La riforma dell’ordinamento giudiziario suscita le indignate proteste dei magistrati italiani che ricorrono allo strumento dello sciopero per sottolineare la gravità della situazione. L’efficienza del sistema e la celerità dei processi restano un miraggio, mentre incombe il pericolo di una magistratura con minore autonomia e indipendenza.
L’Unione Sarda, 25/11/2004
Lo sciopero dei magistrati non è un avvenimento ordinario e, anche per questo, induce giudizi assai contrastanti. Personalmente ho molte perplessità sul fatto che i magistrati agendo come ogni altra normale categoria di lavoratori, possano scendere in sciopero.
Poiché però penso che i magistrati non siano “né scioperati né folli” – e poiché conosco il contenuto della legge Castelli- considero lo sciopero indetto dall’ANM in tutte le sue componenti il segnale, che tutti i magistrati danno al paese, della gravità dello stravolgimento dell’ordinamento giudiziario, dell’indebolimento dell’autonomia e indipendenza della magistratura e del disequilibrio che si crea nel rapporto tra i poteri dello stato.
Il mio partito ha cercato fino all’ultimo, anche per evitare alla stessa maggioranza una decisione di così grave portata, di ricondurre il dibattito sulla riforma dell’ordinamento giudiziario su un terreno di confronto tra maggioranza e opposizione, dichiarando una concreta disponibilità al dialogo per modificare la legge.
Abbiamo visto com’è andata. Seguendo il proprio copione prestabilito la maggioranza in terza lettura al Senato ha approvato la legge senza accogliere nessuna modifica sostanziale ed ora si prepara ad approvarla definitivamente alla Camera dando così, dopo la riforma della seconda parte della Costituzione, un altro colpo di clava al nostro assetto istituzionale.
Per la verità in tema di giustizia questa maggioranza ha già dato abbondantemente prova di sé approvando un notevole volume di provvedimenti indecenti. E tuttavia la legge Cirami, il lodo Schifani o la revisione del falso in bilancio avevano il “pregio” di essere immediatamente identificabili come leggi di favore per il presidente del Consiglio e i suoi amici.
Con questa legge ci troviamo invece di fronte ad una raffinata operazione di mistificazione propagandistica che vuole associarla con la riforma della giustizia confondendo, ad arte, la funzionalità del sistema con la riforma dell’ordinamento giudiziario. La buona amministrazione della giustizia evoca il modo con cui la giustizia “si dà” ai cittadini, i tempi, l’efficienza, le risorse, le sedi, l’ambito territoriale degli uffici, la rete informatica, il personale. Ma di tutto questo non c’è traccia nella legge che governo e maggioranza stanno approvando.
Si sono preoccupati di riscrivere lo statuto dei magistrati, di disegnare un ingestibile labirinto di concorsi per selezionare i più meritevoli, di restaurare un sistema gerarchico-verticistico nei rapporti tra capo dell’ufficio e magistrati addetti e di introdurre un sistema di separazione delle funzioni che maschera la separazione delle carriere tra giudicanti e inquirenti. Difficile dire come la ipertrofia concorsuale per avanzare in carriera o la rigida gerarchizzazione degli uffici del pubblico ministero possano dare più efficienza al sistema giudiziario. Ma di certo con questa legge avremo una magistratura con meno autonomia e minore indipendenza.
I magistrati saranno meno liberi: la loro carriera non dipenderà più dall’organo di autogoverno previsto dalla Costituzione, il CSM, ma in molti aspetti, dal Ministro e dai vertici della gerarchia interna. E per di più in un quadro di minore efficienza e di una conflittualità che salirà al calor bianco. Infatti, al di là dei dubbi di incostituzionalità che gravano su alcuni punti della legge, va detto che gran parte delle materie sono decreti delegati che hanno un loro percorso anche parlamentare, e che costituiranno l’occasione per tenere caldo, per i mesi futuri, il fuoco delle polemiche e delle contrapposizioni. Dunque il muro contro muro, le barricate dalle quali gli uni scagliano le invettive sugli altri è destinato a trovare nuovo alimento in una spirale che al cittadino apparirà sempre più come un intollerabile scontro tra poteri.
Il Ministro Castelli sostiene di aver trovato un punto d’equilibrio per avere eccitato lo sciopero contemporaneo dei magistrati e degli avvocati penalisti.
Non è difficile replicare, come da più parti si è fatto, che purtroppo è ormai impossibile trovare una sola voce a favore di questa “riforma” tra i giuristi italiani esperti in diritto costituzionale o di procedura e gli studiosi dell’ordinamento giudiziario. E questo non è segno di equilibrio ma di grande anomalia.
Per questo occorre spostare il piano della discussione e accanto alla difesa intransigente dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura dobbiamo mettere al centro il problema del miglioramento della giustizia.
Noi continuiamo a proporre di cambiare agenda per aprire un confronto sereno sulle grandi questioni che riguardano l’amministrazione della giustizia in Italia.
E prima di tutto l’accorciamento dei processi con una rivisitazione seria della disciplina della prescrizione e, insieme, di quella delle sanzioni. E poi la separazione, in sede territoriale, delle funzioni organizzative da quelle giurisdizionali, attraverso la nuova figura del manager di giustizia. E ancora. La responsabilità sia dei difensori che degli stessi magistrati, rimuovendo tutte le aree di non-responsabilità oggi esistenti.
E infine lo snellimento del processo civile, i cui ritardi si riflettono direttamente sull’economia, semplificando le fasi, recuperando immediatezza e oralità del processo.
È così difficile trovare un terreno di confronto sereno e non ideologico su questi temi?