Europa, 03 Novembre 2006
Il confronto sul nuovo ciclo di liberalizzazioni assumerà nelle prossime settimane un peso crescente nel dibattito. Sarà bene affrontarlo con molta serietà, e al di fuori di ogni pregiudizio ideologico. Una democrazia efficiente può, ed anzi deve valorizzare e accompagnare lo sviluppo della società civile partendo dal basso, dal rispetto e dalla valorizzazione delle energie individuali.
Facendo emergere le straordinarie potenzialità inespresse del nostro paese. è questo il senso più profondo della parola “sussidiarietà”, sempre tanto evocata e predicata, ma raramente poi messa in pratica nella nostra realtà.
Non si tratta, evidentemente, soltanto di una questione di ambiti di competenza, di livelli o aree di responsabilità, ma riguarda più profondamente la qualità della vita democratica, la sua natura direi, che si gioca nel rapporto tra partecipazione e libertà.
È un dibattito in corso da alcuni anni tra i progressisti in Europa, dalla Gran Bretagna alla Spagna fino ad arrivare ai paesi scandinavi.
Il desiderio dei cittadini di prendere parte attivamente, al di là delle forme della rappresentanza politica (certo i partiti, ma non solo), si confronta quotidianamente con la risoluzione di problemi di interesse generale. Sono convinto che proprio sul piano del coinvolgimento popolare si giochi una parte importante non solo della riforma del welfare, ma anche degli assetti e dello sviluppo economico italiano. In che senso?
La modernizzazione del sistema-Italia passa attraverso una decisa riduzione del divario tra le Istituzioni e i cittadini, riannodando con pazienza un rapporto che si è indebolito ed usurato. Ciò non significa, auspicare un arretramento dello stato, un disimpegno dalle responsabilità di gestione diretta delle politiche sociali, in particolare di tutela dei più deboli. È però incontestabile che l’attuale sistema, pur erogando una grande quantità di prestazioni economiche con finalità sociali, ha una efficacia inadeguata nel ridurre la povertà e contenere la disuguaglianza.
L’equità, che, unitamente allo sviluppo e al risanamento dei conti, rappresenta la bussola dell’azione di politica economica della presente coalizione di centrosinista, va perseguita non solo attraverso misure specifiche, come quelle dirette a scardinare intollerabili privilegi corporativi o a ridistribuire il reddito utilizzando la leva fiscale, ma anche attraverso un potenziamento dei servizi di pubblica utilità che veda il cittadino nella duplice veste di fruitore e, al tempo stesso, erogatore del servizio.
La nostra Costituzione non solo non limita ma anzi esplicitamente impegna lo stato, le regioni, i comuni, a promuovere ogni occasione perché privati cittadini possano assumere responsabilità di gestione in attività di interesse generale. Il pubblico non deve ovviamente rinunziare ad intervenire per coprire con la sua azione esigenze di carattere generale Iaddove l’iniziativa dei privati non sia capace di garantire efficaci risposte ai bisogni collettivi.
Ma ove questo si verifichi, nel rispetto delle regole e delle garanzie generali, lo stato non deve sostituirsi. Una coraggiosa politica di riforme oggi deve guardarsi proprio dalla tentazione di perpetuare dualismi pubblico-privato, secondo una interpretazione datata L’intervento dei privati da tempo si esplica in settori importanti; da quello dell’assistenza sociale (disabili, anziani, malati), ad esempio, a quello della manutenzione e cura dei beni culturali, della difesa dell’ambiente, della promozione di eventi culturali, di iniziative di ricerca scientifica.
Oggi però il privato è chiamato ad un ruolo di crescente importanza anche rispetto a quelle attività d’impresa che, sono caratterizzate dall’adempimento di obblighi di servizio pubblico come le telecomunicazioni, i trasporti, l’energia elettrica, il gas.
L’esperienza degli ultimi dieci anni ha, tuttavia, evidenziato che la privatizzazione di questi servizi pubblici a carattere industriale e commerciale, pur necessaria, non è sufficiente da sola a risolvere i problemi di efficienza e di qualità degli stessi.
Non sempre privatizzare significa anche liberalizzare. E viceversa.
Solo attraverso un effettivo processo di apertura alla concorrenza si mette in moto quel meccanismo che conduce l’iniziativa imprenditoriale a produrre effetti esterni benefici, in termini di sviluppo delle conoscenze, utilizzo efficiente delle risorse e, soprattutto, di migliori condizioni per i consumatori.
È nell’interesse pubblico quindi tutelare e promuovere la concorrenza, rimuovendo ostacoli che la blocchino e distorsioni che ne facciano mutare di segno i risultati per il cittadino-consumatore.
L’assetto attuale del sistema delle utilities, con pochi ex monopolisti in posizione dominante e quote di controllo ancora nelle mani dello Stato in alcuni importanti settori (quello energetico, ad esempio), preclude l’emergere di un più articolato insieme di imprese, medie e grandi, sul mercato interno e internazionale. Questo processo è talvolta ancora più evidente nella dimensione dei servizi pubblici locali dove andrebbe incoraggiata, invece, una sana competizione tra le aziende municipalizzate con le società private.
Per favorire l’accesso di nuovi attori nel processo economico diventa sempre più importante separare nettamente chi possiede e gestisce la rete dagli operatori che ad essa si connettono, così da creare le condizioni per un’offerta finalmente adeguata alle esigenze della collettività da parte di imprese che competono liberamente tra loro.
Il rafforzamento della concorrenza oltre ad essere funzionale al rilancio del settore produttivo è quindi fattore essenziale di giustizia sociale, perché premia il merito e può contribuire ad ampliare la platea dei destinatari della ricchezza.
L’agenda delle riforme per la modernizzazione del paese non può che ripartire da qui, insomma, fa un filo sempre più visibile e resistente che unisce sussidiarietà, welfare, concorrenza ed equità.