Gli occhiali rosa di Mario Melis
L’Unione Sarda, 23/02/1988
Da qualche mese l’avvocato Mario Melis ha inforcato gli occhiali rosa. in tutte le occasioni pubbliche va descrivendo i contorni dell’economia sarda con uso generoso di positive aggettivazioni. Il Presidente della Regione lascia intendere che la crisi più acuta sia ormai superata, la tendenza recessiva invertita e una fase espansiva dietro l’angolo. Sarebbe riduttivo della considerazione che abbiamo del Presidente se ci limitassimo a contestare la puntualità e la pertinenza (oltre che la fonte opportunisticamente mutevole) degli indicatori economici e dei dati richiamati. Conta di più segnalare i rischi impliciti in queste valutazioni: e prima di tutto quello di disorientare non solo e non tanto gli interlocutori politici interni quanto quelli esterni all’autonomia regionale.
Voglio fare una premessa. La mistificazione della situazione economica a fini di propaganda da parte del governante di turno non è purtroppo invenzione recente. Le cronache ne sono piene oggi, come ieri. E tuttavia non vorremmo rassegnarci, anche su questo terreno, alla constatazione consolatoria del deja vu. Perché, onestamente, non esistono motivi per essere ottimisti.
Basterà rilevare che nessuna delle ragioni strutturali di crisi è stata in questi ultimi anni rimossa, nessuna azione organica è stata avviata sul “contesto” ambientale col fine di ridurre le condizioni di svantaggio per l’esercizio di attività competitive, svantaggio che la Sardegna presenta in misura speciale rispetto alle altre regioni meridionali.
Basterà rilevare che il divario fra l’economia dell’isola e il resto del Paese, nell’ultimo triennio, è andato allargandosi. Gli investimenti lordi fanno registrare un saggio annuo di variazione negativa crescente non solo per valori assoluti ma anche in relazione alle altre regioni meridionali, li rapporto impieghi- depositi (indicatore sostanziale e in Sardegna certamente strutturale) segna nell’ Isola una fase di grave arretramento (37% contro il 48 del Mezzogiorno e il 59,5 del Centro Nord).
L’indice di industrializzazione risulta essere fra i più bassi dell’intero Mezzogiorno e, secondo Pasquale Saraceno, individua la Sardegna, insieme alla Calabria, come il fanalino di coda del Paese. Il prodotto interno lordo pro-capite in Sardegna rispetto al Centro Nord è risultato nel 1986 essere, in rapporto, inferiore al corrispettivo del 1951! E il relativo saggio annuo di variazione colloca la nostra Regione all’ultimo posto fra quelle meridionali. Questa tendenza sì traduce in una disoccupazione inarrestabile.
Sia che valgano i dati forniti dall’Ufficio regionale del Lavoro, sia che valgano i dati Istat, appare certo che la Sardegna detiene in questo campo il poco invidiabile primato in Italia e in Europa. La disoccupazione è cresciuta sia in riferimento a quella esplicita sia con riferimento a quella implicitamente derivante dalla pletoricità dell’occupazione in attività assistite.
Il ricorso alla cassa integrazione è aumentato in Sardegna negli ultimi tre anni, in netta controtendenza rispetto alla dinamica nazionale.
Nei prossimi anni, sulla base della attuale struttura per età della popolazione sarda e nella ipotesi di tassi di attività progressivamente allineati a quelli del Centro Nord, sono possibili due prospettive: o una ripresa dell’emigrazione oppure una disoccupazione stabilmente attestata sull’ordine del 25-30%.
Una simile prospettiva appare sconvolgente e, nel medio periodo, insopportabile dal nostro sistema. Altro che occhiali rosa! Alla vigilia del confronto parlamentare sulla nuova legge di Rinascita, nel momento in cui più forte è il bisogno di solidarietà da parte dello Stato, sarà bene rinunziare alla propaganda.