Nel corso delle votazioni sulla riforma federale dello Stato, maggioranza e opposizione si scontrano sul tema della sussidiarietà. Il Polo, favorevole a limiti rigidi per il pubblico a vantaggio dei privati e del mercato, accusa la maggioranza di “centralismo statalista”; il centro sinistra risponde: sì alla sussidiarietà, no all’arbitrio dei più forti e dei più ricchi. Dure accuse al Ppi dai cattolici del Polo: svendete la cultura delle autonomie.
Ma i Popolari rivendicano la coerenza di una concezione solidale del rapporto tra i cittadini e le istituzioni e condannano l’economicismo efficientista della proposta del Polo.
Camera dei Deputati, 21.9.2000
Abbiamo esposto più di una volta la nostra opinione in tema di sussidiarietà, aspetto non secondario di una legge di riforma che consideriamo di grande rilievo politico e istituzionale. Non abbiamo mai pensato a questa riforma come ad una occasione, una tribuna, un palco dal quale distendere le nostre bandiere per una qualche improbabile propaganda di idee non sempre fresche; abbiamo pensato a questa legge come ad una grande riforma per ridisegnare la dislocazione dei poteri all’interno del nostro ordinamento, per allargare l’area della partecipazione e della responsabilità dei cittadini.
Questo è stato l’obiettivo che ha animato la maggioranza nel partecipare ad uno sforzo di riforma importante, per gli obiettivi che si propone, per il metodo seguito. Per la ricerca di un concorso più largo della maggioranza: che non può mai coincidere però con la pretesa – da parte della minoranza – di un diritto di veto o di una titolarità esclusiva nel proporre la formulazione della legge di riforma. In questa logica noi abbiamo affrontato il problema della sussidiarietà, consapevoli e in qualche modo fortemente convinti della giustezza e della lungimiranza del legislatore costituente che, scrivendo gli articoli 2 e 3 della Costituzione, ha affermato principi che intendiamo difendere e conservare.
Per questo abbiamo respinto un emendamento che si proponeva non già di aggiornare e ridisegnare le forme di attuazione di quei principi, bensì di stravolgere un principio che è l’essenza degli articoli 2 e 3 della Costituzione. Pensiamo che l’obiettivo di fondo del nostro ordinamento, della nostra Costituzione e della nostra Repubblica sia la missione di riconoscere, difendere e garantire i diritti di libertà dei cittadini, a cominciare dal diritto di cittadinanza degli italiani, nonché l’impegno a rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla piena attuazione e al pieno dispiegarsi della cittadinanza attiva e responsabile degli italiani.
La Repubblica non crea diritti; li riconosce e li tutela. Non esiste una questione di primato dello Stato nei confronti della società, così come oggi è stata posta. Mi riferisco ad un primato dello Stato sulle famiglie, sulle persone e sull’uomo. Esiste un principio di responsabilità che impegna le istituzioni democratiche a favorire lo sviluppo della persona nella pluralità delle sue articolazioni.
Il nostro testo non sostituisce gli articoli 2 e 3 della Costituzione; ne è semmai lo sviluppo coerente e moderno rispetto ad una società che è cambiata anche nella ricchezza di espressione delle formazioni sociali e nel protagonismo nuovo dei cittadini. Ritengo che si sia posto in modo improprio il rapporto tra il pubblico e il privato. Non siamo per una contrapposizione tra pubblico e privato o per una concezione negativa che esalti o neghi il primato di una dimensione sull’altra: le istituzioni svolgono le funzioni loro proprie, con il limite di rispettare le attività che possono essere svolte dai cittadini e dalle formazioni sociali in un rapporto dinamico, agile e cooperativo, non conflittuale.
L’idea che abbiamo delle istituzioni democratiche nella nostra Repubblica non è che esse siano il luogo del potere, ma un potere che sostiene e favorisce lo sviluppo della persona. Il termine «favorire» non significa dispensare favori o assecondare clientele, ma concerne l’assunzione di una responsabilità che è il sale della nostra democrazia. Non condividiamo la pretesa di una competizione tra la società e le istituzioni democratiche. Questa idea di competizione maschera forse il desiderio di rimozione della funzione di regola e garanzia che spetta allo Stato, alle regioni e alle autonomie locali per affidare lo sviluppo della persona ed il destino dei cittadini ad una selezione priva di regole. Non vogliamo uno Stato onnipresente ed intrusivo, né uno Stato che comprima le libertà, ma neppure uno Stato inteso come dimensione contemplativa che, vigilando da lontano sui conflitti e sulle diseguaglianze, rinunci alla missione di ostacolare le diseguaglianze e rimuovere gli ostacoli che impediscono lo sviluppo della persona.
Un moderno principio di sussidiarietà non può avere i caratteri del centralismo totalizzante, ma non può coincidere con una dimensione passiva ed indifferente, che affida alla competizione tra le forze sociali il compito di garantire il diritto fondamentale della persona. Siamo contrari all’idea che il mercato possa sostituire il vincolo della solidarietà tra i cittadini ed i livelli di autonomia.
Ognuno interpreta la propria ispirazione come crede. Noi abbiamo cercato di farlo in questa legislatura, e pensiamo di essere coerenti con le ragioni che abbiamo illustrato ai nostri elettori. Riteniamo che la sussidiarietà abbia come orizzonte il bene comune, in un concorso di responsabilità e di cooperazione. Altri possono avere legittimamente un’idea diversa: essi l’hanno esposta in quest’aula e noi la rispettiamo. Tuttavia, pretendiamo rispetto anche per le nostre opinioni e non accogliamo i toni offensivi che abbiamo colto in questi giorni. La nostra esperienza politica in questi anni si è snodata nella ricerca, non sempre facile, non sempre banale, di una coerenza tra le scelte della politica e la nostra ispirazione. Lo abbiamo fatto in un paragone sempre franco e trasparente tra le nostre ragioni ideali ed i nostri comportamenti: ma lezioni di coerenza non possono venirci dall’onorevole Pisanu oggi, dall’onorevole Guarino ieri, che non consideriamo in questa materia, dei buoni maestri. Per questi motivi abbiamo voluto in questa legge sostenere, insieme alle ragioni di una nuova articolazione dello Stato, anche il principio della sussidiarietà contenuto negli articoli 2 e 3 della Costituzione, ma espresso oggi attraverso l’emendamento Boato in un modo più moderno e coerente.