Per l’approvazione dei piani paesistici

Discorso in Consiglio regionale del 01/02/1993

 

Signor Presidente, questa discussione è già stata forse lunga, ma a differenza di tante volte, più espressiva di argomenti, di motivazioni, di scelte, di proposte, forse meno di aspirazioni come tanto spesso ci accade. Credo che sia stata questa una discussione in cui ci siamo ascoltati e ci siamo in qualche modo anche scoperti meno lontani nelle posizioni che abbiamo proposto di quanto ci si voglia far apparire.
Le molte distinzioni che sono apparse nel dibattito e nella discussione sono forse espressive della diversa sensibilità culturale, delle diverse esperienze di vita che ognuno di noi ha fatto; ma al fondo è emersa in misura visibile una convergenza più larga di quanto non fosse prevedibile alla vigilia. Non solo una convergenza larga nella valutazione del testo proposto dalla Commissione, ma anche nel giudizio che abbiamo manifestato e che esprimiamo sulle nostre responsabilità, su tutto ciò che è stato in questa legislatura e nelle scorse ma soprattutto su tutto ciò che non è stato. Dobbiamo con molta franchezza dirci che oggi stiamo assumendo decisioni in questa materia in assenza dei Piani. Vi sono le condizioni forse per fare dei Piani paesistici migliori di quelli che potevano essere fatti solo alcuni mesi fa’, però non ci sono i Piani e l’assenza non è un fatto indifferente, nè rispetto al processo legislativo nè rispetto agli utenti che delle nostre leggi in qualche misura risentono.
L’assenza di una programmazione compiuta, dal momento in cui si è deciso attraverso la legge 45 di assumere con pienezza il governo e la tutela del territorio costiero non è stata priva di effetti se è vero che il binomio intorno al quale ruota la nostra discussione, quello tra sviluppo e ambiente, nel senso di sviluppo che deriva dalla tutela dell’ambiente, questo binomio di sviluppo e ambiente nel corso di questi anni ha subito effetti ben precisi, perchè lo sviluppo non c’è stato, e per converso l’ambiente in qualche misura si è degradato. Non solo per la persistenza di opportunità edificatorie collegate col vecchio regime che hanno avuto sviluppo in questi anni ma anche per la diffusione di un processo turistico di livello medio-basso (più basso che medio) che ha portato in Sardegna, nelle coste, nelle solite coste della Sardegna, più gente di quanto forse sia compatibile con un corretto uso del territorio, per un equilibrio corretto fra l’uomo e l’ambiente.
La mancanza di una scelta compiuta e matura di pianificazione non è stata indifferente perchè in questi anni si sono sovrapposti atti legislativi e atti di governo, perchè si sono susseguiti diversi programmi di giunta regionale, l’ultimo solo cinque mesi fa’, che hanno assunto spesso posizioni diverse, che hanno sensibilmente oscillato.
Da questa premessa dobbiamo partire per compiere le scelte odierne che non sono nè facili nè scontate, nè giocabili esclusivamente sul piano di un interesse tattico.
Dovremo tutti resistere alla tentazione di privilegiare un solo aspetto della discussione ma fare uno sforzo per conservare insieme l’intero quadro di riferimento. Molti fattori, io li ho colti nel dibattito di questi giorni, possono allontanarci da un giudizio onesto e chiaro: intanto il contesto esterno della crisi economica, dell’occupazione, del bisogno di sviluppo e di lavoro che è riecheggiato in molti interventi, e poi il peso oggettivo delle nostre responsabilità individuali, delle storie personali di tutti noi, di alcuni di più, di altri di meno, che però contano nell’esercizio della decisione politica e legislativa. Io credo che dovremo liberarci per quanto è possibile dell’oggettivo condizionamento che queste esperienze hanno per tutti noi. Ma ancora, può allontanarci da un giudizio sereno la consapevolezza di aspettative che si sono costituite, che si sono legittimamente costituite in Sardegna, nella complessità delle esperienze delle comunità locali. E ancora dobbiamo allontanare la preoccupazione di un giudizio in qualche misura semplificato da parte della pubblica opinione intorno a paradigmi riduttivi della complessità della questione di cui oggi noi discutiamo e che ci vorrebbe tutti schierati in due opposti partiti. E poi l’esistenza di una titolarità ancora contestata per l’autonomia regionale nel ruolo di soggetto decisivo e prevalente nel ruolo di guida dello sviluppo del territorio e della tutela dell’ambiente.
La regione, l’autonomia regionale ha questo ruolo: eppure il fatto che questa titolarità venga contestata in qualche misura condiziona l’esercizio della nostra espressione di giudizio. E allora dobbiamo liberarci da questi condizionamenti e orientarci, io credo, intorno alle quattro direttrici strategiche sulle quali ci siamo a lungo soffermati in questi anni, registrando convergenze che vanno al di là dell’attuale e delle vecchie maggioranze.
Una prima è quella che vuole che lo sviluppo sia derivato dall’ambiente e quindi che più si tutela la risorsa dell’ambiente più essa è preziosa, invertendo una logica rispetto alla quale per anni si era soffermato non solo il legislatore ma il consumatore delle leggi regionali.
La tutela si esercita con i vincoli ma anche con i programmi, impedendo o limitando la quantità ma anche esigendo la qualità degli interventi.
E una seconda direttrice, quella che vuole che l’ambiente, il territorio della nostra isola, la sua struttura orografica, la sua struttura ecologica, i suoi equilibri fra uomo e natura, rappresentano la memoria della nostra storia, sono il segno visibile non solo per gli altri ma anche per noi stessi dell’identità e quindi sono, il territorio, l’ambiente, l’identità della Sardegna: e l’identità non ha prezzo, non si aliena, non si può vendere. Questa è una scelta che abbiamo definito negli anni e che oggi vogliamo confermare. La terza è quella che vuole che l’ambiente sia il patrimonio più importante che noi abbiamo, una risorsa strategica; ma non un patrimonio di alcuni sardi rispetto ad altri, di alcuni sardi più che di altri. E’ un patrimonio, se non apparisse retorico dirlo, non solo di tutti i sardi ma di tutti gli uomini del mondo e quindi la titolarità, l’esercizio di governo di questo patrimonio, la tutela di questo patrimonio deve essere affidata non a una parte dei sardi, non a un segmento della società sarda, ma all’interezza della società sarda che questo Consiglio rappresenta ed esprime. Quindi, si è posta ancora e si è risolta la relazione fra la Regione e i Comuni. Forse in qualche occasione, in questi anni di inerzia non indifferente delle nostre decisioni, in qualche occasione si è ceduto ad un richiamo, io non dico localistico che avrebbe un significato negativo, ma alla sollecitazione forte delle comunità locali che sono quelle più esposte non solo al controllo sociale ma anche all’esigenza degli utenti, dei cittadini che sono i terminali delle nostre decisioni, e che trovano nell’amministrazione dei comuni il loro riferimento più immediato, più scontato, e quindi che pongono le comunità locali nelle condizioni di esigere e di richiedere di contare di più nelle decisioni che riguardano la tutela dell’ambiente e la programmazione urbanistica e paesistica. Tuttavia in questa scelta, in questa relazione, noi abbiamo sempre riconosciuto, sempre più riconosciuto, forse qualche volta anche cedendo, un ruolo di partecipazione, di iniziativa di proposta, di interlocuzione fattiva da parte dei comuni: ma abbiamo rivendicato e dobbiamo rivendicare il ruolo decisivo e conclusivo in queste decisioni da parte di questa Assemblea che è l’espressione della comunità generale dei sardi.
Infine, una quarta scelta: ogni nostro intervento che effettuassimo sul territorio delle coste sarde noi sappiamo consuma una parte di esse, una parte che può essere grande o piccola ma comunque non riproducibile. Quindi si consuma la risorsa che noi riteniamo più importante per lo sviluppo della nostra isola: la consumano certamente i volumi che modificano l’orizzonte fisico, ma la consumano, talora in misura ancora più importante, gli uomini che si riversano sulle coste sarde, sulle spiagge, sul territorio, sul mare, sulle pinete, sul paesaggio della Sardegna. Da qui è derivata una scelta, ineludibile di una politica della Regione sarda che punti a conseguire un segmento del mercato turistico mondiale, che non sia un segmento basso ma sia un segmento alto e medio alto: una scelta che comporta una politica esigente, di qualità, oltre che di compressione delle quantità. Ecco se valgono ancora queste quattro direttrici, queste quattro scelte di politica del territorio, di governo della Regione, – e per noi valgono ancora, – che la scelta che la Commissione ha operato, la scelta del vincolo dei 300 metri, vada oggi confermata. Ma noi dobbiamo dire che essa non esaurisce nè conclude nè credo abbia la pretesa di concludere gli atti che assicurano una compiuta corrispondenza tra il governo del territorio e l’insieme della compiutezza della programmazione regionale. Però questa scelta corrisponde non solo ad un bisogno moderno della cultura dei sardi ma corrisponde anche, io credo, oggi, ai suoi interessi.
La Giunta regionale dovrà impegnarsi perchè si concluda l’atto pianificatorio che sia corrispondente in misura più compiuta alle esigenze che abbiamo tutti rappresentato, che anch’io per parte mia, voglio ancora suggerire operi la Giunta regionale sugli indici in misura decisa e comprensibile per individuare un carico edilizio massimo per ciascuna area che sia compatibile con l’equilibrio di cui abbiamo parlato.
Operi sulle tipologie, evitando nella costa le case a schiera che corrispondono ad una utenza medio bassa ma che dal punto di vista paesaggistico, soprattutto, producono un effetto barriera: quello che abbiamo sperimentato tutti negli ingombranti villaggi che hanno popolato in questi anni le nostre coste e che, oltre ad aver compromesso il territorio, oltre ad aver portato una utenza sempre più povera, più bassa e quindi sempre più orientata a non lasciare risorse in Sardegna ma a consumare le risorse della Sardegna, ha finito con l’occupare l’orizzonte di parti sempre più larghe della nostra costa.
E ancora individui – la Giunta regionale – un lotto minimo con la prescrizione di una unità immobiliare indivisibile, all’interno del lotto minimo, per evitare che succeda quello che io ho visto succedere in molte parti del nostro territorio: che i progetti di ville sono diventati progetti di loculi e in questi loculi sono andate famiglie e queste famiglie si sono riversate sul mare e hanno occupato il territorio e lo hanno degradato e lo hanno reso meno fruibile da parte non solo dei sardi ma del turismo mondiale al quale noi diciamo di voler ambire. Una scelta di parametri che incentivi la qualità della progettazione che arrivino fino alla prescrizione di strumenti multimediali tali da assicurare la lettura del risultato conclusivo degli interventi prima del rilascio delle concessioni; l’obbligo di una fidejussione sulla qualità per consentire che in Sardegna ci sia qualcuno che sia responsabile della compiutezza dei progetti e degli interventi nella nostra costa. A quanti di voi è capitato di vedere nelle nostre coste quelle brutte palazzine di blocchetti senza intonaco? Perchè la Sardegna non è solo la Costa Smeralda, la Sardegna è tutto quell’insieme di villaggi, di paesi, di borghi e di interventi sulla costa che sono incompiuti, perchè la tentazione di utilizzare al massimo le volumetrie largamente dispensate dai vecchi piani ha prodotto il risultato di abbruttire, di peggiorare l’immagine che noi offriamo non solo al turista ma a noi stessi, di perdere insieme l’identità senza avere neanche il compenso della qualità e del corrispettivo.
Queste cose dovremo fare. Ma faremmo offesa alla nostra intelligenza se pensassimo che tutto questo è sufficiente a dare una risposta compiuta alla domanda complessa che ci è stata posta, se negassimo che la giusta opposizione, lo ricordava l’onorevole Mannoni per ultimo, di scelte differenti sul processo formativo delle leggi, di questa legge, produce e ha prodotto effetti, ancora oggi può produrre, effetti distorsivi sui programmi economici e nelle attività della pubblica amministrazione. Di questo dobbiamo farci carico, occorrerà trovare una qualche soluzione a questi problemi.
Perchè se insieme al vincolo generale, insieme ai piani che fossero complessivamente formati, ancorché arretrati di 300 metri sul mare, non ci riservassimo uno strumento di governo che sia specifico della Regione, se bastasse il vincolo, se bastassero i Piani, quale ruolo riserveremmo alla Regione per il futuro, per affrontare il nuovo, per raccordare la dinamica della programmazione regionale con la staticità delle carte e dei vincoli?
Tutti quelli che sono intervenuti hanno richiamato l’articolo 28 della legge 45 come lo strumento che può essere utilizzato per riprodurre le condizioni di una titolarità piena al governo di tutto quanto può ancora accadere.
Rispetto al momento in cui è nata la legge 45 io credo che l’articolo 28 debba essere ripensato e debba avere dei caratteri differenti perchè, o l’istituto dell’accordo di programma non consente margini rispetto alla norma e quindi è inutile, oppure rischia di consentirne troppi e quindi di aprire varchi inaccettabili.
Occorre trovare una configurazione dell’istituto di accordo di programma che sia più esigente, che sia oggettivamente straordinario per l’entità degli interventi, per il merito e per le procedure di approvazione. All’interno di queste procedure, bisogna restituire al Consiglio regionale un ruolo sostanziale pari a quello che si esercita con la formazione dei piani, delle direttive e dei vincoli e quindi compatibile con una modificazione degli stessi.
Questa io credo debba essere la strada sulla quale orientarci. Mi pare che su questo obiettivo ci siano state molte dichiarazioni di intenti. E’ forse necessario un supplemento di impegno per ricollegare verso uno sbocco di grande unità la nostra riflessione. Le decisioni che assumiamo sono certamente di quelle che lasciano segni: ma in fondo niente è mai definito nel processo legislativo. Mettiamoci nelle condizioni di non interrompere il corso dello sviluppo, di non alterare in alcun modo il nostro patrimonio ambientale, evitiamo l’inerzia e l’incertezza del diritto. Evitiamo percorsi che non siano lineari, ma conserviamoci, colleghi, la facoltà di poter decidere ancora.

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