponibilità a raccogliere gli orientamenti più diffusi perché non sono espressione della sola opposizione democristiana.