Discorso in Consiglio regionale del 26/06/1992
Noi avvertiamo, signor Presidente, il contesto anomalo di questa nostra Assemblea.
Da una parte il dato concreto di un sequestro di persona particolarmente orribile.
Orribile non solo perché riguarda un bambino, non solo perché intriso di una violenza inumana, ma perché si verifica dopo un lungo periodo nel quale ci eravamo illusi che la barbarie fosse finita.
Ecco da una parte il concreto di questo dramma che è personale e familiare – di una famiglia straniera e quindi più indifesa, più debole – ma è il dramma e la sofferenza corale di una comunità infinitamente più larga che punta i riflettori, attenzione, su questa nostra isola.
Dall’altra questa Assemblea, che rappresenta i sardi, che è consapevole della oggettiva incapacità di incidere sulla volontà dei rapitori e sul dolore della vittima e della sua famiglia.
L’anomalia è nella sproporzione fra le parole che noi pronunciamo e il crudo carattere della realtà.
Noi sappiamo che la salvezza di questo bambino è in preponderante misura affidata alle forze dell’ordine: ad esse va il nostro consenso, il nostro sostegno e l’invito solidale a fare come tante altre volte – come sempre – lo sforzo risolutivo.
Ma esiste un supplemento di iniziativa che è affidato alla nostra comunità.
Per questo siamo qui.
Per cogliere e rappresentare lo straordinario fatto nuovo che si verifica in questi giorni.
Di nuovo c’è un diffondersi nella coscienza popolare dei sardi, della gente che ieri sera è scesa in piazza a Nuoro per esprimere col silenzio la sua scelta di campo, che i delinquenti che hanno in ostaggio questo bambino non hanno più alibi, giustificazioni, comprensioni, tolleranze: non devono più sperare nel silenzio della gente.
In Sardegna non esiste più da tanto omertà in senso stretto.E’ sopravvissuto fino a ieri il silenzio, l’indifferenza, la neutralità. E il silenzio spesso ha assistito, favorito, protetto le azioni malavitose di questi sciagurati.
Ora a me sembra che stia manifestandosi in un crescendo improvviso e clamoroso un rifiuto forte e appassionato dell’indifferenza.
Io l’ho colta con nettezza ieri sera in una piazza di Barbagia dove la comunità, stretta in una coesione di ragioni e di sentimenti, senza parole e senza enfasi ha dichiarato la sua indignazione e il suo sentirsi intimamente offesa.
La gente, tutti noi, percepiamo che la nostra identità di sardi, il nostro considerarci popolo con tradizioni buone e pulite, ricche di umanità e cultura, la nostra immagine di comunità regionale non può essere declinata come quella di sanguinari rapitori di bambini, spietati mercanti di vite fragili e indifese.
Noi sardi sappiamo amare, studiare, rispettare il diritto, produrre ricchezza con lavoro e intelligenza.
Noi conosciamo e pratichiamo la pietà, il perdono, la solidarietà.
E allora interrompiamo ogni forma di silenzio e indifferenza e facciamo terra bruciata intorno a questi nostri nemici.
Questo, Signor Presidente, sento che debba essere il nostro appello corale – dei rappresentanti dell’Autonomia regionale – a tutti gli uomini e alle donne che sanno e possono aiutare la Giustizia.