La Nuova Sardegna, 30/06/1993
Nella babele di” certezze” largamente espresse da politici e politologi sul futuro della nostra democrazia e sui connotati dei nuovi protagonisti, sento forte il bisogno di rivendicare il diritto di cittadinanza anche per chi è portatore di dubbi.
Propongo come rafforzativo di questa esigenza, o se si vuole come attenuante, la condizione di appartenenza ad un partito che in Sardegna è da tempo orfano di guida e che nazionalmente è sospe¬so tra una prognosi riservata e una dichiarazione di morte presunta.
E in Sardegna, con l’approssimarsi della scadenza elettorale, si intrecciano riflessioni e proposte simultaneamente orientate a defi¬nire nuove “cose”, nuove alleanze ma anche nuove dirigenze e nuove dislocazioni di vecchie “cose” e di vecchi dirigenti. Non mi pare estraneo al dibattito il desiderio, inconfessato, di molti protagonisti di guadagnare una sopravvivenza personale.
Il nostro (nel senso di democratici cristiani) problema principale pare riducibile nel dilemma rinnovamento della DC o costituzione di un nuovo soggetto politico.
Io mi vado sempre più convincendo che l’esistente non è agevolmente rinnovabile: nella semplificazione della società “informata” esso identifica il vecchio sistema e la dirigenza prevale, nell’immaginario collettivo, sulle idee così come la cronaca giudiziaria prevale nel consuntivo storico.
Il rinnovamento peraltro richiede atti visibili di una discontinuità talmente radicale da essere malvolentieri digerita da chi dovrebbe deciderla e ad un tempo subirla.
La soluzione inversa non è tuttavia priva di rischi e di incognite. Si tratterebbe di trasferire in un nuovo edificio politico non solo il patrimonio ideale ma anche tutte le energie vitali attualmente pre¬senti nella DC.
Sono fondate le perplessità di chi vede il rischio di un nuovo e più grossolano trasformismo così come quelle di chi ritiene affatto scontato il consenso pronto e disponibile della comunità di cittadi¬ni che ancora oggi costituiscono la base della DC.
Questa seconda scelta tuttavia diventa ogni giorno più necessaria per il rapido logorio della prima e i margini per una transizione graduale sono ormai ridottissimi.
Sarà forse necessario che Martinazzoli operi una scelta “verticistica” anticipando un Congresso che sarebbe incapace di trovare sintesi unitarie: d’altra parte se l’ambizione dichiarata è sincera non si può confidare nell’entusiasmo di chi deve farsi da parte e l’appello a diffusi atti di generosità mi pare largamente inascoltato.
Temo che un atto risoluto produca divisioni: ma non è preferibile una consunzione unitaria che cancella insieme alla dirigenza anche le ragioni della presenza politica di una componente essenziale della società italiana.
In questo snodo mi pare un po’ drogata la corsa a disegnare le nuove geometrie fondate su alleanze, convergenze, poli.
L’alleanza dovrà generarsi come frutto della nuova dislocazione delle identità: oggi rischia di appannare, per il suo carattere di artificiosità, la trasparenza e l’onestà dei nuovi soggetti politici. E non mi convince la congettura di quanti pensano al nuovo come una confluenza di parti altrui nel proprio indiviso.
Forse sarà giusto pensare ad una fase intermedia in cui si confrontano nuove aggregazioni come luogo di convergenza di organismi distinti piuttosto che, fin d’ora, come nuovi partiti. La stessa forma partito tradizionale fatta di iscritti militanti mi pare ormai estinta: occorre una formula che faccia contare i cittadini con immediatezza e trasparenza, senza burocrazie.
In ogni caso non possono essere incerti i caratteri distintivi di un soggetto politico che voglia ricomporre un area cattolica non per disciplina esterna ma sulla base di una sintesi politica in cui molti cattolici, e non cattolici, sappiano liberamente riconoscersi.
Liberati dalla convenzione degasperiana del perno governante, dentro un sistema di democrazia compiuta si può dispiegare tutta la carica di innovazione e di cambiamento delle istituzioni di cui il movimento dei cattolici democratici è capace.
E nei caratteri del nuovo mi sembra che indispensabile conser¬vare uno spazio non solo ai valori del solidarismo, popolare e re¬gionalista, ma anche a quell’interpretazione temperata e misurata della politica che si conviene a chi sa iscrivere la politica in un orizzonte metapolitico.
In ragione di questa che considero virtù dovremmo evitare nei prossimi mesi, intrecci perversi di ragionamenti politici sulle future alleanze con sentenze radicali sul governo della Regione.