La coalizione di centro-sinistra ha appena vinto le elezioni per il governo della Regione. Dovrà essere un governo forte, stabile, autorevole, democratico in grado di coniugare il carattere della concretezza con quello dell’utopia. Antonello Soro interviene, nel suo nuovo ruolo di coordinatore della Margherita in Sardegna, per illustrare quelle che saranno, nei mesi a venire, le principali linee di azione del partito.
Congresso regionale straordinario della Margherita. Tramatza 24/07/2004
Sono certo che nell’agenda di tutti noi questa mattina non era destinata a dibattiti congressuali. Il mio programma era certamente diverso. Ma accade nella politica, come nella vita, che eventi importanti incrocino le nostre piccole storie. E così ci capita di cambiare programmi, di rimetterci in discussione, di ricominciare. Oggi capita a me.
Voglio ringraziare Gian Valerio per il lavoro svolto e fare a Lui, a tutti i nostri assessori, e ai consiglieri regionali i miei migliori auguri. E desidero esprimere una sincera gratitudine a tutti i meravigliosi candidati della Margherita che hanno concorso al successo elettorale. Di tutti loro, del loro talento della loro esperienza, dovremo avvalerci in futuro, senza disperdere una sola di queste risorse.
E così è accaduto che il voto, le elezioni, hanno prodotto un cambiamento vero, hanno sconvolto la geografia della politica, hanno innestato processi, come si dice, di sistema.
Siamo al governo della Regione e Silvio Berlusconi è salito sullo scivolo che lo porterà fuori dal governo dell’Italia. Sappiamo che quello di Renato Soru non sarà un governo qualunque. Perché nasce con il consenso popolare esplicito, largo e consapevole intorno ad una leadership, una indicazione non ambigua del progetto. Esiste un’aspettativa, un’enorme aspettativa di buon governo.
La Sardegna, lo sappiamo, è di fronte ad uno snodo cruciale. La nostra economia ancora largamente imperniata su un modello di sviluppo che tutti considerano inattuale ha largamente dissipato le sue risorse nei settori in cui abbiamo un vantaggio competitivo nell’economia globalizzata. Ambiente, cultura, ricerca e innovazione, produzioni identitarie nell’artigianato e nell’agroindustria. E poi esiste l’incredibile, drammatico spopolamento delle aree interne, l’invecchiamento e impoverimento dei piccoli comuni, la fuga dei giovani, la perdita progressiva della memoria di popolo. Un disastro.
Per queste ragioni il governo di Renato Soru non sarà un governo qualunque. Dovrà essere, necessariamente, un governo di svolta, capace di marcare una forte discontinuità con le scelte, gli indirizzi, i comportamenti che hanno segnato la vita della Regione negli ultimi 5 anni, che hanno esasperato patologie che vengono da tempi assai più lontani.
Noi ci riconosciamo per intero nel programma della coalizione e nella volontà, che sentiamo come nostro compito primario, di promuovere e allargare una nuova coscienza di popolo, delle nostre risorse, dei nostri traguardi.
Vogliamo creare le migliori condizioni perché possa dispiegarsi, con tutte le sue potenzialità l’esperienza di un governo forte, stabile, autorevole, democratico. Un governo riconoscibile dai sardi come espressione sincera di quel comune sentire che è fondamento dell’Autonomia speciale. Un governo che sappia sempre coniugare il carattere della concretezza con quello dell’utopia. La concretezza delle misure, delle azioni e insieme l’utopia della buona politica che si alimenta di traguardi e disegni alti, capaci di andare al di là delle nostre storie personali. Un governo che sappia trovare la cifra, insieme, dell’efficienza e della partecipazione, che sappia guadagnare, in modo non episodico né umorale, una vera solida alleanza con le forze del sindacato, dell’impresa, della cultura.
Noi vogliamo sostenere con lealtà e con decisione il compito difficile e insieme esaltante del Presidente della giunta regionale. Il Presidente non è solo il capo dell’Esecutivo, come in passato. È anche il leader della coalizione. E detiene, in forza del mandato diretto, nuovi poteri e nuove prerogative.
Dovremo, insieme all’adeguamento delle leggi e dei regolamenti, modificare la qualità dei rapporti politici, le forme attraverso le quali maturano le decisioni e si articolano le competenze. Dovremo trovare un equilibrio che sia rispettoso di tutti i soggetti, che limiti le asprezze, che accentui e consolidi gli elementi di coesione tra il Presidente, i gruppi consiliari e i partiti della maggioranza. Senza frenare l’efficacia del governo, senza rallentarne l’azione, esaltando insieme collegialità e partecipazione. Sappiamo che non sarà semplice. La politica, la buona politica non è mai semplice né banale.
Credo che gli italiani comincino a comprendere i rischi della esasperata semplificazione che trasforma le questioni della democrazia e del governo in un contratto con gli elettori davanti alle telecamere. Noi vogliamo inaugurare con il presidente della Regione un rapporto fondato su un vincolo solido di reciprocità e di rispetto, in coerenza con gli impegni che, insieme, abbiamo assunto davanti agli elettori. Per questo, la nostra bussola sarà il programma, il disegno generale contenuto nel documento fondativo di Sardegna insieme.
Saremo intransigenti, prima di tutto con noi stessi, nel pretendere coerenza con quel disegno, da subito. L’eredità disastrosa consegnataci dalla Destra ci obbliga a fare presto. Serve uno strappo. A partire dalle politiche di bilancio, dalla difesa del territorio, con il blocco di cementificazione di coste. E serve ricercare, nel rispetto dei ruoli, un rapporto corretto con l’intero consiglio regionale: per mettere le basi di una seria revisione dell’ordinamento costituzionale e di quello interno.
Ma il 13 giugno ha segnato uno sconvolgimento profondo della politica italiana. La sconfitta di Silvio Berlusconi, del suo governo, del suo modello. Una sconfitta inequivocabile, dirompente, la fine del rapporto di fiducia da parte degli italiani.
Nuovi scenari aperti dentro la maggioranza rendono sempre più improbabile un completamento fisiologico della legislatura. Si fa strada anche dentro la maggioranza di CentroDestra, la consapevolezza dell’esaurimento della capacità espansiva del consenso incentrata sulla guida di Silvio Berlusconi.
Il blocco sociale, populista e conservatore, coagulato intorno a Forza Italia nel 2001, si sta dissolvendo. Si apre per noi, per il polo di CentroSinistra, per l’Ulivo, l’opportunità di mettere in campo una proposta di governo, alternativa nei contenuti e nella leadership, che sia capace di intercettare la delusione degli sconfitti e insieme di corrispondere alla domanda dei nostri elettori.
Una domanda complessa che è, insieme, di cambiamento e di sicurezza, di garanzie democratiche e liberali e di fiducia nel futuro, di crescita del benessere e di stabilità nel lavoro e nella sicurezza sociale. Di tutela dei diritti civili e di moralità nella vita pubblica, di efficienza e di partecipazione.
L’esperienza di più forte coesione inaugurata con la lista promossa da Romano Prodi segna un punto positivo nel processo di semplificazione e consolidamento del bipolarismo italiano. Rispetto a quel punto non esiste alcuna possibilità di passi indietro: nessuno dentro la Margherita lo pensa, nessuno lo propone. Dieci milioni di italiani hanno avuto fiducia in questo disegno: la domanda più diffusa tra i nostri elettori, durante la campagna elettorale, è stata quella dell’unità.
Da lì dobbiamo partire, con serietà, con rigore.
Sappiamo che l’unità è il mezzo fondamentale, non il fine del cambiamento, e che l’unità è un processo culturale, oltre che un processo formale. Comporta il progressivo superamento di atteggiamenti ed esperienze egemoniche, l’individuazione di crescenti convergenze in termini di fiducia.
Non penso al “partito unico”, per il quale non esistono, nell’attuale orizzonte politico le condizioni. Penso invece ad una cooperazione rafforzata tra i partiti della Lista unitaria che assuma, dentro un processo democratico e trasparente, la natura di federazione. E tuttavia dobbiamo evitare il logorio di una disputa, talvolta solo nominale e un po’ barocca, sulla natura del contenitore. Penso che dovremmo privilegiare i contenuti, il complesso delle proposte che devono segnare i caratteri del nuovo riformismo italiano. Dobbiamo indicare la direzione di senso del governo che intendiamo proporre sui temi dell’economia, delle garanzie, delle riforme, della politica internazionale.
Su quella base sarà più facile individuare i contraenti del rapporto federativo, definire le aree in cui è possibile una cessione di sovranità alla responsabilità federale. In un quadro che veda le forze politiche in posizione paritaria, senza alcuna gerarchia interna formale né sostanziale, e con la guida di Romano Prodi.
Noi vogliamo unirci in un comune progetto. Le nostre differenze sono fattore decisivo per la conquista di consensi in un’Italia straordinariamente sensibile alle differenze culturali ma, insieme, desiderosa di verificare l’unità delle strategie fondamentali della politica. E dovremo lavorare per una funzione unitaria, progettuale, moderna della Margherita in seno a questo progetto. Se fallissimo, siamo certi, fallirebbe l’Ulivo.
Noi abbiamo deciso tre anni fa di dare vita ad un partito nuovo, per unire e fare sintesi, in un processo innovativo, le culture dei nostri partiti e movimenti di origine. Abbiamo deciso di non proporlo come una forza “centrista autonoma”, ma come parte integrante dell’Ulivo. Una forza di centrosinistra, plurale, capace di parlare a ceti e forze sociali innovativi ed anche a mondi moderati estranei alle tradizioni delle sinistre. Non dobbiamo tornare indietro.
Anche per questo il Partito adesso deve crescere, dopo aver positivamente concluso il suo processo costitutivo. Crescere aprendosi e guardando avanti. Noi che crediamo in una funzione alta della politica dobbiamo essere pronti, ora che si aprono crepe nell’antipolitica, a partire dal territorio, a proporre una politica di qualità, di partecipazione vera, di valorizzazione delle competenze. Ancora non siamo stati capaci di farlo per intero. Dobbiamo farlo. Anche in Sardegna. Abbiamo celebrato solo otto mesi fa il nostro 1° Congresso. E nessuno può negare che le circostanze politiche e il calendario elettorale hanno fortemente segnato la vita del partito in una fase delicatissima: quella di avvio della esperienza organizzata dalla Margherita, quella in cui doveva dispiegarsi il massimo della nostra iniziativa politica.
Sono stati mesi segnati da un confronto teso e sofferto per la scelta della leadership. Quel confronto ha finito con l’assorbire per intero le energie dei dirigenti, per identificare l’intera configurazione politica del partito. Abbiamo vissuto quella fase insieme, condividendo dubbi e incertezze. Mentre avanzava con il carico di novità, nello stile e nella proposta politica, la candidatura di Renato Soru, la Margherita è apparsa, e in parte è stata rinchiusa, come assediata dentro una contraddizione lacerante tra il desiderio di tutela delle forme e delle regole della democrazia rappresentativa, tra il desiderio di conservare il massimo di coesione tra i partiti della coalizione di centro sinistra e l’opportunità di favorire l’esperienza originale di Renato Soru, il rapporto con i movimenti di base che hanno diffusamente accompagnato quel percorso, la consapevolezza che fosse indispensabile un profondo cambiamento, uno strappo capace d’interrompere i riti e le consuetudini di una lunga stagione di declino dell’autonomia sarda.
Quelle domande che abbiamo raccolto, e quei dubbi che abbiamo sollevato, quei chiarimenti che abbiamo preteso erano fondati, avevano motivazioni serie, gli uni e gli altri.
E noi pensiamo di aver concorso, pagando probabilmente un prezzo di incomprensioni più alto, a far crescere una sintesi, a rendere più solide le fondamenta di “Sardegna insieme”, del progetto di governo che parte in questi giorni con il suo carico di speranze e di responsabilità, nelle quali vogliamo riconoscerci con lealtà e con determinazione.
La responsabilità di questa stagione, qualunque sia il giudizio di merito, è stata condivisa da un largo schieramento di dirigenti del nostro partito. Ma questo non ci solleva dalla consapevolezza di un ritardo non più sopportabile, dal compito di far partire davvero l’esperienza innovativa, nella forma e nei contenuti, nella composizione plurale e nella partecipazione diffusa, che è il vero profilo della Margherita che vogliamo.
Per certi versi quel profilo, quella forma politica che noi avevamo scelto, sono stati interpretati dalla lista di Progetto Sardegna. E Progetto Sardegna ha intercettato una parte dei nostri elettori.
Dobbiamo riconoscerlo con serenità e con rispetto: anzi proprio per questo dobbiamo aprire un rapporto di speciale confronto con gli eletti e con i dirigenti di Progetto Sardegna.
Il quadro di frammentazione del CentroSinistra così come rappresentato dentro e fuori dal Consiglio Regionale appare divergente e contraddittorio con le intenzioni dichiarate, di semplificazione del nostro schieramento. E il modo migliore per confrontarci senza subalternità e senza riserve, sta nel ritorno alla prospettiva che noi ci eravamo liberamente dati.
E dunque dobbiamo ripartire.
A incominciare dai circoli, restituendoli alla funzione originale cui erano destinati. Sviluppando una forte attività nel territorio per radicare i gruppi dirigenti e aprire le porte a nuove energie, per favorire un rapporto non episodico con i movimenti di base, con le molte autonomie che si esprimono nelle comunità locali, sperimentando forme nuove di adesione e di partecipazione alla vita democratica. In questa prospettiva dovremo assumere la responsabilità di approvare uno Statuto regionale che sia frutto di una elaborazione maturata e decisa dai nostri organismi.
Ma, ancora, dobbiamo ripartire promuovendo la visibilità di una configurazione plurale che sia autentica e libera, stimolando ogni forma di confronto e di contaminazione tra le diverse sensibilità che alimentano la Margherita.
Dovremo rendere più partecipata la vita del nostro partito. Penso agli organi esistenti ma anche all’attivazione di gruppi di elaborazione tematica per raccogliere la domanda complessa che nasce in Sardegna in tutti quei segmenti di società che hanno vocazione sociale e sentono il bisogno di partecipare a questa fase nuova dell’Autonomia. È questa la strada per promuovere la selezione di una nuova classe dirigente, completando ed allargando quel processo che ha portato in Consiglio Regionale 8 nuovi consiglieri su 12.
Infine penso che dovremo favorire una grande autonomia del gruppo consiliare regionale rispetto alla sfera del lavoro politico che compete al partito. Senza irragionevoli barriere ma senza inutili sovrapposizioni. Il compito del partito è quello di favorire la partecipazione dei cittadini alla vita democratica, di canalizzare la domanda, di disegnare scenari e progetti, di guardare oltre l’agenda quotidiana del Consiglio regionale.
Sono questi gli orientamenti generali che intendo perseguire nei prossimi mesi, iniziando questo impegno al quale certo non mi ero preparato e che oggi assumo con qualche inquietudine.
Cercherò di corrispondere alla vostra fiducia con tutta la mia passione, con la coscienza serena dei miei limiti, con la moderazione suggerita dalle esperienze che voi in passato mi avete affidato, con l’approccio mite e temperato – spero di esserne capace – come si conviene a quanti hanno una visione metapolitica della storia.
Voi comprenderete che non è formale la richiesta che io rivolgo a tutti voi di una collaborazione forte e motivata: non solo perché nasce dalla mia formazione culturale il bisogno di condividere le responsabilità, ma perché – ne sono certo – tutti noi avvertiamo la difficoltà e insieme il fascino di questa sfida.
Una sfida per il nostro partito. Una sfida per la Sardegna.
Che Dio ci aiuti.