Stagione confusa

DC Sardegna, dicembre 1991

 

Il varo della Giunta Cabras e lo sciopero generale hanno scandito queste ultime settimane del 1991: e non sono mancate note di enfasi e di radicalismo sullo sfondo.
Le esasperazioni polemiche di giudizio – non solo oppositorie, ma anche quando si dispiegano per affermare il consenso – riflettono la stagione complessa di disagio sociale, culturale, e istituzionale in cui viviamo.
E il disagio coinvolge gli attori della politica.
Viviamo una stagione confusa, in cui non sempre la storia vissuta è anche capita.
Il sentimento, diffuso nella coscienza popolare, di sfiducia verso le liturgie del Palazzo, verso il paludato linguaggio dei programmi, verso il tatticismo esasperato e bizantino, verso le lentezze delle mediazioni ha fatto crescere l’aspettativa, o se si vuole il mito, di una politica più istintiva, più semplice.
Non una politica che badi alle strategie generali, al lungo periodo ma che risponda velocemente al vibrare dei bisogni, quali che siano. Talora qualunque sia la profondità morale o la legittimità giuridica che li anima.
D’altra parte si dice che una società complessa e frammentata richiede un’organizzazione di governo compatta: se poi questa dimensione di compattezza rischia di scivolare – attraverso le sem¬plificazioni di un presidenzialismo sistemico – in una concezione autoritaria del potere è cosa che dovrebbe preoccuparci non poco.
Questi impulsi sono emersi in molti commenti che hanno accompagnato la recente verifica politica regionale. Ma è anche il tono di tanti ragionamenti che si potevano cogliere, l’altro ieri, nella grande platea del Largo Carlo Felice.
Si è avvertito lo scetticismo con cui la comunità civile ha seguito il procedere della politica autonomistica, l’insofferenza non silenziosa ne rassegnata, ma esuberante e spesso rumorosa, che giustamente esiste nei confronti delle deformazioni del sistema dei partiti.
La gente non apprezza che il confronto fra i partiti, e dentro i partiti, tenda a privilegiare le geometrie del tatticismo e delle appartenenze rispetto ai contenuti e alle idee.
Ma quanto più netta è la percezione di questo sentimento tanto più dobbiamo resistere alla tentazione di assecondarne il consolidamento, rifuggendo dal dilagante conformismo catastrofista.
La stagione che si apre ha caratteri così complessi ed emergenze così acute che occorre disporsi ad un momento di riflessione che metta da parte i toni alti della polemica e del comizio e privilegi quelli miti del ragionamento.
E dobbiamo riconoscere che se da un lato la formazione del nuovo esecutivo regionale ha – come sempre – eccitato passioni e individualismi e forse appannato – in qualche momento – le ragioni ideali dell’impegno politico, dall’altro ha posto in risalto, in modo acuto e sofferto, gli elementi di declino del nostro sistema autonomistico.
Il dibattito in Consiglio regionale – uno dei migliori di questa legislatura – è stato Io specchio di questa condizione.
Esiste un problema di qualità della politica.
I partiti, di maggioranza e di opposizione, ricercano, e trovano, il terreno della distinzione nella critica e nella denuncia delle inadeguatezze altrui piuttosto che nella proposizione di un’offerta di governo e di un comportamento di propria coerenza.
Così spesso costruiamo contrasti a somma zero.
E’ il modo peggiore per affrontare un rapporto con lo Stato in una congiuntura che non sembra delle più favorevoli.
Lo sciopero generale, al di la’ dei comizi, per la larghezza di partecipazione e per la generosità di intenzioni, ci suggerisce di invertire questa consuetudine e ricercare intorno ai propositi per la Sardegna nuove occasioni di coesione autonomistica.
La nostra economia soffre le turbe di una fase di trasformazione che è stata più intensa di quanto non si pensi comunemente.
Il tasso di innovazione del sistema produttivo è stato più veloce di quasi tutte le regioni del Mezzogiorno; le tendenze a localizzare in Sardegna investimenti privati va decisamente aumentando; ogni anno nascono nell’isola quattromila nuove imprese; i servizi reali sono in fase di espansione e la connessione ricerca -produzione èstata innescata.
Certo, rimangono ritardi e diseconomie.
Persistono antiche frizioni e più recenti storture.
Più di ogni altro, appare in difficoltà il sistema – Regione, lontano dai livelli di efficienza e produttività che sono necessari.
Siamo come al centro di un guado: dobbiamo deciderci a percorrere il nostro itinerario.
In questi anni abbiamo, col concorso di tutti, convenuto un disegno di programmazione; sappiamo quali percorsi dovremo affrontare per creare le convenienze allo sviluppo, per rimuovere le ragioni antiche e recenti di crisi.
Abbiamo anche le risorse.
Non tutte quelle che vorremmo, ma quante basterebbero se usate con tempestività e intelligenza. Una cosa è però assolutamente indispensabile: conferire alla Regione un nuovo, più marcato carattere di istituzione governante.
Un’autonomia che faccia meno “leggine”, che subisca meno le lusinghe corporative, che rinunci agli utili della conservazione, che si faccia carico di rimuovere le nicchie dei tanti piccoli privilegi che si sono accumulati in quarant’anni, che metta da parte dispute verbose e bizantine sui riti di un parlamentarismo che non controlla e non detta indirizzi ma, spesso, rischia di favorire pratiche autolesionistiche.
Per questo la riforma dell’Autonomia è iscritta al primo punto del nostro ordine del giorno. Ma non basta parlarne: ora occorre procedere.
Non voglio sostenere che questo sia un facile traguardo: ma è alla nostra portata se riusciamo a liberarci di quel vezzo, sempre più diffuso, di contemplare la crisi denunciandola come irreversibile.
E pensando che il nostro sia un ruolo di osservatori piuttosto che di attori.

PRIVACY POLICY