Dal “D’Alema uno” al “D’Alema bis”: in seguito alle tensioni col “Trifoglio” di Cossiga, Boselli e La Malfa, il presidente del Consiglio decide di aprire una fase nuova. Nell’intervento alla Camera, prima di salire al Quirinale per dimettersi, D’Alema difende i risultati del suo governo sottolineando la continuità con quello di Romano Prodi e condanna duramente la “compravendita” di parlamentari. Si rincorrono infatti denunce e sospetti circa offerte, anche in denaro, a parlamentari affinché passino da uno schieramento all’altro. La crisi si risolverà in tempi rapidissimi, prima di Natale, con un nuovo governo a guida D’Alema e l’ingresso di ministri dell’Asinello.
Camera dei Deputati, 18 dicembre 1999
Il discorso svolto stasera dal Presidente del Consiglio, a me pare sia collegato, in qualche modo integrato, con le posizioni espresse nel mese di ottobre, quando con parole impegnative ha sollecitato un chiarimento profondo per comprendere le ragioni di una progressiva divaricazione tra la maggioranza politica e parlamentare e l’azione di governo.
Oggi il Presidente ha tracciato un consuntivo dell’azione di governo, che dispone in un ordito unitario le azioni, le misure, gli obiettivi conseguiti, i traguardi, le tendenze che hanno la dimensione temporale della legislatura che abbiamo consumato. Noi esprimiamo un giudizio positivo e avvertiamo che, al di là delle esasperazioni polemiche, questo giudizio è condiviso da tutte le componenti della maggioranza.
Il Presidente ha portato puntigliosamente delle cifre. Ogni cifra riassume atti di governo, decisioni del Parlamento, negoziati tra le parti sociali, sacrifici ed iniziative coraggiose di cittadini e di gruppi sociali. Emerge un dato che neppure l’opposizione può contestare: il nostro è un paese sano, non è un paese stremato e alle corde; è un paese in corsa per non perdere il passo della competizione globale. Una corsa per rimuovere i vecchi vizi, le vecchie debolezze strutturali ed insieme per introdurre elementi di innovazione e agilità senza restringere, anzi con l’intento di allargare l’area della cittadinanza piena e responsabile degli italiani!
Tuttavia, nel corso di quest’anno la maggioranza ha sviluppato, in un crescendo di insofferenze reciproche e di esaltazione delle particolarità, un tasso di esasperazione competitiva assolutamente estraneo alla logica del maggioritario e credo anche al comune buon senso. Il valore della stabilità e della coesione, presupposto ineludibile per completare il processo di ammodernamento istituzionale ed economico del paese, è stato sostituito dal valore supremo della visibilità delle parti, in una prospettiva totalmente informata al vecchio sistema proporzionale, fortemente condizionata, a mio avviso, dallo svolgimento delle elezioni europee nel corso di quest’anno. La cultura della concretezza è stata sostituita da un’esaltazione intransigente di tutti i nominalismi bizantini. Negli ultimi mesi, circostanze diverse hanno riproposto storie, biografie e conflitti, in diversa misura inattuali, confinati nelle parti concluse della storia politica italiana.
Una sapiente iniziativa di pressione mediatica, alla quale non è estraneo il leader dell’opposizione parlamentare, ha prodotto, come in un gioco di mondo virtuale, la ricostruzione del muro di Berlino. Hanno ripreso forma, colori e gagliardetti, protagonisti e dispute assolutamente estranei al nostro tempo, assolutamente desueti nel dibattito politico degli altri paesi europei. La legittima richiesta di verità storica è stata molto spesso usata come arma strumentale, come occasione di improbabili rivincite, qualche volta come merce di scambio per più prosaici interessi. Abbiamo subito tutti questo clima, alcuni più di altri. In questa cornice si è verificata una divaricazione tra il dispiegarsi dell’azione di governo e l’oggettiva crisi della maggioranza politica e parlamentare.
Siamo preoccupati due volte per questa crisi: per il paese e per il sistema politico italiano.
Il paese si trova in una fase cruciale, in uno snodo straordinario di opportunità e di rischi. Vi è l’opportunità di accrescere e di consolidare il proprio coefficiente di competitività, di allargare il peso dell’economia e delle istituzioni nel complesso delle relazioni internazionali, di stare al passo con le innovazioni dei paesi più forti, di confermare l’autorevolezza del «sistema Italia» nelle relazioni internazionali. Vi è altresì l’opportunità di sviluppare in modo virtuoso le tendenze presenti nella legge finanziaria approvata oggi dal Senato della Repubblica: ridurre la pressione fiscale, riformare il sistema di protezione sociale nel segno dell’equità, ridurre il costo del lavoro, rendere più agile il sistema economico italiano, completare la riforma dello Stato in direzione di un forte impianto federale e di efficienza della pubblica amministrazione, coniugare una risposta seria e non demagogica alla domanda di libertà, dell’economia e dei cittadini, con la domanda di giustizia sociale. Queste le opportunità.
Ma l’Italia si trova anche davanti al rischio di arretrare, di perdere le posizioni guadagnate, di affondare nella vecchia politica degli intrighi e delle fazioni, dell’instabilità e delle divisioni. Esiste anche un’altra preoccupazione al nostro orizzonte: quella di arretrare sul terreno del bipolarismo che è un bene che insieme abbiamo ricercato e che questa opposizione dovrebbe difendere con la stessa” forza con cui noi lo vorremmo difendere. Avvertiamo una spinta verso il passato, verso la confusione che assegna all’indistinto terreno di confine, virtù improbabili e tentazioni malcelate di trasformismo. Vogliamo dire con chiarezza che non ci presteremo ad alcun disegno che vada in questa direzione.
Credo che oggi si chiuda un ciclo politico e che si aprano le prospettive per una fase nuova il cui orizzonte è più esteso della legislatura in corso. Auspichiamo che la nuova fase veda la convergenza di tutte le parti che hanno concorso a governare l’Italia nell’ultimo anno. Vorremmo che nessuna di queste forze dissipasse il patrimonio prezioso che ha contribuito ad edificare. Credo che l’intervento di questa sera dell’onorevole Boselli abbia in qualche misura prodotto un’evoluzione positiva in questa direzione. Tutte le forze di questa maggioranza considerano strategica l’alleanza di centro sinistra. In un sistema bipolare maggioritario – e che maggioritario sia è noto, ma maggioritario probabilmente sarà ancora di più nel corso di quest’anno – questo elemento suggerisce la strada della coesione perché saremo tutti legati da un comune destino.
Non potrà accadere che vi sia una forza di questa maggioranza che possa vincere avendo le altre perduto. E allora occorre non una ricomposizione “rassegnata”, ma un grande sforzo di progetto; non solo il programma di governo per il prossimo anno, ma anche un’ambizione più alta, un orizzonte più lungo. Noi vorremmo che si verificasse se sia possibile definire qualcosa di più di un programma comune: un’idea generale, l’anima del nostro progetto riformista, che abbia caratteri riconoscibili ed esplicitamente alternativi a quelli del Polo di centro destra; un’idea generale che segnali lo spartiacque tra due opposte visioni del nostro futuro, che abbia in sé la forza per contenere sotto uno stesso simbolo la pluralità delle componenti del centro sinistra, così come avviene per il centro destra.
Noi non pensiamo alla prospettiva di un partito unico del centro sinistra. Non ne esistono le condizioni, non le vediamo prossime ed abbiamo verificato in più occasioni che anche gli altri partiti più interessati a quella prospettiva la trovano, allo stato, impraticabile. Per gli stessi motivi, in ragione di una relatività storica dei nostri giudizi, non possiamo pregiudizialmente escludere che in un tempo – non so quale – questo possa verificarsi. Noi però pensiamo che possa e debba costruirsi una moderna coalizione, come si conviene nei sistemi bipolari e maggioritari, non come addizione di sigle e bandierine, e ancor meno come addizione di numeri parlamentari. Non servono, in questa prospettiva, due numeri in più, e appare in tutta la sua miseria la scandalosa vicenda di questi giorni, sia che davvero ci sia stato un caso di corruzione, sia che si sia trattato di un disperato atto diffamatorio. Il sistema politico italiano non può crescere sul trasformismo o sull’indifferenza alle scelte fondamentali che disegnano le polarità di Governo nel nostro paese.
Pensiamo alla coalizione come la casa comune di forze diverse, non estinte né candidate all’estinzione, legate da un progetto politico ambizioso, ordinate secondo una regola condivisa, che imponga la cessione di una qualche sovranità agli aderenti, non per una costrizione burocratica o per una forzosa imposizione di qualcuno, ma per una scelta motivata consapevole. Una coalizione così intesa comporta pari dignità di tutte le sue parti, in ragione della comune condivisione del progetto politico.
Esistono le condizioni per dare corso a questo disegno. Dovremo trovare tutti un supplemento di coraggio per corrispondere alle attese dell’Italia, per favorire un approdo del sistema politico italiano che guardi al futuro, che affidi alla memoria e alla storia i conflitti del ventesimo secolo e trovi un’offerta di governo per i problemi nuovi, quelli irrisolti, della nostra modernità. Nei giorni scorsi si è svolto in quest’aula un confronto di alto profilo sulle nuove sfide della società globalizzata. Si è discusso della conferenza di Seattle e delle insufficienze della politica rispetto a quelle sfide. Abbiamo avvertito il bisogno di prendere il largo dalle vecchie dispute, dalle vecchie cose che ancora appesantiscono il nostro confronto politico. Per noi, in quell’occasione, ha parlato Beniamino Andreatta, offrendo al Parlamento la sua generosa intelligenza. Anche per questo ci sentiamo impegnati a guardare con coraggio il futuro della politica.